Tea Ranno è nata a Melilli, in Sicilia. Dal 1995 vive a Roma. Si occupa di diritto e letteratura. Ha pubblicato per E/O i romanzi Cenere (2006, finalista ai premi Calvino e Berto, vincitore del premio Chianti) e In una lingua che non so più dire (2007).
E’ in libreria la sua ultima opera, La sposa vermiglia, edita da Mondadori nella collana Scrittori Italiani e Stranieri.
Sicilia, 1926. Vincenzina Sparviero è la figlia attraente ma fragile di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza, si dice in paese, troppo cagionevole per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità al vecchio don Ottavio Licata non sembra importare granché, e così il matrimonio d'interesse fra la "palombella" mansueta e obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, improvvisamente Vincenzina incontra l'amore negli occhi ambrati di Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal futuro che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore probabilmente impossibile.
Siamo davvero felici di ospitare nel nostro locale virtuale Tea Ranno, una scrittrice il cui ultimo libro, La sposa vermiglia, sta riscuotendo un grande successo di pubblico e critica, confermando le splendide premesse dei suoi primi lavori.
L'autrice ha gentilmente acconsentito a intervenire e a rispondere alle lettrici e ai lettori che desidereranno porgerle domande, o partecipare all'incontro.
Benvenuta Tea, la ringraziamo per la disponibilità nel rispondere alle nostre domande e per essere qui con noi .
Vorremmo parlare un po’ di lei, per presentarla e farla conoscere ai lettori che ancora non hanno letto le sue opere. Come nasce Tea Ranno scrittrice?
Tea scrittrice nasce tanti anni fa, quando era una bambina che amava moltissimo leggere e si identificava con Jo di “Piccole donne” della Alcott. A quel tempo i libri erano il suo mondo, insieme al cortile, al piazzale del Municipio, ai bambini del quartiere e alla nonna, formidabile raccontatrice di storie.
E’ stato allora, in quel periodo dell’infanzia, che si è formato quel substrato magarico nel quale adesso, felicemente, vado a pescare con la penna.
Il vero apprendistato alla scrittura, però, è cominciato nel 1990, quando, per due anni, ho lavorato presso una piccola casa editrice siciliana; è stato lì che ho imparato a scrivere arricchendo il vocabolario, usando la lima e le forbici per sfrondare ogni eccesso, e anche il cesello per dare alla scrittura una forma che fosse mia soltanto.
Il suo primo romanzo, Cenere, sembrava tracciare un percorso diverso. Qual è il significato del ritornare alle origini, alla Sicilia?
Mi capita spesso di affermare che la benzina che mette in moto la mia penna è l’emozione. Con “Cenere” è stata la rabbia: avevo letto “La strega e il capitano” di Sciascia ed ero venuta fuori da quella lettura disgustata, anzi, di più, furibonda contro un sistema luciferino di annientamento della persona, così ho buttato giù un racconto per vendicare Caterina (la protagonista della cronaca narrata da Sciascia) e mandare a morire chi aveva ucciso lei: occhio per occhio. Poi, però, la Stèfana bigotta, perversa, crudelissima del racconto, ha cominciato a pungolarmi, aveva tanto da dire, e aveva bisogno di me. Così il racconto è diventato romanzo e, via via che lo scrivevo, mi sono proprio innamorata di lei e ho lasciato che mi portasse per le sue strade.
“In una lingua che non so più dire”, romanzo che narra il ritorno in Sicilia di un magistrato assente da quarant’anni , in realtà è stato scritto prima di “Cenere” e pubblicato l’anno dopo. Quindi è dal bisogno di tornare che io sono partita, dal bisogno di fare i conti con i luoghi del passato, che non sono più quelli che abbiamo lasciato. Tornare a casa significa riappropriarsi di un mondo che si pensava di avere perso, è dare ascolto alle voci della nostalgia che imperativamente chiamano affinché ci si ricongiunga a “quella Terra” che è nostra madre e non si rassegna a perderci.
“In una lingua che non so più dire”, romanzo che narra il ritorno in Sicilia di un magistrato assente da quarant’anni , in realtà è stato scritto prima di “Cenere” e pubblicato l’anno dopo. Quindi è dal bisogno di tornare che io sono partita, dal bisogno di fare i conti con i luoghi del passato, che non sono più quelli che abbiamo lasciato. Tornare a casa significa riappropriarsi di un mondo che si pensava di avere perso, è dare ascolto alle voci della nostalgia che imperativamente chiamano affinché ci si ricongiunga a “quella Terra” che è nostra madre e non si rassegna a perderci.
La critica letteraria ha spesso sottolineato la qualità e l’unicità del suo stile, la passione profusa nel cercare un linguaggio che renda giustizia ai sentimenti. Può parlarci del suo percorso di scrittrice?
Mi piace avere cura del linguaggio con cui racconto le mie storie. C’è tanta di quella ricchezza nella lingua italiana, tante di quelle sfaccettature che sarebbe un peccato arruffarsi dentro la sciatteria. Mi piace che le parole siano quelle giuste, ma non solo: mi piace che esse suonino all’interno di una frase creando un’armonia, diventando musica. Dunque ho lavorato moltissimo sul mio vocabolario, mi sono formata sui libri dei grandi maestri, ho letto e riletto, imparando a muovermi nel territorio della narrazione, non per emulazione, però, ma con l’umiltà dell’apprendista che non si stanca mai di imparare, del narratore che vuole avere quanti più strumenti possibili affinché la storia che si accinge a raccontare sia accattivante non solo a livello di trama.
La sposa vermiglia, è un libro che Giulia Ichino, editor Mondadori ha definito, con parole ispirate, “una grande storia d’amore, una di quelle incantate”. Il libro è però anche ricchezza di una storia vera, nonché testimonianza autobiografica. Come sono confluiti questi elementi nel romanzo?
“La sposa vermiglia” ha una genesi molto particolare, il romanzo, infatti, è stato scritto nel tempo di un lungo post operatorio in cui io avevo bisogno di raccontarmi una storia, di farmi compagnia, ma soprattutto di riflettere sull’insieme di circostanze misteriose che avevano accompagnato il mio “incidente”. Davvero, quella notte, Vincenzina è venuta in mio soccorso, davvero s’è fatta dita d’aria per ridarmi il respiro… Sono cose difficili da spiegare così, a freddo: in certe occasioni la razionalità è irrilevante, e ciò che guida la mano è un intraprendente daimon di cui non si sospetta neppure l’esistenza. Questo – l’incidente – il pretesto di scrittura. Poi è venuta tutta la fase di documentazione e di ricerca, dovevo entrare in quell’anno 1926 in cui colloco la vicenda, e avevo bisogno di raccogliere quante più notizie potevo intorno a Vincenzina e all’epoca storica in cui è vissuta. E siccome la storia della Sposa fa parte del bagaglio dei “cunti” della famiglia di mia madre, ecco che a poco a poco anche quella famiglia è entrata nella narrazione facendo de “La sposa vermiglia”, in parte, un romanzo autobiografico.
Una curiosità per i nostri lettori: come nasce il titolo di questo libro?
Da un’espressione contenuta nel libro: “Una sposa vermiglia per Filippo”, pensa Vincenzina, e davvero sarà così.
Vincenzina Sparviero, la protagonista è paradigma di figure diverse: la definirebbe un’eroina o una vittima?
Un’eroina, senz’altro. E’ una donna che si è autoimposta l’ubbidienza (troppo le brucia la morte della sorella di cui si sente responsabile), che però, a un certo punto, smette docilità e sottomissione e si erge a Sparviera, pronta a ferire con rostro e artigli pur di guadagnarsi ciò che le spetta. Solo che, talvolta, le circostanze della vita s’intrecciano in modo tale che anche la più fervida rivolta può sbattere contro la grettezza, la stanchezza, la rozzezza e l’ignoranza e ciò che sarebbe naturalmente possibile viene brutalmente stroncato.
Ci sono altri progetti nella penna di Tea?
Raccontare ancora le donne, il loro sentire, la sensualità e il desiderio, pure la trasgressione, chissà.
Un grande “in bocca al lupo” per il suo futuro e tutti i nostri complimenti ad una scrittrice che, come donna e come autore, illumina il panorama culturale italiano.
Tea Ranno e "La sposa vermiglia" sono su Facebook:
http://www.facebook.com/LaSposaVermiglia
http://www.facebook.com/tea.ranno
Il parere dell'Editor in una videointervista a Giulia Ichino
6 commenti:
Una firma tutta italiana che meraviglia! Leggerò sicuramente il libro, già il titolo ispira la mia curiosità.
Complimenti a Tea Rannper per la sua carriera!
Che bella intervista, non conoscevo Tea Ranno, e dopo aver letto quanta cura ha creato la sua Vincenzina, comprerò di certo questo romanzo.
Ciao
Laura
Già nell'intervista si intuisce quanto l'autrice sia brava a far cantare il linguaggio. Le sue risposte hanno una musicalità che incanta. In bocca al lupo per i suoi prossimi lavori.
Astasia
Davvero un'intervista interessante! E anche il video dell'editor. Non capita spesso di sentire un editor recensire un romanzo. Molto bello, complimenti!
Niki
Grazie per i complimenti e l'"in bocca al lupo", e grazie per l'ospitalità su Pinkafé, davvero un blog molto bello, elegante nella sua veste grafica e interessante per gli argomenti che tratta.
Spero che la mia Sparviera possa dare a chi legge le stesse emozioni che ho provato io mentre scrivevo.
Tea
E' stato un grande piacere ospitare Tea in questa prima intervista dedicata alle autrici e agli autori italiani.
La storia raccontata e ancor più il modo particolarissimo in cui essa penetra sotto la pelle del lettore,fanno di questo libro un'esperienza davvero "viva".
Ringraziamo Tea per i complimenti al nostro blog, molto graditi, e le diamo appuntamento al prossimo successo.
Faye
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