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mercoledì 20 giugno 2012

BDSM dalla Fiction alla Realtà: intervista a un Master

di Hasmina

E dopo averne immaginato tutte le sfumature, dopo averne scritto e preso appunti, abbiamo pensato che era il momento di fare le cose sul serio e di dare voce a questa realtà che ci ha intrigate, incuriosite, forse anche turbate, ma cui di certo non siamo rimaste indifferenti, nel bene o nel male. Quindi abbiamo cercato e contattato una comunità BDSM sul web, e abbiamo chiesto di poter intervistare un Master reale, in carne e ossa!


La comunità, che qui ringraziamo per la disponibilità dimostrataci, è Legami, un luogo virtuale dedicato all'incontro e al confronto tra persone legate dall'interesse per questa specifica forma di erotismo. Il Master che gentilmente ha accettato di rispondere alle nostre domande, e di farci dare uno sguardo ad alcuni aspetti della realtà del BDSM attraverso le sue esperienze personali, è Abatenero.

Un'intervista che non intende esaurire un argomento tanto vasto e complesso come quello del BDSM, ma rivelarci in modo affascinante uno dei molteplici punti di vista che lo riguardano.


Da quanto tempo è nel mondo del BDSM, e da quanto ricopre il ruolo di Master?

Intanto, direi che “il mondo del BDSM” non esiste, se non in senso estremamente vago. “BDSM” è un acronimo che indica un insieme di comportamenti riconducibili tutti, in vario grado, all’erotizzazione dello scambio di potere, non un insieme di persone. Ci si può riferire al Mondo del BDSM più o meno nello stesso senso con cui ci si può riferire al Mondo dello Sport o al Mondo della Moda.
Il sadomasochismo è una variante del comportamento sessuale, come tale fa parte della scoperta della propria sensualità, un processo interminabile, come è sempre la scoperta di se stessi.
Direi che si “entra” nel Mondo del BDSM quando ci si riconosce nel suo Immaginario, perché quell’Immaginario aiuta ad attribuire un “Senso” ad una parte di sé, ad inserirlo in una Narrazione Significante. Occorrono una certa tendenza all’introspezione, una notevole curiosità ed una marcata indifferenza per i pregiudizi.
Nel mio caso è avvenuto piuttosto tardi, ben oltre la soglia della maturità, un fatto per nulla inusuale, per quanto mi consta.
Questo non significa che il mio modo di esprimere la sessualità fosse radicalmente diverso, prima: era soltanto meno consapevole.

Poiché nella sottocultura BDSM non c’è un accordo definitivo praticamente su nulla, a parte pochissime basilari regole (SSC), non c’è un accordo definitivo neanche sulla terminologia. Tuttavia l’opinione generalmente condivisa è che con “Master” si intenda un Dominante che “possieda” una schiava, cioè una sottomessa alla quale è legato (considero il legame sempre reciproco, anche se su questo punto non tutti sono d’accordo) da un rapporto “stabile e strutturato connotato da un alto livello di trasferimento di potere fisico e psicologico/emotivo e con scarso o nessun limite spazio/temporale” (così recita il Lemma della Pervipedia di Legami). Lo stesso vale, naturalmente, per le Mistress.
Al momento non possiedo una schiava nel senso sopra indicato, quindi, tecnicamente, non potrei fregiarmi del titolo di Master.
Questo è uno dei piccoli rituali della sottocultura BDSM, che qualcuno prende sul serio e qualcuno no.
Diciamo che sono un Master in aspettativa :-)


Cosa rappresenta per Lei il BDSM? E quanta importanza riveste nella Sua vita?

Il BDSM è un Luogo dell’Immaginario. Un terreno di gioco all’interno del quale due (o più) adulti consenzienti (preferirei dire: complici) drammatizzano le proprie fantasie erotiche in maniera controllata e sicura. In sostanza, la versione per adulti del “Facciamo che io ero il Pirata e tu la Principessa…?”
Ammetto che c’è molta ostilità da parte di alcuni a considerare il bdsm “soltanto” un gioco. Pure, del Gioco il bdsm ha tutte le caratteristiche: uno Spazio/Tempo artificiale, delimitato arbitrariamente; un rituale da seguire; dei ruoli da interpretare; delle regole accuratamente stabilite, spesso dopo attenta contrattazione, la cui violazione spezza inesorabilmente il suo incantesimo. Perché l’unica condizione fondante del gioco è l’accordo tra i giocatori.
All’interno di questa “bolla” creata dal desiderio vale quella che Coleridge chiamava la “sospensione dell’incredulità”: io sono davvero il tuo Padrone e tu sei davvero la mia Schiava.
Il BDSM è l’Isola Che Non C’è, un posto dove si è, finalmente, liberi di essere se stessi.
Seguendo il filosofo James P. Carse, tutta la vita umana può essere interpretata in chiave di Gioco.
Oltre ai giochi in senso stretto – le gare sportive, i giochi da tavolo – sono “Giochi” tutte le situazioni che implicano competizione: i contrasti sociali, certe relazioni amorose o sessuali, i trucchi per fare carriera.
Ma tutti i giochi del mondo possono essere ridotti, alla fine, a due sole categorie: i giochi finiti ed i giochi infiniti. I giochi finiti sono quelli il cui scopo è vincere, e la vittoria pone termine al gioco. I giochi infiniti sono quelli il cui scopo è continuare a giocare, abbattere le divisioni e le competizioni, abbracciare ambiti sempre più vasti.
Ecco, il BDSM è un Gioco Infinito, che non prevede vincitori né vinti, perché il suo unico scopo è continuare a giocare, approfondendo sempre di più la conoscenza di sé e la comunione con l’altro.

Io sono dell’opinione che si possa apprezzare veramente il valore soltanto di quello di cui si sa e si può fare a meno. L’unico modo serio di affrontare qualunque aspetto della vita è farlo con lo spirito del dilettante. Se il bdsm dovesse diventare un’ossessione, troverei la cosa fastidiosa quanto essere affetto dalla sifilide. Quando c’è, ed arriva spontaneamente e naturalmente, è molto bello. Quando non c’è, si vive bene ugualmente. Tutto sommato, ho i miei libri, il mio orto e le mie dalie.


Cosa spinge, secondo la Sua esperienza, una persona ad entrare in questo mondo? E a rimanerci?

Come dicevo rispondendo alla prima domanda, non si entra nel Mondo del Bdsm, casomai ci si riconosce nel suo Immaginario Collettivo. Non c’è alcuna soglia da varcare, alcuna setta in cui entrare, nessuna parola d’ordine da chiedere o pronunciare. Semplicemente, si decide che quello è il posto giusto dove stare almeno per un po’ per dare un’occhiata in giro, scambiare due chiacchiere, trovare e dare informazioni, confrontarsi con altre storie, altri percorsi, altre immaginazioni, altri desideri.
E, sì, anche (ma non solo) rimorchiare o farsi rimorchiare, naturalmente.
Cosa spinga a riconoscersi nell’Immaginario BDSM è questione completamente diversa, ed a cui temo non si troverà forse mai una risposta. Stiamo parlando delle motivazioni del comportamento umano, una questione talmente misteriosa e controversa che trovarne il bandolo nell’ambito del BDSM mi pare impresa del tutto impossibile.
Non credo, comunque, che esista una risposta univoca: per mia esperienza non esistono due praticanti che si siano avvicinati al bdsm per le stesse identiche ragioni.
Quel che mi pare certo è che il bdsm è qualcosa che si sceglie, non qualcosa che si subisce.
E questo è quello che distingue il sadomasochismo come comportamento sociale dal sadomasochismo come patologia individuale: due cose radicalmente diverse che hanno la sfortuna (per noi praticanti) di essere accomunate, per ragioni storiche del tutto contingenti, dalla stessa terminologia.
Il sadomasochista patologico è un individuo che ha la necessità di infliggere o subire dolore per provare soddisfacimento sessuale. Se il bdsm fosse riconducibile a questo, come dicevo non sarebbe più interessante della sifilide.
Quello che fa del bdsm un fenomeno culturale affascinante è invece proprio il fatto che il 99 % dei praticanti non è affetto da alcuna patologia: come me, fa quello che fa perché gli piace o perché lo preferisce, non certo perché ne ha bisogno.
Per quanto riguarda specificamente me, l’unica risposta che posso darle, al momento, è quella contenuta nella risposta alla seconda domanda: il BDSM è un Gioco che vale la pena di giocare.

Non so rispondere al corollario. Dato che nel bdsm non si “entra”, non ci si “rimane” neppure. A volte si smette di giocare, questo sì. Le cose cambiano, le nostre motivazioni cambiano, noi cambiamo. Succede.


Alla base di una relazione di Dominanza e sottomissione sta la Fiducia. Come si conquista la fiducia totale del proprio sottomesso?

Oddio, messa così sembra che il dominante sia una specie di venditore di auto usate che debba abbindolare il cliente per indurlo ad acquistare il prodotto.
In realtà, alla base di una relazione bdsm c’è un incontro reciproco di desideri, di fantasie, di volontà. In genere il sottomesso sa perfettamente cosa vuole, e lo vuole fortissimamente. Non di rado il problema del dominante non è quello di “indurlo a…” quanto piuttosto quello di “trattenerlo da…”.
Ecco – ogni relazione bdsm è un unicum, quindi questa non è una generalizzazione – credo che spesso quello che il sottomesso abbia bisogno di sentire sia di essere “tenuto” saldamente, proprio per potersi lasciar andare. Un po’ come quando, arrampicandoti in montagna, ti lanci in un passaggio pericoloso perché sai che il tuo compagno tiene saldamente la corda di sicurezza, e segue attentamente quello che fai. D’altra parte, anche chi tiene la corda di sicurezza deve confidare che il proprio compagno non sia troppo spericolato o individualista: si rischia comunque in due.
Più che di fiducia a senso unico, quindi, parlerei piuttosto di confidenza reciproca. Una relazione bdsm non è MAI a senso unico. Il tuo sottomesso non è un sacco morto che devi trascinare in vetta di peso. Il bdsm è un gioco di squadra: entrambi i partner hanno il dovere dell’attenzione e dell’ascolto reciproco, ed entrambi devono essere disposti a “scoprirsi”. Ci vuole confidenza in se stessi e confidenza nell’altro per saperlo e poterlo fare.
Per usare un’altra metafora, un’interazione Master/slave è come un Tango. L’uomo – il dominante – conduce, ma ci vuole un affiatamento profondo perché la performance riesca. Se i ballerini sono alle prime armi, o si conoscono poco, si atterranno alle figure classiche, alla “salida basica”. Ma quando la confidenza aumenta, il tango diventa quel misto di disciplina ed improvvisazione che ne fa il vertice della danza popolare – e del bdsm il vertice della sensualità.
Soprattutto, la confidenza, al contrario della fiducia, non è qualcosa che si dà ora e per sempre – o almeno sino a prova contraria. La confidenza è qualcosa che si rigenera continuamente nell’interazione, che ha bisogno di essere “vissuta” perché sia parte integrante della relazione bdsm. Trovo che sia qualcosa di più e di diverso dalla fiducia a senso unico. E’ una delle cose migliori del bdsm.

La confidenza reciproca si conquista, come in tutte le relazioni, in corso d’opera: conoscendosi, sperimentando, provando e riprovando. Da molti punti di vista, le relazioni bdsm non sono poi così diverse da quelle “tradizionali”.


Quali sono le motivazioni che spingono una persona a cedere il controllo totale del proprio corpo e della propria mente ad un’altra?

Il “controllo totale” del corpo e della mente è una sorta di leggenda metropolitana che ha assai poco a che vedere con la pratica reale del bdsm. Coppie che vivano un simile regime sono una cosa di cui spesso si parla - in teoria – ma che nessuno ha mai incontrato nella realtà e di cui non conosco testimonianze credibili. Fra l’altro, ritengo che sarebbe pratica fondamentalmente contraria alle poche riconosciute regole del bdsm (sempre l’SSC).
Alla fine i sadomasochisti sono persone come le altre, col mutuo che scade, le bollette da pagare, i figli da accompagnare a scuola, il bucato da stendere e i problemi col capufficio. E’ già un miracolo riuscire a ritagliarsi una fetta di tempo per costruire la “bolla” entro cui lasciarsi andare alle proprie fantasie.
Il controllo totale è qualcosa che pertiene assai più alla letteratura di genere che alla realtà.
Fra l’altro, uno dei pochi punti sacri del bdsm è proprio l’esistenza dei “Limiti”. I Limiti sono i paletti posti dal sottomesso – ma anche dal dominante – che indicano i confini all’interno dei quali può svolgersi l’azione bdsm. “ Fin qui e non oltre”. Violare i limiti del partner significa violare la consensualità, l’unico vero peccato capitale del bdsm. Avere fama di essere uno che non rispetta i limiti del partner significa essere immediatamente marginalizzati in qualunque comunità anche solo vagamente organizzata.
I limiti variano enormemente da persona a persona in quantità e qualità, spesso sono in completa contraddizione tra un praticante e l’altro – ma non conosco nessuno, né ho mai sentito parlare di qualcuno, che non ne abbia.
Accade, casomai, una cosa diversa. Che quando la coppia è realmente affiatata, quando è in confidenza (vedi domanda precedente), non c’è più bisogno di esplicitare i limiti, non c’è più bisogno di “contrattare”.
Chi conduce la danza “sa” quali sono i passi proibiti, le figure difficili da eseguire per la sua compagna e, se non vuole rovinare il ballo, si guarderà bene dall’imporli. Tuttavia, quando l’intesa è profonda, quando il mood è quello giusto, quando l’eccitazione della danza ha pervaso profondamente lo spirito di entrambi, allora il master può provare a condurre la sua slave a ballare sul limite, a tentare quel “passo” in più. Bisogna saperlo fare, bisogna saper scegliere il momento giusto, bisogna anche avere un po’ di fortuna. Ma quando riesce è un trionfo enormemente gratificante. Per entrambi.

Dopodiché, capire cosa spinga alla sottomissione è questione che dovrebbe essere sottoposta ai sottomessi, veramente.-) Anche se non è detto che si riesca ad avere una risposta esauriente. Un sottomesso sa probabilmente molto bene cosa vuole e cosa sente, ma non è detto che sappia dire perché la vuole. Torniamo al problema delle motivazioni delle preferenze sessuali.

Naturalmente ci ho riflettuto su e qualche idea me la sono fatta. Fa parte della responsabilità del dominante cercare di capire quantomeno se la persona che ha davanti sta scegliendo di sottomettersi perché ne è realmente gratificata o perché sta cercando di “curare” qualche malessere interiore.
E mi riferisco, naturalmente, solo alle relazioni Master/slave, che sono quelle di cui ho qualche esperienza.
Ho idea che le relazioni Mistress/slave abbiano motivazioni almeno parzialmente diverse.

L’abbandonarsi alla “disciplina erotica” può esprimere il piacere di sentirsi fortissimamente desiderate, o quello del ritorno ad una femminilità primitiva, ad una carnalità assoluta lontana dalla sfera intellettuale.
Un vecchio detto molto banale dice che gli uomini godono di quello che prendono, le donne godono di quello che danno. La disciplina erotica e l’abbandono totale che implica può essere un modo per amplificare questo godimento.
Penso anche all'enorme piacere della deresponsabilizzazione. Avere qualcuno che ti dice cosa fare con la certezza di essere sempre nel giusto facendolo, senza angosce, senza l’ansia di dover decidere, può essere gratificante. Essere “costrette” a servire sessualmente può essere un modo per liberare la propria libido.
Per ultimo non sottovaluterei il potere delle pratiche erotiche estreme: alla fine quello che la schiava vuole (almeno, quelle che ho conosciuto io) è raggiungere un orgasmo fenomenale. :-)
Ma non esiste solo l’orgasmo fisico. Il pieno soddisfacimento è accompagnato, spesso preceduto e seguito, da un “orgasmo emotivo” che può essere anche più soddisfacente quando è scatenato dal desiderio del partner e dalla consapevolezza di averlo soddisfatto.


Cosa si prova ad avere questo tipo di controllo su un’altra persona?

Non è controllo, è comunione. Una cosa molto difficile da spiegare, in effetti.
Il termine anglosassone per definire il rapporto D/s è Power Exchange, che viene generalmente tradotto in italiano con “Scambio di potere”, riferendosi, normalmente, alla cessione del potere da parte del sottomesso ed all’assunzione di questo potere da parte del dominante. Ma io la trovo una povera interpretazione.
Power significa anche forza, energia nel senso, proprio, di forza motrice. Power è quel che fa accendere le lampadine e girare i motori elettrici. Scambio di potere – di potenza - significa anche scambio di energia, emotiva, sensuale e psichica, e Don Miesen lo spiega bene cercando di descrivere un rapporto D/s, come scambio reciproco di potere/potenza/energia, in una sua notissima introduzione al bdsm: “Quando il mio ruolo esteriore coincide con la mia intima fantasia, io esprimo maggiore energia; quando il ruolo e l’energia del mio partner conferma la mia, le nostre energie interagiscono e si moltiplicano incredibilmente, e noi creiamo la nostra personale realtà condivisa. SM è spesso chiamato power exchange. L’energia è immensa. Bisogna provarlo per crederci, o per capirlo.”

L’unica buona idea che abbia avuto il sociologo Alberoni è stato di paragonare l’innamoramento (l’innamoramento, non l’amore) ad un “movimento allo stato nascente”.  Un movimento è una situazione in cui il Tutto, effettivamente, è maggiore della somma delle sue parti.
Forse il termine più indicato per descrivere quel che si prova è Entusiasmo, nel senso etimologico di “indìamento”, “avere dio dentro” en theòs: una forma di esaltazione, se vuole, un senso di appartenenza a qualcosa più grande di noi.
Per adesso dovrà accontentarsi. Forse, nei prossimi trent’anni, riuscirò a escogitare una spiegazione più intelligibile.


Perché una relazione di questo tipo funzioni, necessita di un coinvolgimento emotivo?

Il sadomasochismo è una variante del comportamento sessuale, quindi esiste il BDSM occasionale così come esiste il sesso occasionale, niente di più niente di meno. Il bdsm occasionale può essere gratificante, anche se meno coinvolgente di una relazione profonda.
Per raggiungere quel livello di confidenza di cui parlavo prima, però, un profondo coinvolgimento emotivo mi pare indispensabile, ma questa è la mia esperienza.
Nell’ambiente sono in molti a sostenere che il sentimento “rovina” il buon bdsm. Il rischio più temuto è l’innamoramento. Ammetto che è difficile mantenere la “distanza” tra padrone e schiava quando c’è di mezzo l’amore. L’amore è un sentimento democratico, e quando la tua schiava comincia a chiamarti “topolino” ( e a te, magari, fa pure piacere), mantenere l’autorità del Padrone può diventare oggettivamente difficile.-)
D’altra parte, bisogna tener conto di una cosa. Il bdsm è una pratica che tocca corde profondissime nell’animo umano, che può scendere a profondità inattingibili da altri tipi di relazione sessuale o emotiva. Nel bdsm si finisce inevitabilmente per “mettersi a nudo”, non solo fisicamente: il tuo padrone o la tua schiava finiscono per vedere, capire, conoscere di te cose di cui tu stesso non sospettavi l’esistenza, e che mai ti sogneresti di rivelare a nessun altro. E che, probabilmente, un tuo amante “vanilla” non scoprirebbe mai.
Un coinvolgimento così profondo crea, inevitabilmente, un legame altrettanto profondo.
L’innamoramento, quindi, è un esito tutt’altro che inusuale del bdsm che “funziona”.

Questa è una delle tante contraddizioni del bdsm ( che non è mica tutto rose e fiori, eh :-DD): ti innamori della tua schiava, e ti sembra incongruo continuare a “schiavizzarla”. L’immaginario dell’amore romantico si sovrappone a quello della disciplina erotica, e crea una dissonanza. Pure, quel “quid” che prima avevate, manca ad entrambi.
E’ qui che viene in soccorso la dimensione di “Gioco” del bdsm.
Come dicevo, il bdsm è un Luogo dell’Immaginario, e come tale, al di fuori dello Spazio e del Tempo ordinari. E’ l’Isola Che Non C’è, dove si può volare lasciandosi alle spalle la prosaicità del quotidiano. E’ la Bolla che creiamo per noi io e te. I piccoli rituali aiutano. Può essere un gesto, una parola, il tono di voce. Tu che dici “Portami il collare”, o lei che si inginocchia ai tuoi piedi.
Creare questi “mondi paralleli” a me pare l’unica soluzione possibile per continuare ad avere una relazione bdsm soddisfacente all’interno di una relazione di coppia.

Come al solito, questo non è un punto di vista universalmente condiviso. Conosco almeno cento frequentatori di forum che negherebbero con indignazione la validità di una soluzione del genere.
L’alternativa è variamente denominata “lifestyle” o 24/7, e consiste, più o meno, nella trasposizione dei “ruoli” bdsm nella vita quotidiana.
Personalmente, nutro fortissimi dubbi sulla sua reale fattibilità, ma cionondimeno ne esistono moltissimi sostenitori.
Una delle cose migliori del bdsm, comunque, è proprio l’inesistenza di uno standard. Diciamo che non esiste “il” bdsm, ma esistono “i” bdsm. Probabilmente, tanti quanti sono i praticanti. Ciascuno è libero di costruirsi il suo percorso come meglio preferisce. L’unica cosa che conta veramente per essere “nel” BDSM è trovare qualcuno che ci si voglia infilare con te. Il resto è largamente coreografia.


Quanto è fondamentale il sesso in una relazione D/s?

Quella sul ruolo del sesso è forse la questione più vessata dell’intero BDSM.
Esistono almeno due schieramenti, l’un contro l’altro armati, che si affrontano ferocemente in quello che a me pare inesorabilmente un dialogo tra sordi. Ammetto francamente di non essere mai riuscito a capire le argomentazioni di coloro che sostengono che sesso e bdsm sono due cose nettamente separate. Temo che per ascoltare le loro ragioni dovrete rivolgervi altrove: non avendole capite, non credo sarei in grado di esporle con ragionevole obiettività.

Per quanto mi riguarda, il sadomasochismo è una variante del comportamento sessuale, quindi chiedermi quanto è fondamentale il ruolo del sesso nel SM è un po’ come chiedermi quanto è fondamentale il ruolo del sesso nella riproduzione dei mammiferi.
Dopodichè, tutto dipende da cosa si intende, esattamente, per “sesso”. Se per sesso si intende, brutalmente, copula, allora no, il sesso genitale non fa necessariamente parte di una “Sessione di Gioco”. Il fatto è che il bdsm consiste proprio nell’espandere la sfera della sensualità e dell’erotismo molto al di là della sfera della sessualità strettamente genitale. Il bdsm va oltre i “comportamenti da letto”, arrivando ad erotizzare tutti gli aspetti della vita, colorando sensualmente con la sottomissione ogni gesto quotidiano. In fondo la sottomissione non fa che confermare continuamente la disponibilità e l’accettazione, l’offerta di sé e della propria intimità.
Questa disponibilità totale crea un legame profondissimo, di cui il sesso genitale può essere, effettivamente, parte secondaria. L’orgasmo emotivo prodotto da questo coinvolgimento può essere anche più gratificante di quello fisico.


Dolore e umiliazione sono elementi della disciplina del BDSM. Quale importanza possiedono e per quale motivo? Può esserci la sottomissione, senza il dolore e l’umiliazione?

Per come la vedo io, il dolore è uno strumento del bdsm, e l’umiliazione in realtà non esiste.
Per lo meno, non esiste l’umiliazione “vera”, quella intesa esclusivamente a distruggere l’amor proprio di un’altra persona. Non ricordo più quale gran dama del settecento francese usava dire che non si può umiliare nessuno che non intenda essere umiliato. Parafrasando quell’aforisma, mi viene da domandarmi come si possa realmente umiliare qualcuno che in realtà non vede l’ora di essere “umiliato”. Indossare collare e guinzaglio ed essere portati a spasso come cagnolini, mangiare da una ciotola, accucciarsi ai piedi dei padroni, essere usati come poggiapiedi o tavolini – oltre che come oggetto sessuale - sono tutte cose che i sottomessi non considerano per nulla umilianti, ma che anzi trovano estremamente gratificanti. Questo, ed altro, fa tutto parte del “gioco”. Il sottomesso è lì esattamente per quello. La peggior punizione che si possa infliggere ad un sottomesso non è “usarlo”, è ignorarlo. Ecco, quello è umiliante.
Intendiamoci, i padroni “cattivi” esistono, e sono spesso amatissimi. Tenere a distanza la schiava – o lo schiavo – per punirlo di non essere stato abbastanza pronto all’obbedienza, “imporgli” di fare qualcosa di cui realmente si vergogna, qualche volta persino rimarcare le sue goffaggini, sono tutti esempi di “danza sul limite” che, condotta con intelligenza e misura, rafforza e approfondisce il rapporto, invece di incrinarlo.
Può sembrare improbabile che qualcuno possa trovare eccitante e gratificante essere condotto sull’orlo della perdita di autostima, pure non è più improbabile della passione per il bungee jumping. Si tratta solo di una sfida diversa.
Potremmo chiamarlo il Paradosso dello Schiavo. Il desiderio e lo scopo del sottomesso è compiacere il suo padrone, compresi i suoi capricci. Riuscirci superando prove anche difficili contribuisce ad aumentare la sua autostima, non a diminuirla. Io sono convinto che le vere “personalità forti” del bdsm siano i sottomessi, non i dominanti.
Naturalmente, tutto va commisurato ai limiti individuali, che sono estremamente variabili. Conosco sottomessi che mal tollererebbero anche solo un accenno di “umiliazione”. Ne conosco altri che considererebbero il Sergente Hartmann una simpatica mammoletta.

Il discorso sul “dolore” potrebbe essere infinito e dovrebbe toccare talmente tanti aspetti che questa intervista rischierebbe di diventare un trattato. Qui posso toccarne un solo aspetto.
La libertà di imporre il dolore, come il piacere, al sottomesso non è che il simbolo e la dimostrazione dell’autorità del padrone. Il possesso dello schiavo implica l’uso del suo corpo come fosse uno strumento. Così come un pianista deve poter utilizzare sia i tasti bianchi che i tasti neri del pianoforte per comporre una melodia, così il padrone deve poter toccare sia le corde del piacere che quelle del dolore. Se le corde del dolore non fossero disponibili, la melodia della sottomissione risulterebbe incompleta, quindi falsa. Quelle corde devono essere disponibili perché la sottomissione sia reale. Dopodiché, quali corde usare e con quale intensità, quale melodia suonare sul corpo del sottomesso, dipende dall’estro del compositore e dalla sonorità dello strumento :-)

Poiché i limiti sia del dominante che del sottomesso sono estremamente variabili da praticante a praticante, anche i rapporti D/s variano infinitamente, dal “quasi vanilla” al “quasi spietato”.
Tuttavia non credo che si possa dare un rapporto D/s escludendo completamente dolore ed “umiliazione”.
Paradossalmente, escludendo l’erotizzazione consensuale del dolore e dell’umiliazione, un rapporto Master/slave si tradurrebbe in una sorta di riedizione del menage maschilista di epoca prefemminista, col maschio padrone che decide, e la femmina schiava che obbedisce, fine. Ma che strazio.
Fortunatamente, nelle coppie D/s che conosco, le cose vanno esattamente al contrario. Quando si gioca, si gioca anche duro. Ma quando si tratta di decidere di cose importanti, si decide insieme.


Quale scopo e significato riveste il Bondage?

Non sono un bondager, quindi onestamente non posso dire molto sull’argomento.
Del termine “bondage” si danno comunque in genere due principali interpretazioni.
Nella prima, più generica, per bondage si intende, semplicemente, “costrizione”, ed in questo senso è uno dei tanti strumenti del bdsm. Collari, polsiere, cavigliere, catene, cappucci, morsi, sono tutti metodi per restringere la libertà di movimento del sottomesso e sottolineare la sua condizione di “schiavo”.
La costrizione può essere usata a scopo “disciplinare”, per esempio per sottoporre lo schiavo ad una fustigazione, o a scopo sessuale, per immobilizzarlo in una posizione assolutamente imbarazzante e sottoporlo a qualche deliziosa tortura erotica. In questo tipo di bondage praticamente qualunque materiale, anche riciclato, può essere utilizzato per immobilizzare: catene, lucchetti, corde, ma anche cravatte, calze di nylon, cinte etc.

Il Rope Bondage o Shibari invece, che al suo vertice è una vera e propria forma d’arte – ormai ampiamente riconosciuta come tale anche dalla cultura “ufficiale” - utilizza soltanto corde, in genere di fibra naturale, avvolte e legate intorno al corpo del modello, per creare delle vere e proprie “composizioni”. Onestamente, non saprei dirlo meglio.
In questo senso è un’attività autonoma, indipendente dal SM o dal D/s
Naturalmente ci sono riggers che sono anche dominanti e master, e che utilizzano il rope bondage anche come strumento di dominazione o “tortura”, ma molti non ne sono minimamente interessati, né amano definirsi “Dominanti”, per lo meno in senso D/s
Qui mi fermo, perché lo Shibari è cosa bella e seria che non merita una trattazione inadeguata.
Su Legami sono comunque iscritti tutti i più capaci ed esperti bondager italiani, quindi non avrà difficoltà ad ottenere informazioni ben più esaurienti ed interessanti.


C’è un percorso particolare che si segue per diventare un Master?

Oh, sì, il percorso è sicuramente particolare: ogni Master ha il suo.
In realtà, comunque, un dominante diventa Master solo nel momento in cui una schiava lo riconosce come tale. Non esiste alcun cursus honorum da seguire.
Esistono, sparse per il mondo, specie in ambiente anglosassone, per quanto ne so, piccole comunità molto ritualizzanti, all’interno delle quali, per fregiarsi del termine “master” occorre, oltre a possedere una schiava, anche guadagnarsi il riconoscimento dei propri “pari”. Si tratta comunque di comunità marginali rispetto al mainstream del bdsm, specie italiano, che è generalmente piuttosto informale.

Master, alla fine, significa semplicemente padrone. Essendo il bdsm basato sulla consensualità, è evidente che puoi diventare “padrone” soltanto se qualcuno ti riconosce come tale.
Sono gli schiavi che fanno i padroni, non viceversa. Un dominante spesso è semplicemente qualcuno capace di far coincidere l’immagine che trasmette di sé con l’immagine del “padrone” costruita dalla fantasia erotica dello schiavo. Se in questo può sembrare ci sia inganno, non bisogna dimenticare che il bdsm consiste proprio nella drammatizzazione delle fantasie erotiche e che, in larga misura, è Teatro. Essere capaci di interpretare il ruolo è fondamentale. E naturalmente, avere il physique du role anche nel bdsm aiuta. :-)

Alla fine, Top e bottom, dominante e sottomesso, master e slave non sono categorie esistenziali, ma definizioni operative, che possono assumere significati diversi in diversi contesti.
Sconsiglierei di prenderli eccessivamente sul serio.


Esistono dei codici di comportamento e di abbigliamento?

Esistono, ma non sono universalmente condivisi. Come per qualunque altro aspetto del bdsm, tutto dipende dall’inclinazione e dalle preferenze personali. Tutto sommato, l’unica cosa che serve veramente è qualcuno che condivida le regole con te.
Le uniche regole realmente condivise da tutti, pena l’ostracismo, perché sono quelle fondanti del bdsm, sono racchiuse nell’acronimo SSC, e cioè sano sicuro e consensuale, che in realtà sono regole in negativo, perché definiscono quello che il bdsm non è, piuttosto che quello che è. Nessuna attività non consensuale è bdsm. Nessuna attività che procuri intenzionalmente lesioni psicofisiche gravi e/o permanenti è bdsm. Nessuna attività condotta con individui anche temporaneamente incapaci di intendere e di volere, o di distinguere la fantasia dalla realtà, è bdsm. Tutto il resto è optional.

Dopodichè, l’universo mondo del bdsm è diviso in due fondamentali schieramenti, che Jay Wisemann ha definito “Ritualists” e “Casuals”. I Ritualisti considerano il bdsm una Disciplina altamente strutturata, con un protocollo da rispettare e regole di comportamento ed abbigliamento abbastanza rigide. I Casuals, che costituiscono la maggioranza dei praticanti, specie in Italia, tendono ad avere una visione assai più informale e rilassata del bdsm, il che non significa che, singolarmente, non amino alcuni rituali o non abbiano particolari fetish per l’abbigliamento o altro.
I due schieramenti si guardano piuttosto in cagnesco, con i Ritualists che accusano i Casuals di non prendere il bdsm abbastanza sul serio e di essere interessati solo al sesso strano, ed i Casuals che considerano i Ritualists degli ossessivi che prendono il bdsm, e soprattutto se stessi, troppo sul serio.

Per quanto io faccia sicuramente parte dei casuals (detesto rituali, protocolli e dresscode, e non ho alcun fetish) penso che non sia veramente importante da che parte stare. L’importante è non scambiare il mezzo con il fine, e quindi scegliere – o meglio ancora, inventarsi - il bdsm che fa stare meglio e nel quale ci si trovi naturalmente a proprio agio.


Cosa consiglierebbe a chi desiderasse avvicinarsi al mondo del BDSM?

Su Legami è stato pubblicato un bellissimo articolo di Jay Wisemann che tratta proprio di questo argomento assai meglio di come potrei fare io. Potete trovarlo a questo LINK  È stato scritto per le “schiave” novizie, ma contiene consigli validi per chiunque.

Se poi vuole proprio che mi sbilanci, direi, prima di tutto, non prendere sul serio nessuno, a cominciare da me. Quella che ho espresso in questa intervista è la mia visione personale del bdsm, che non è, né intende essere, universale. Da questo punto di vista, se l’argomento davvero interessa, potrebbe essere una buona idea intervistare qualche master ritualista, che esprimerà probabilmente una visione del bdsm profondamente diversa dalla mia. Su Legami non mancano. Come dicevo prima, l’importante non è quale strada scegliere, ma sceglierla con lucidità e consapevolezza.

Quindi:
Leggere, leggere, leggere.
Informarsi, informarsi, informarsi.
Studiare, studiare, studiare.
Soprattutto non credere assolutamente a nessuno che intenda spacciare alcunchè come “Vero bdsm”. Il vero bdsm non esiste. O meglio, forse esiste, ma è il nostro, quello che ci costruiamo da soli.
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