lunedì 31 dicembre 2012

Auguri di un Nuovo Anno scintillante a tutti i nostri lettori!





                                                             La redazione di Pinkafé

giovedì 27 dicembre 2012

Classica: Grandi Speranze di Charles Dickens, seconda parte


di Faye

Per il "Progetto Classica", proseguiamo nella lettura di Grandi Speranze, il celebre romanzo di Charles Dickens.
Oltre alla più recente versione cinematografica di Newell, ricordiamo la bellissima pellicola del 1946 per la regia di David Lean, della quale vi riproponiamo qualche fotogramma.

Guida alla lettura

I capitoli in esame (9-19) sono quelli che concludono la prima parte del libro, quella relativa all’infanzia di Pip.
Nello svolgimento della vicenda, narrata attraverso i ricordi del suo personaggio,  è chiara la condanna dell’autore nei confronti degli adulti che non rispettano la delicata sensibilità infantile. Dickens, a volte ricorrendo alla più sottile ironia, a volte attraverso lirismo descrittivo, sottolinea i danni prodotti dal disprezzo, dall’umiliazione e dalla falsità sulle menti più giovani.
Le pagine dedicate a Miss Havisham e alla sua casa, ridotta ad una dimora spettrale in ricordo del matrimonio mai avvenuto, sono degne del miglior romanzo gotico: ripugnanza ed orrore sono tuttavia inferiori al fascino che la ricchezza della donna e la bellezza di Estella esercitano su Pip. È una corruzione mentale, un obnubilamento che il piccolo subisce, con evidenti ripercussioni sul suo futuro.
Tanto può la mancanza di amore e fiducia per un bambino.

Capp. 9 – 19

Pip ancora sconvolto per la sua visita a Miss Havisham torna a casa; non sa spiegarsi il perché, ma avverte che la sua vita sta cambiando.


Provate a immaginare di cancellarne un giorno particolare, e pensate a come sarebbe stato differente il suo corso. Voi che leggete, fermatevi a pensare per un attimo alla lunga catena di ferro o di oro, di spine o di fiori, che non vi avrebbe mai avvinto, se non si fosse formato il primo anello in un giorno memorabile.

Colpito dalle osservazioni cattive di Estella, decide di migliorare la propria istruzione, aiutato in questo da Biddy, una ragazza giovane e modesta dal cuore d’oro, che gl’insegna, come può, a leggere. Al pub, dove si è recato in compagnia di Joe, incontra un uomo dall’aria misteriosa che lo osserva, fa domande sugli evasi e gli regala uno scellino avvolto in due banconote da una sterlina, mostrandogli una lima. È chiaro che si tratta di qualcuno in contatto con l’evaso Abel Magwitch, e Pip è piuttosto spaventato. La settimana successiva, si reca a un nuovo appuntamento con Miss Havisham; la vecchia signora chiede a Pip di farla camminare e, appoggiandosi a lui, gli fa visitare una grande sala, ricoperta di polvere e ragnatele. In questa stanza era stato preparato il ricevimento che non ha mai avuto luogo, come testimoniano gli avanzi di una torta lasciata a marcire sul tavolo: la descrizione è macabra ma non mancano pennellate di un lieve umorismo.

Era spaziosa, e un tempo doveva esser stata anche bella, ma tutto ciò che si riusciva a distinguere, era coperto di polvere e muffa e cadeva a pezzi.
Si notava un lungo tavolo, coperto da una tovaglia, come se ci fossero stati preparativi per una festa, quando la casa e gli orologi si erano fermati. In mezzo vi era una sorta di centrotavola, di forma indefinibile, a causa del fitto intrico di ragnatele che lo avvolgeva; e mentre i miei occhi scorrevano sulla distesa gialla da cui pareva emergere come un fungo nero, vidi ragni con zampe screziate e corpi a chiazze che correvano di qua e di la, come se nella comunità dei ragni fosse appena giunta notizia di un evento della massima importanza.


Pip ed Estella giocano ancora a carte: la ragazza continua a insultarlo, sotto lo sguardo compiaciuto di Miss Havisham, che sta crescendo Estella con un unico scopo, quello di vendicarsi di tutto il genere maschile attraverso di lei (“Spezza i loro cuori, mio orgoglio e speranza, spezzali e non aver pietà!”).
Al termine della visita, Pip incontra un ragazzo più grande che lo sfida a battersi con i pugni; è la prima volta per Pip, che tuttavia esce vincitore dallo scontro.
Passano le settimane: Pip continua a frequentare la casa di Miss Havisham, giocando con Estella e facendo camminare la vecchia signora. Sono giorni apparentemente sereni per il ragazzino; in realtà, è proprio in questo delicato momento di transizione dall’infanzia alla giovinezza che la bellezza di Estella e il disprezzo che lei nutre nei suoi confronti, agiscono come un veleno: Pip inizia a desiderare di diventare un’altra persona, provando insoddisfazione e vergogna per la sua vita. Dopo qualche tempo, Miss Havisham decide improvvisamente che Pip è cresciuto: lo allontana da sé e da Estella e paga il suo contratto come apprendista di Joe. Pip aveva sognato fin da bambino di diventare un fabbro, ma ora tutto gli appare sotto un’altra luce e il ragazzo prova risentimento e insofferenza persino nei confronti di Joe.

È davvero brutto vergognarsi di casa propria. È nera ingratitudine e merita una giusta punizione; e che sia una cosa brutta, lo posso attestare.
Casa mia non era un posto piacevole, a causa dell'indole di mia sorella. Ma Joe le aveva conferito sacralità e io vi avevo creduto. Avevo creduto nel salotto buono, come fosse una sala elegante; avevo creduto nella porta d’ingresso, come fosse il misterioso portale del Tempio di Stato, la cui solenne apertura si celebrava con un sacrificio di cacciagione arrostita; avevo creduto nella cucina, come fosse una stanza impeccabile, anche se non sontuosa; avevo creduto nella fucina, come fosse la via scintillante verso la maturità e l'indipendenza. In un anno, tutto era cambiato. Ora tutto era volgare e ordinario, e non avrei mai voluto che Miss Havisham ed Estella lo vedessero.


Mentre il suo apprendistato prosegue, Pip non dimentica Estella; decide di far visita a Miss Havisham e da lei apprende che la ragazza è all’estero per perfezionare la propria educazione. La sorella di Pip subisce un’aggressione da parte di uno sconosciuto: le sue condizioni restano gravi per molti mesi e non riuscirà mai più a riprendersi né a parlare. Stranamente, la donna sembra  chiedere la presenza di Orlick, il losco e odioso apprendista di Joe che ha preso il posto di Pip nella fucina. Biddy è chiamata ad occuparsi della donna, di Joe e Pip.
La ragazza è dolce e piena di buon senso e Pip le confida i propri sentimenti.

- Biddy,-  dissi, dopo averle imposto il segreto, - voglio diventare un signore.
- Io non lo vorrei, se fossi in te! Non penso ti servirebbe.
- Biddy, - dissi con una certa severità, - ho delle ragioni particolari per voler diventare un signore.
- Tu lo sai meglio di me, Pip; ma non credi di esser più felice così come sei?
- Biddy, - esclamai con impazienza,-  io non sono affatto felice così come sono. Mi disgusta il mio mestiere e la mia vita; non mi sono mai piaciuti, sin dal contratto. Non essere assurda.
- Sono assurda? - disse quietamente, alzando le sopracciglia. - Mi dispiace, non volevo. Voglio solo che tu stia bene e sia a tuo agio.
- E allora una volta per tutte sappi che io non sto e non starò mai bene, anzi starò male, ecco! - a meno che non riesca a vivere una vita molto diversa da quella di ora.
- Peccato! - disse Biddy scuotendo la testa con aria dispiaciuta.
L'avevo pensato talmente spesso anch'io che era un peccato, che mi venne quasi di piangere per la rabbia e la pena, quando Biddy formulò il suo e il mio sentimento. Le dissi che aveva ragione e che mi dispiaceva, ma che non potevo farci niente. - Se riuscissi a rassegnarmi - le dissi, strappando i fili d'erba lì vicino, proprio come tanto tempo prima mi ero strappato l'infelicità dai capelli e l'avevo scalciata contro il muro della birreria, - se  riuscissi a rassegnarmi e a farmi piacere la fucina anche solo la metà di quanto l'ho amata da bambino, so che sarebbe molto meglio. Io,  te e Joe non avremmo più bisogno di niente, e forse Joe ed io potremmo diventar soci dopo il mio periodo di apprendista, e forse ora avrei finito per corteggiarti, e ci saremmo messi a sedere su questa stessa riva in una bella domenica, ben diversi da come siamo oggi. Ero abbastanza per te, Biddy, non è vero?
Sospirò guardando le navi al largo, e rispose:-  Sì, non sono molto difficile. - La sua risposta non suonava lusinghiera, ma sapevo che l'intenzione era buona.
- E invece, - dissi strappando dell'altra erba e masticandone qualche filo, - guarda come sono. Scontento e inquieto;  e non m’importerebbe di essere ordinario e volgare, se nessuno me l'avesse detto!
Biddy si girò di colpo verso di me, e mi guardò con molta più attenzione di quella riservata alle navi che passavano.
- Non è stata una cosa gentile da dire e neppure vera,-  osservò, rivolgendo di nuovo lo sguardo alle navi. - Chi è stato a dirlo?
Ero confuso, poiché m'ero lanciato senza saper bene dove stavo andando. Non potevo più tirarmi indietro e così risposi: - La bella signorina che stava da Miss Havisham, è bellissima, e io l'ammiro terribilmente, e per lei voglio diventare un signore. - Dopo quella mia confessione da matto, mi misi a buttare l'erba strappata nel fiume, come se avessi una mezza idea di raggiungerla.
- Vuoi diventare un signore per farle dispetto o per conquistarla? - Mi chiese con calma dopo una pausa.
- Non lo so, - risposi di malumore.
- Perché se è per farle dispetto, mi pare - ma tu lo sai meglio di me – che faresti meglio e ti sentiresti  più libero,a non dar retta alle sue parole. E se è per conquistarla, mi pare - ma tu lo sai meglio di me - che non se lo meriti.
Esattamente ciò che mi ero detto mille volte. Esattamente ciò che mi pareva del tutto evidente anche in quel momento. Ma come potevo io, povero, infatuato ragazzetto di paese, evitare quella sorprendente incoerenza in cui cadono tutti i giorni gli uomini migliori e più saggi?
- Sarà tutto vero, - le dissi, - ma io l'ammiro terribilmente.

Mi chiesi se non sapevo per certo che se in quel momento al mio fianco ci fosse stata Estella invece di Biddy, m'avrebbe reso infelice. Fui costretto ad ammettere di non aver dubbi in proposito e mi dissi: “Pip, sei proprio uno scemo!”
Parlammo molto, camminando, e tutto quello che diceva sembrava giusto.
Biddy non era mai offensiva, capricciosa, oggi in un modo e l’indomani in un altro; avrebbe sentito dolore e non piacere, a farmi del male; avrebbe preferito ferire il proprio cuore piuttosto che il mio. Com'era possibile, allora,che non fosse lei a piacermi più delle due?
Biddy, - dissi mentre tornavamo a casa, - vorrei che mi rimettessi in sesto.
- Vorrei esserne capace!
- Se solo riuscissi a innamorarmi di te - non ti dispiace se parlo così francamente a una vecchia amica?
- Ma no,niente affatto! Non preoccuparti.
- Se solo ci riuscissi sarei a posto.
- Ma vedi, tu non ce la farai mai.


Amareggiato, Pip cerca di dimenticare Estella e il proprio disagio, e quasi riesce a rassegnarsi al suo futuro di fabbro, quando un avvenimento imprevisto mette fine al suo apprendistato. Mr. Jaggers, un avvocato di Londra che Pip aveva incontrato a casa di Miss Havisham, comunica a Pip che un ignoto benefattore ha deciso di rilevare il suo contratto di apprendista:

- La comunicazione che ho da fare è che questo ragazzo ha delle grandi speranze.
Joe ed io ci guardammo a bocca aperta.
- Sono incaricato di comunicargli, - disse puntandomi un dito contro - che entrerà in possesso di un bel patrimonio. E inoltre, che è desiderio del suo benefattore, di farlo allontanare senza indugio dall'ambiente e dal luogo in cui vive, per essere educato come un signore – in breve, come un giovane di grandi speranze.


Vi sono solo due clausole da accettare: Pip dovrà continuare a chiamarsi così e non dovrà mai indagare sulla natura del benefattore. In compenso si trasferirà a Londra e riceverà una buona educazione.
Pip è sicuro che il misterioso benefattore altri non sia che Miss Havisham, tanto più che Jaggers gli propone come precettore Matthew Pocket, un parente dell’anziana signorina. Il suo sogno sta per avverarsi: felice all’idea di lasciare il ristretto mondo nel quale ha vissuto fino a quel momento, Pip non prova altro che un lieve fastidio davanti alle uniche persone che gli vogliono bene.

Caro vecchio Joe, che ero così pronto a lasciare senza un po' di gratitudine, ti vedo come allora, il muscoloso braccio di fabbro sugli occhi, l'ampio petto che ti si solleva e la voce che si affievolisce. Caro buono fedele tenero Joe, ancora oggi sento il caldo tremito della tua mano sul braccio, solennemente, come fosse stato il fruscio dell'ala di un angelo!
Ma in quell'occasione lo consolai. Ero perduto nei labirinti della mia futura fortuna, e non riuscivo a ritrovare i sentieri da noi percorsi insieme.

mentre Joe e Biddy tornavano alla loro pacata serenità abituale, io mi facevo via via più tetro.
Insoddisfatto della mia fortuna naturalmente non potevo essere; ma è possibile che senza saperlo fossi insoddisfatto di me stesso.
Comunque, me ne stavo col gomito sul ginocchio e la faccia sulla mano a guardare il fuoco, mentre quei due parlavano della mia partenza, e di come avrebbero fatto senza di me, e di tutto il resto. E non appena coglievo un loro sguardo, più che mai affettuoso (e mi guardavano spesso, soprattutto Biddy), me ne sentivo offeso, come se stessero manifestando della diffidenza nei miei confronti. Ma sa il cielo che non lo fecero mai, né a parole né a gesti.
In quei casi mi alzavo e andavo a guardar fuori; infatti la porta della cucina si apriva di colpo sulla notte, e le sere d'estate rimaneva aperta per arieggiare la stanza. Temo che persino le stelle su cui alzavo gli occhi, mi paressero soltanto povere stelle umili poiché splendevano sui rustici oggetti tra cui avevo passato la vita.


Deciso ad apparire in forma smagliante, Pip, con i soldi che gli ha anticipato Jaggers, si riveste di tutto punto. Orgoglioso della fortuna ricevuta, diventa sprezzante nei confronti di Joe e Biddy;  si vergogna di loro che rappresentano la zavorra del proprio passato. È soltanto al momento della partenza, che affiora nel suo cuore una sorta di consapevolezza.

Fischiettavo e non me ne importava di andar via. Ma il villaggio era silenzioso e quieto e la nebbia leggera si alzava solennemente,come per mostrarmi il mondo, e lì ero stato così piccolo e innocente e al di là tutto era così grande e sconosciuto, che dopo un attimo, con un gran sospiro e un singhiozzo, scoppiai in lacrime. Ero accanto al palo che segnava la via in fondo al villaggio, e vi appoggiai la mano e dissi: Addio, caro, caro amico!
Sa Dio che non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, poiché sono pioggia sull'accecante polvere della terra che ci ricopre il cuore indurito. Mi sentii meglio, dopo aver pianto - più triste, più consapevole della mia ingratitudine, più mite. Se avessi pianto prima, in quel momento avrei avuto Joe accanto a me. Così mesto m'avevano reso quelle lacrime che continuarono a prorompere durante il quieto cammino, che quando mi trovai sulla diligenza, con la città alle spalle, meditai con cuore dolente sulla possibilità di scendere al cambio dei cavalli, e tornare indietro a piedi per passare un'altra sera a casa e avere un commiato migliore.


Nel prossimo articolo, la terza parte di Grandi Speranze

lunedì 24 dicembre 2012

Auguri !

Dalla Redazione di Pinkafé
 
un sentito augurio di
 
Buon Natale



sabato 22 dicembre 2012

Il Romance in Edicola: intervista ad Angela White

di Hasmina e Faye


Accanto alle collane che ruotano attorno al thriller o al mistero, un'altra tipologia di romanzo che vanta un'altissima percentuale di vendita nelle edicole è il Romance, in tutte le sue declinazioni, dal romance storico, al dark, all'erotico, destinato al pubblico femminile.
Pinkafé ha il piacere di ospitare, a conclusione di questo Speciale, una delle autrici italiane del genere di maggior successo, Angela White.


 
 
Cara Angela, è un piacere accoglierti nel nostro Kafé per questo Speciale dedicato all’Editoria da Edicola. Quando hai iniziato a pubblicare per la collana da edicola I Romanzi della Mondadori? Quali titoli hai finora pubblicato, vuoi parlarcene?

AW: Carissima Hasmina, grazie a voi per questo gentile invito! E' un onore e un piacere essere ospite del vostro Kafé. La mia avventura come autrice è iniziata nel 2011 con la pubblicazione de "Il castello dei sogni", seguito poi da "Di ghiaccio e d'oro" e da "La rosa del drago", in edicola proprio in questi giorni.


Il Castello dei Sogni, col quale hai esordito, è stato il tuo primo lavoro o hai avuto esperienze antecedenti, di altro tipo? Come mai hai scelto di scrivere romance storici?

AW: "Il Castello dei sogni" è stata la mia prima opera, scritta per gioco come momento di evasione dalla quotidianità. Ho sempre amato la Storia, il romance in generale e quello storico in particolare. Amo la meraviglia di vivere le emozioni e le passioni di un'altra epoca. Amo il rassicurante conforto del lieto fine che so attendermi alla chiusura del libro, purtroppo così raro nella vita.


Cosa si intende quando si parla di “romance storico”? In cosa si distingue rispetto alla più comune narrativa rosa spiccia e di consumo che si trova in edicola?

AW: Generalmente con romance storico si intende un romance, ovvero una storia d'amore a lieto fine, che si dipana nella cornice di un'epoca passata.
Personalmente, tuttavia, preferisco una diversa definizione, ovvero un romanzo storico la cui narrazione si sofferma con particolare attenzione e sensibilità sui sentimenti e sulle emozioni dei personaggi.
Credo che romanzi romance storici e novelle contemporanee siano destinati a soddisfare diversi desideri di lettura, questo sia per ragioni connaturate di genere sia per il numero di pagine.

Qual è la differenza tra romance storico e romanzo storico?

AW: A parer mio, il romance storico è (o almeno dovrebbe essere) anche un romanzo storico.
Deve ricostruire con fedeltà i luoghi e l'epoca di cornice alla trama, così come rendere figli del loro tempo tutti i personaggi (dai protagonisti ai comprimari). Certamente una maggiore indagine e attenzione sono riservate all'aspetto sentimentale e alle emozioni dei personaggi, creando con chi legge un'empatia più profonda.


Nel romance storico, quanto è importante la documentazione storica, e come la affronti quando devi scrivere un nuovo romanzo? Quali sono i periodi storici che più ti ispirano, oltre al Medioevo?

AW: Il passato è una terra straniera, pertanto ritengo essenziale documentarsi con cura prima e durante la stesura di un romanzo. Secondo me, la ricerca è il pilastro su cui andrà a posarsi l'intera struttura narrativa. Sono convinta sia fondamentale conoscere la situazione politica, morale ed economica del momento storico che si descrive, per poter capire anche la mentalità e la vita dei personaggi che si desidera raccontare. Trovo utilissimi i saggi storici, rinvenibili sia nelle biblioteche sia nelle librerie universitarie, e particolarmente interessanti le biografie dei personaggi di spicco del tempo. Internet può essere uno strumento utilissimo nella stesura di una bibliografia da seguire, permettendo anche facilmente di comunicare con gli esperti del genere.


Edicola e libreria. Dove, in base alla tua percezione di autrice e lettrice, il romance trova maggiormente il suo pubblico? Pensi che questo genere potrà avere una larga diffusione nelle librerie in futuro?

AW: Nel nostro Paese, ed è una realtà solo italiana, il romance esaurisce la sua collocazione editoriale quasi completamente in edicola. All'estero, soprattutto nel mercato anglofono, anche se pubblicato in edizione economica, il Romance esiste come "libro" e non come "periodico". I titoli sono presenti in tutti i canali di vendita, e soprattutto sono ordinabili nelle librerie fino al loro esaurimento. In Italia la vita e la visibilità di un romance cartaceo in edicola hanno la durata di un mese, per poi entrare nel mercato dell'usato. In libreria il Romance è stato per anni rappresentato dalle ristampe di titoli trentennali (la Sonzogno con Woodiwiss e Rogers), dai romanzi della euroclub/mondolibri (Lindsey, Mason, Jordan, Small) che ebbe l'acume di portare in Italia un'autrice di presa come J.R. Ward e la sua Confraternita del Pugnale Nero (successivamente ristampata da Rizzoli). Significativo il lavoro svolto dalla Leggereditore, che ha mostrato anche una particolare attenzione alle autrici italiane. Negli Oscar Emozione di Mondadori, tra gli altri, sono pubblicati i lavori contemporanei di una delle autrici più amate del Romance mondiale (Lisa Kleypas). Infine non si può non parlare della bomba atomica dell'estate: la trilogia delle cinquanta sfumature della James, ovvero un romance non confenzionato né proposto come tale.


La Rosa del Drago è il tuo ultimo lavoro, uscito questo mese nella collana Classic de I Romanzi Mondadori. Vuoi parlarci di questo libro? Sarà conclusivo della saga cui appartiene, o prevedi di scrivere altri titoli ad essa connessi?

AW: La Rosa del Drago è il terzo capitolo della serie medievale "Le profezie della strega scalza", i cui romanzi sono legati dalla figura ricorrente di una donna affascinante e misteriosa, che pronuncia una predizione per i protagonisti di ciascun libro. Il protagonista è Sir Benjamin, amico fraterno dell'eroe del primo romanzo, cavaliere dalla lingua di miele e il volto sfigurato, che ha incontrato un grande favore da parte delle lettrici.
Sono molto affezionata ai personaggi di questa serie, che come amici insistenti continuano a chiedermi una storia per ciascuno di loro. Eh sì, mi piacerebbe molto accontentarli tutti!


Cosa vedi nel futuro di Angela White? Continuerai a scrivere solo romance storici per l'edicola, o proverai a cimentarti anche altri generi letterari? Magari puntando alla libreria?

AW: Non lo so proprio! A volte poi i confini tra i generi diventano così labili... Sicuramente continuerò a scrivere perché, citando Sir Terry Pratchett, "Scrivere è la cosa più divertente che si possa fare da soli". Spero di avere sempre la fortuna di poter condividere questa passione con il pubblico, che sia in edicola, in libreria o in digitale lo si vedrà di volta in volta.


A cosa stai lavorando in questo momento? Vuoi darci qualche anticipazione?

AW: Non riesco a stare lontana dallo storico... e poi c'è un personaggio in particolare de "la strega scalza", un bardo girovago dagli occhi azzurri e la parlata araba, che sta aspettando il suo romanzo con sorniona pazienza.


Sei molto giovane e ti sei distinta fin da subito come una penna innovativa e di grande effetto evocativo, che effetto fa avere già così tanto successo tra le lettrici?

AW: Le lettrici sono state meravigliose! Hanno accolto i miei romanzi e i miei personaggi con un calore incredibile. Mi è di grande incoraggiamento il pensiero di poter condividere le mie storie con un simile pubblico.
Un sincero ringraziamento a tutto lo staff di Pinkafé e un saluto affettuoso ai visitatori del blog.

martedì 18 dicembre 2012

Narrativa in Edicola: Tavola Rotonda tra professionisti

Tre fuoriclasse italiani della narrativa parlano della realtà editoriale dell'edicola in una eccezionale Tavola Rotonda per il nostro speciale. Pinkafé è orgoglioso di ospitare Annamaria Fassio, Carlo Parri e Andrea Carlo Cappi, autori di punta delle collane Mondadori.

di Elena Taroni Dardi


Annamaria Fassio

Nel 1999, Annamaria Fassio vince il premio Tedeschi che le apre le porte della pubblicazione nella collana Giallo Mondadori, da allora ha pubblicato almeno uno o due romanzi all’anno e ha anche tenuto vari corsi di scrittura creativa per adulti e ragazzi, è anche stata allieva di Ed MacBain… cosa pensa del proliferare dei siti amatoriali di scrittura creativa sul web, e del loro progressivo spostamento su facebook?

Intanto volevo ringraziare la redazione di Pinkafé per l’attenzione nei miei riguardi. Per quanto concerne i siti amatoriali di scrittura creativa…Nella domanda ci sono due termini che a mio avviso la dicono lunga: “proliferare” e “amatoriale”. Io non ho nulla, ovvio, contro la proliferazione, soltanto mi auguro che tutto questo non avvenga a discapito della professionalità. Non senza un certo orgoglio penso di avere iniziato i corsi di scrittura creativa in un momento in cui, in Italia se ne parlava poco. Eravamo a metà degli anni Ottanta e da allora molte cose sono cambiate e quello che una volta era visto con sospetto e un briciolo di supponenza ora fa parte del curricolo degli aspiranti scrittori. Credo, ma potrei anche sbagliare, che per insegnare a scrivere bisogna essere non solo maestri (nel significato più nobile e ampio del termine) ma anche scrittori.  Avere una visione a trecentosessanta gradi sui diversi linguaggi e le loro tecniche, smontare un testo e rimontarlo con scopi e destinatari diversi, giocare con le parole, usare la tecnica del taglia e incolla…Questi sono soltanto alcuni esempi che spero chiariscano meglio il mio discorso che, a tutti gli effetti, credo sia anche valido per facebook anche se, devo dire, io non sono iscritta a facebook, né lo frequento.

Giallo, Noir e Thriller, generi sottilmente diversi che sempre più spesso sono andati confondendosi, secondo lei perché? E in generale le etichette a chi sono più utili, agli editori/librai per questioni di marketing, o ai lettori?

Intanto c’è da dire che il termine Giallo è usato unicamente in Italia e deriva, come tutti sanno, dal colore della copertina dei mistery pubblicati da Mondadori,  così come il nero caratterizzava le copertine dei mistery  che uscivano in Francia per Gallimard. Credo che le contaminazioni siano davvero inevitabili perché, per fare un esempio, la suspense è presente in tutti questi sottogeneri e così i meccanismi della sorpresa. Il Noir aveva due elementi fondamentali: la dark lady e lo spleen che permeava la storia. Nel Giallo classico la soluzione finale non soltanto scioglie l’enigma ma è catartica e liberatoria. Io stessa, a pensarci, non saprei esattamente dove collocare i miei romanzi perché, come tanti autori, mi piace molto”giocare” con i generi. E allora? Penso che certe distinzioni, ad esempio, siano più utili ai lettori che non ai librai, perché possono aiutarli meglio nella scelta di un titolo piuttosto che di un altro.


Carlo Parri

Prima del 2012 era pressoché sconosciuto nel web, poi quest’anno incassa due prestigiose finali e soprattutto vince il Premio Tedeschi… ma chi è Carlo Parri, cosa faceva prima di questo strepitoso 2012 e quali progetti ha per il futuro?

Prima facevo quello che faccio adesso. Insegnavo marketing, realizzavo progetti aziendali e scrivevo. La differenza è solo una. Prima del 2012 quello che scrivevo rimaneva nei miei archivi. Il mio futuro appartiene all'altro me stesso che io suppongo in me. Un romanzo già pronto per la pubblicazione. Un Cardosa 2 per intenderci e altri sette romanzi in "macchina". Non solo noir.

Dicevamo, finalista Giallo Latino e Giallo Stresa, vincitore di Giallo Birra ed Esperienze in giallo e poi naturalmente la pubblicazione de ‘Il metodo Cardosa’ nella collana del Giallo Mondadori… attenta pianificazione o ispirazione improvvisa?

Una piccola correzione. A Giallo Latino sono stato lieto di partecipare in qualità di ospite. Finalista e menzione speciale lo sono stato invece a Mystfest. Il mio mestiere consiste nell'insegnare l'arte della pianificazione, sarebbe vergognoso se poi io non sapessi pianificare. Il premio Tedeschi è solo un potente trampolino di lancio, ma se non hai già pianificato il seguito, c'è il rischio di cadere fuori dal perimetro della piscina.


Andrea Carlo Cappi

Dodici pagine di wikipedia illustrano come Andrea Carlo Cappi, in vent’anni, abbia esplorato tutte le declinazioni del narrare: traduzioni, romanzi, racconti, saggi, fumetti, teatro, racconti dal vivo e sempre più spesso ultimamente anche mini-racconti pubblicati su facebook… perché facebook? C’è chi lo demonizza e lo evita, alcuni aprono una pagina e la aggiornano (o la fanno aggiornare) per promozione, molti esordienti pensano che sia il modo migliore per farsi conoscere, lei invece? Come ha deciso di interpretare questo strumento di comunicazione?

Facebook è effettivamente un modo per farsi conoscere, anche se alcuni pensano di poterlo fare acquisendo "amicizie" per piazzare due secondi dopo la pubblicità dei loro libri sulle bacheche altrui. Io mi limito a fare promozione sulla mia pagina e su quelle correlate, dove annuncio anche i numerosi eventi e presentazioni (soprattutto di libri altrui) che organizzo o a cui partecipo. Ho preso l'abitudine di intrattenere i lettori con un racconto gratuito alla settimana, alcuni di repertorio (soprattutto i miei "racconti dal vivo", una sessantina di testi improvvisati con l'interazione del pubblico) e altri scritti appositamente. E' un modo per sopperire alle carenze di informazione da parte delle case editrici, a volte distratte, altre volte impossibilitate a segnalare le loro uscite nell'oceano di pubblicazioni che appaiono ogni giorno. E, nel frattempo, i miei lettori si divertono e qualcun altro scopre come scrivo.

Nel suo curriculum spiccano traduzioni prestigiose di grandi maestri del thriller d’oltreoceano… cos’hanno i Preston-Child i Patterson-Sullivan e Jeffrey Deaver che gli autori italiani non hanno? C’è differenza tra il narrare americano e quello italiano?

In alcuni casi sì. Molti autori americani - non tutti - si distinguono per serietà e professionalità. Il rischio a cui sono esposti i più famosi di loro è talvolta quello di essere... stritolati dallo star-stystem e dalla serialità, con l'obbligo di sfornare ogni anno più libri di quelli che hanno voglia di scrivere, a detrimento della qualità. In Italia c'è a volte la tentazione di imitare questi o altri modelli e ripeterli fino allo sfinimento. Poi ci sono parecchie voci originali, che spesso si trovano in pubblicazioni da edicola o presso piccole case editrici.


Tavola Rotonda

Rispetto a ciò che avviene all’estero, in Italia c’è un’anomalia con cui la narrativa di genere, anche detta di intrattenimento (per quanto questa definizione non mi piaccia) deve fare i conti: l’ambiente edicola. Qui mese dopo mese, vari editori, buttano nella mischia romanzi che in trenta giorni si giocano tutte le vendite e poi diventano ‘arretrati’; i nomi dei loro autori, forse, restano impressi a una stretta cerchia di lettori appassionati o collezionisti e se restano confinati in questo ambiente non possono neppure fregiarsi dello status di scrittore indipendentemente dalle migliaia di copie vendute in quel solo singolo breve lasso di tempo... quindi c’è di fatto una distinzione tra narrativa da edicola e una da libreria, serie A e serie B? La recente apertura verso il mercato degli ebook delle collane Mondadori abbatterà questa barriera?

Annamaria Fassio: Non mi piace pensare a letteratura di serie A e serie B, anche se purtroppo in Italia questa distinzione, come lei diceva, è sempre molto presente. Secondo me,  esistono romanzi “buoni”  e romanzi “cattivi” a prescindere da dove vanno a finire. In edicola trovi delle eccellenze, allo stesso modo in libreria talvolta ti imbatti in romanzi illeggibili. Non  credo che uno scrittore che esce soltanto in edicola non possa fregiarsi di tale titolo.  Io pubblico sia in edicola che in libreria e in entrambi i casi mi sento una scrittrice. Punto! Ci sono però obiettive differenze,  inutile negarlo. A meno che non sia fuori catalogo,  in libreria, diversamente che in edicola, un libro lo trovi sempre. L’apertura verso il mercato degli ebook delle collane Mondadori credo che vada proprio in questa direzione e in tal senso non può che far bene sia agli scrittori che ai lettori.

Carlo Parri: L'edicola è una medaglia come le altre. Dritto e rovescio. Debuttare in edicola è un vantaggio straordinario. Otto, nove, diecimila copie vendute fanno la base per i futuri lettori di libreria. Uscire la prima volta in libreria comporta il rischio di trecento copie. Stop. Tutto finito. In edicola il tuo nome finisce accanto ai mostri sacri del genere. E anche questo non è da sottovalutare. Serie A, serie B non è pensabile. In edicola si può acquistare qualsiasi autore, da Pirandello e Calvino. Essendo un sostenitore degli ebook, anche in forme più complesse di quelle attuali, trovo che il processo di traferimento dall'edicola alla videolettura sia importante e di interesse garantito. Non trovo sovrapposizione tra la carta e il monitor. Sono due diversi atteggiamenti di lettura e due diversi approcci alla consultazione. Spesso io acquisto un libro in ebook, lo passo velocemente, poi lo compro cartaceo. Se non lo ritengo funzionale alle mie esigenze, lo lascio allo stato di ebook.

Andrea Carlo Cappi: Secondo me la barriera non sarà abbattuta. Certi narratori sono considerati a priori di serie B, che escano in libreria, edicola o digitale. Questa non è, naturalmente, l'opinione dei lettori: un romanzo in edicola un mese può vendere un numero di copie a stento raggiunto da altri in libreria, a meno che non sia imposto con la forza nelle vetrine. E questo nonostante il sovraffollamento delle edicole abbia segnato negli ultimi decenni un calo tanto della narrativa quanto dei fumetti, i cui numeri un tempo erano dieci o cento volte superiori.


Ma i consumatori della narrativa di genere, i lettori, secondo voi sono gli stessi o no? Esiste, secondo voi, una distinzione oggettiva tra il pubblico della libreria e quello dell’edicola?

Annamaria Fassio: No, non sempre i lettori sono gli stessi. In genere chi compra in libreria disdegna l’edicola, mentre un lettore di libri di edicola è più disponibile a farsi tentare dall’atmosfera della libreria. L’edicola, e per estensione “la bancarella” dell’usato, ha dei riti ben precisi, mentre nel negozio tali riti sono diversi: tempi rilassati, possibilità di girare in lungo e in largo per i banchi, di sfogliare un libro, o di leggere interi capitoli, cosa questa che in edicola è praticamente impossibile. Inoltre il frequentatore di librerie ha spesso e volentieri la vocazione, neppure troppo nascosta, del collezionista, mentre il lettore di libri di edicola tende al consumo immediato e, una volta letto, spesso e volentieri il libro va a finire sulle bancarelle.

Carlo Parri: Per esperienza dico che il lettore di collane edicola è, mediamente, più consapevole anche se, talvolta un po' troppo di nicchia. Quella mentalità che tende a costruire un ghetto con confini da difendere. In ogni caso il lettore-edicola è anche lettore-libreria, mentre non è altrettanto vero il contrario.

Andrea Carlo Cappi: C'è un'intersezione tra i due gruppi. Non tutti i lettori seguono entrambi i canali, ma molti sì. Semmai possono esserci inconvenienti che nascono dall'uso di pseudonimi, un tempo ritenuti necessari per l'edicola. Quando nel 2002 uscì dai periodici Mondadori (dove ero già noto anche con il mio nome) il mio primo romanzo firmato François Torrent, nessuno poteva collegarlo al romanzo firmato Cappi che nel frattempo vendeva decine di migliaia di copie in libreria.


Tornando al tema degli ebook, c’è chi sostiene che, specie per le collane dei generi più di nicchia, si arriverà all’estinzione della carta, chi invece crede che proprio i generi più snobbati potranno avvantaggiarsene… voi cosa ne pensate?

Annamaria Fassio: Mah!  Quando è nata la scrittura,   Platone diceva che non era precisamente una buona cosa perché nessuno avrebbe più usato la memoria…Molti insegnanti oggi si lamentano che il computer allontana i ragazzi dalla lettura, mentre invece è esattamente il contrario. La stessa cosa, penso, succederà per gli ebook. Non credo che arriveremo all’estinzione della carta e se ciò avverrà non sarà certo per gli ebook.  E poi sì, penso davvero che i generi più snobbati potranno ricavarne un vantaggio.
Invece non entro nel merito della spinosa questione degli investimenti necessari per impiantare un mercato di editoria digitale. Credo comunque che solo le grandi case potranno aprire tali mercati, ma, ripeto, non sono un’esperta di queste problematiche e preferisco lasciare ad altri la trattazione del tema.

Carlo Parri: Due euro di differenza non giustificano la scelta dell'ebook. Vero è che esistono autentici appassionati della videolettura, che non leggono un libro se non esce in ebook, ma sono numericamente inconsistenti. Un romanzo di collana edicola è un acquisto a prezzo "ancora" come si dice nel linguaggio del mkt.  Dunque facilmente effettuabile anche in tempi di crisi anzi, la crisi sposta sempre più il lettore verso l'edicola per ovviare ai sedici o diciotto euro dell'edizione libreria.

Andrea Carlo Cappi: Non credo a una sparizione della carta, almeno a tempi brevi. Il mercato degli ebook in Italia è ancora poco sviluppato e i libri in digitale hanno il difetto di essere meno visibili: non sono esposti su uno scaffale, su un bancale o in un'edicola, bisogna andarli a cercare nelle librerie online o scoprirne l'esistenza attraverso articoli di siti specializzati o, perché no, l'autopromozione su Facebook. Nonostante i prezzi inferiori, quando un mio titolo è presente sia in libreria (o in edicola) sia in digitale, vende di più nella versione cartacea. D'altra parte di ebook ce ne sono moltissimi, non sempre si possono "sfogliare" e se non si conosce già l'autore, è difficile distinguere tra opere di qualità e lavori di dilettanti.


Credete vi sia una connessione tra i premi letterari, il nome che circola sul web, la pubblicazione in edicola e infine la conquista di uno spazio in libreria?

Annamaria Fassio: La connessione c’è senz’altro però la filiera non è così lineare e non è detto che la conquista di uno spazio in libreria segua questa logica.

Carlo Parri: Oggi di spazio in libreria ce n'è anche troppo. Basta pagare e un ISBN non te lo nega nessuno. Un editore "normale", uno che quando ti pubblica non vuole denaro anzi, te lo dà, mette in libreria autori che hanno superato dei parametri di mercato ben definiti. Vincere un premio per racconti non offre garanzie. Direi che nemmeno un Tedeschi le offre. Serve la pubblicazione con un risultato di vendite eclatante. Il famoso zoccolo duro che, al momento della libreria, sia pronto all'acquisto di un autore che ha già potuto apprezzare. Per il resto, una connessione tra circolazione in rete e vendite non la si può certamente escludere.

Andrea Carlo Cappi: Il mio nome circola sul web da almeno una quindicina di anni, sono uscito con romanzi e racconti in edicola, libreria e ormai anche in digitale, C'è anche chi, come Stefano Di Marino, seguendo gli stessi percorsi, ha una produzione ancora superiore alla mia. Nessuno pensa mai a candidare i nostri libri ai premi sul noir, il thriller, il giallo o come lo vogliamo definire, nemmeno quando usciamo in libreria. Nonostante questo, siamo ancora qui e continuiamo a scrivere. Per i nostri lettori..

domenica 16 dicembre 2012

Stefano di Marino: licenza di... scrivere




Per lo speciale di Pinkafé dedicato alla letteratura da edicola, Elena Taroni Dardi ha intervistato Stefano Di Marino, autore, traduttore, saggista.
Siamo davvero lieti di presentare ai nostri lettori uno fra i più noti scrittori in ambito thriller e noir.
Attenzione, però: non rivelatelo a nessuno. Tutto questo è davvero... Segretissimo


di Elena Taroni Dardi









Lo scenario. Nel 1989 entri nella redazione della rivista Urania e da allora hai sempre lavorato a vario titolo nell’editoria e fin dai primi romanzi, a partire dal 1990, è un fiume inarrestabile di racconti, saggi, romanzi, articoli, per non parlare delle traduzioni e delle altre svariate iniziative e sfide a cui non rinunci mai… ma sei tu a dominare l’avventura o è l’avventura che domina le tue scelte?

SDM Decisamente l’Avventura  sceglie per me. Battute a parte ho sempre scritto. Sin da quando avevo 13 anni non ricordo un periodo della mia vita in cui non ho scritto di avventure o di viaggi. Le prime pubblicazioni risalgono al 1985 proprio sul Varietà di Segretissimo, poi su Gioia e su una rivista di arti marziali che si chiamava Banzai. È il lavoro che ho sempre sognato di fare, la mia vita. Durissima perché è un ambiente veramente difficile ma sono ancora qui. Sposando il Pulp che a volte è un genere sfruttato da aspiranti autori e snobbato dalla critica ma che vanta nomi di prestigio.


Obiettivo: contatto diretto. I tuoi post su Segretissimo a volte raggiungono il centinaio di commenti, hai un tuo blog seguitissimo, la tua pagina Facebook è quasi un’estensione del profilo personale, e poi l’appuntamento settimanale all’Admiral di Milano e veri e propri tour estivi… non può solo essere per promozione. Raccontaci quanto è importante per Stefano Di Marino il rapporto con i lettori.

SDM. Assolutamente fondamentale. Quando ho iniziato non c’erano questi mezzi e, devo dire, non ero troppo convinto che servisse a qualcosa. Poi negli anni ho imparato...che consolo utile per promuoverti (anche a costo di farlo solo con le proprie forze) ma i lettori ti seguono, un po’ sono convinti che Il professionista e il suo autore si identifichino, il che è certamente un’esagerazione. Poi mi piace, mi piace moltissimo. Vedi io ho iniziato facendo la  cronaca degli incontri di Kickboxing. Parlare per due ore durante tutti gli incontri senza fermarsi un attimo. Che scuola... e da lì ho capito che il contatto con il pubblico non solo fa parte del nostro lavoro come la creatività ma è anche un piacere.


Nome in codice. Agli esordi, tu e molti dei tuoi colleghi siete praticamente stati costretti a scegliervi uno pseudonimo esterofilo poiché un nome italiano in copertina, specie in edicola, sarebbe stato più un deterrente che un invito all’acquisto, e questo a prescindere dalle trame o dalla effettiva qualità del romanzo… ti sembra che oggi le cose siano cambiate, che i lettori siano più consapevoli, o il nome straniero ha sempre più appeal di uno italiano?

SDM. Ti confesserò una cosa. Sono un assassino! Di tutti gli pseudonimi che ho usato dall’inizio degli anni ’90 per le ragioni che hai appena esposto (esterofilia degli editori e dei lettori) ho eliminato tutti questi scomodi avatar salvo Stephen Gunn che è un po’ un brand e non avrebbe senso firmare con il mio nome una serie che ne ha già proposti 35... almeno su Segretissimo. Per il resto adesso firmo tutto il resto con il mio nome vero.


Destinazione. Il tuo personaggio più noto, Chance Renard, ha vissuto avventure e sgominato intrighi in tutto il mondo in un tourbillon di capitali e luoghi esotici… per gratificare l’autore, il personaggio o i suoi lettori? Quale dei tre si è ‘divertito’ di più?

SDM Egoisticamente il suo autore. Io poi spero che la cosa sia gradita anche ai lettori. Chance è nato per essere ‘un personaggio per tutte le avventure’ dalla spy, al noir, all’avventura tout-court e (nel caso delle storie delle Brigate del Tigre) anche del thriller storico. Mi sembra una buona formula per non cristallizzare la serie. Oggi - grazie alla tv soprattutto - l’immutabilità delle serie è un concetto superato. Ogni tanto, abbastanza spesso, ci vuole un cambio di marcia, un reboot. Batman e 007 insegnano...


Equipaggiamento. Durante i ventitré anni della tua carriera, le nuove armi, veicoli e dotazioni, le tecniche stesse di guerra e guerriglia, sono cambiate alla velocità della luce… quanto impegno ha richiesto, richiede, mantenerti aggiornato per inserire tutti quei piccoli, ma anche non tanto piccoli, particolari che fanno la differenza nei tuoi romanzi e che il genere spy-action richiede?

SDM. Un aggiornamento continuo. Io leggo continuamente cose tecniche, aggiornamenti di geopolitica. In particolare la rivista francese  Diplomatie è utilissima per  il background  della vicenda, poi ci sono riviste e libri sulle armi e la tecnologia. Ora io sono un sostenitore dell’Hum-Int, lo spionaggio che privilegia il  ‘fattore umano’ ma non si può restare fermi al raggio della morte e alle fotocamere miniaturizzate quando con il cellulare puoi fare facilmente quello che gli agenti anni ’60 facevano con i gadget della sezione Q. però bisogna sempre trovare una via di mezzo per raccontare una storia dove sono le persone che agiscono. Un esempio. La video sorveglianza sembra non lasciarci mai, ma c’è un tale flusso di informazioni e immagini che a volte non sai dove cercare. Infatti spesso si trovano indizi ‘dopo’ un attentato, mai prima.... per quello ci vogliono le vecchie spie. I lampionai, come scriveva LeCarré.


La squadra. Parafrasando: squadra che vince non si cambia, e infatti Chance nelle sue avventure finisce per circondarsi di quelli che considera ‘fidati’. Poiché il suo lavoro è la sua vita è inevitabile che gli affetti per lui siano i colleghi, i compagni di avventura, con i quali ha rapporti complicati che però spesso, per esigenze di trama, vengono lasciati in secondo piano… è per questo che ci sono svariati racconti collaterali tesi a chiarire questi rapporti? Parlaci dell’ultimo, Gangland-Cracovia un affare di donne, che generosamente hai pubblicato gratis su Thriller Magazine…

SDM. Nel corso degli anni Chance ha avuto diversi comprimari. Alcuni sono scomparsi per esigenze di narrazione, altri sono andanti in pensione per limiti di età. Altri invece tornano anche se non in tutti gli episodi. Le donne, in particolare. Gangland-Cracovia un affare di donne l’ho scritto per accompagnare Nero Criminale che è una storia a sé, per ora pubblicata fuori collana perché è più un noir che uno spionaggio. E presenta Antonia e la Bimba in una luce diversa. E mi pareva giusto che, per una volta, fossero loro le protagonista. Ma non è una trovata solo mia. Molti maestri del thriller hanno creato degli spin-off dei loro comprimari più riusciti. Come sempre dico, non s’inventa mai nulla. Il nostro lavoro è quello del nano che sale sulle spalle del gigante.


Cherchez la femme. Inutile girarci attorno, il target a cui si rivolgono molti dei tuoi romanzi è maschile. Un uomo che scrive per uomini, c’è da aspettarsi personaggi femminili stereotipati, descrizioni in linea, e invece… invece le donne sono tutte donne forti, spesso con passati difficili alle spalle, donne che hanno fatto scelte nette e decise, anche di grande complessità, sono magari un po’ tutte troppo attratte dal Professionista, ma non sono mai scontate e, soprattutto, sono sempre rispettate (anche perché reagiscono molto male alla mancanza di rispetto!): parlaci di loro, qual è la tua preferita?

SDM. È vero che il target medio delle mie storie è un pubblico maschile...ma non maschilista. Le donne mi piacciono, forse è per questo che riservo loro sempre dei ruoli che, pur nei canoni del filone, mantengono una loro dignità. Di tutte quelle che hanno incrociato la strada del  Professionista ne ricordo tre diversissime tra loro ma  sempre modelli di femminilità forte, volitiva, sensuale e non piagnona o inutilmente femminista.  Mimy Oshima che un po’ è invecchiata con il prof, la donna che avrebbe voluto avere vicino per tutta la vita e che forse ama davvero. Poi c’è la Bimba che per molto tempo è stata un surrogato di figlia. È un personaggio in evoluzione, molto diversa dagli esordi. Adesso è una donna e il prof se ne accorge e deve prenderne atto. Poi c’è Antonia che è una vera dark lady, durissima, cattiva a volte, il lato oscuro. Che ha sempre il suo fascino...


Rendez-vouz. Gangland Blues (Segretissimo 1573) è un po’ una pietra miliare nella storia personale del personaggio Chance, ma credo anche sia stata una scommessa del suo autore e forse persino della collana, Segretissimo, che raramente è uscita con ambientazioni italiane… vuoi parlarcene? Come è nata l’idea e come è stata accolta dai lettori?

SDM Considero (immodestamente) Gangland Blues uno dei romanzi più riusciti della serie e su Milano in generale.... in verità esistono già due altri episodi precedenti che propongono l’ambientazione milanese e italiana. Gangland (del 2007) e Tiro all’italiana (del 2010). L’idea mi venne nel 2005. Ero stufo di sentire parlare di thriller italiano con isoliti commissari buonisti....ho voluto raccontare la mia città come la vedo io. Al lettore l’esperimento è piaciuto tanto che Gangland Blues fu il Segretissimo che vendette di più nel 2011 superato solo da Nome in codice Loki uscito qualche mese più tardi. Ritengo però che le avventure tutte milanesi siano più noir e così le scrivo  piazzandole, per il momento, in altri contesti. Come è accaduto per Vendetta e per Nero criminale.


Rapporto. Negli ultimi anni, ma mi sentirei di dire soprattutto in questo 2012 che sta volgendo al termine la novità degli ebook si sta imponendo nel mercato editoriale… cosa ne pensi? Credi che l’ambiente ‘edicola’ verrà influenzato nel prossimo futuro? E soprattutto, data la tua lunga e variegata esperienza, credi che gli operatori siano preparati?

SDM Discorso molto difficile. Sono un sostenitore dell’editoria digitale...ma in un futuro che purtroppo almeno da noi è ancora un po’ lontano. Forse sarà l’effetto della crisi economica o forse il semplice fatto che non è mettendo in mano a uno un ‘coso’ elettronico che lo si convince a leggere. Io voglio esserci sin da principio, ma sono ancora convinto che l’edicola per le nostre pubblicazioni popolari ed economiche, facilmente fruibili da tutti, possa dare delle soddisfazioni e sia ancora il principale campo di battaglia. Per questo sono molto compiaciuto del rinnovo delle collane Mondadori. Ovviamente qualsiasi sforzo dell’editore per sostenerle è gradito...


Missioni future. So che è quasi pronto Professionista story n. 3, una collana ad-hoc di Segretissimo che, non solo ripropone cronologicamente tutti i romanzi che hanno come protagonista Chance Renard, grazie alla tua straordinaria verve creativa, colma le lacune con romanzi inediti di raccordo in ogni uscita trimestrale; sei in libreria con Nero Criminale edito da Edizioni della Sera, sei il cuore stesso della rivista digitale Action (dbooks.it) e hai persino pubblicato un romanzo breve sentimentale sulla rivista Confidenze… più che chiederti dei progetti futuri sarebbe forse meglio chiederti la meta delle prossime vacanze, ma siccome sto intervistando il Mister Mission Impossible italiano la butto qui: in futuro vedremo più Stephen Gunn in edicola o più Stefano di Marino in libreria e nel web?

SDM. Parliamo di viaggi e vacanze per prima cosa. Se la situazione generale migliora vorrei molto concedermi ancora un viaggio in Sud est asiatico che è la zona che amo di più al mondo. Altrimenti più modestamente proseguirò le mie storie in cerca di location(e libri...) in Europa. A un viaggio a Parigi non rinuncio mai. Sul piano editoriale si annuncia un gennaio di fuoco. Non solo per il Professionista story(che contiene Appuntamento a Shinjuku che è un po’un classico ma anche l’inedito L’assalto) ma anche per il racconto Donna con viso di Pantera che uscirà nella raccolta del Giallo intitolata Giallo24. Una storia di trenta pagine ma cui tengo molto. Un thrilling all’italiana, di ispirazione argentina come piacciono a me, del genere che pubblico anche su Confidenze. Thriller dove non si spara, con misteri e omicidi da scoprire. Un po’ diverso dal mio abituale filone ma che amo moltissimo .E a tornare in libreria non ho rinunciato davvero. Ho in testa un paio di storie. Aspetto solo l’occasione giusta. Certi pensano che se non hai fatto il ‘botto’agli  esordi ti siano chiuse tutte le strade. Forse..e forse no. Ho una testa durissima. Anche per continuare in digitale, campo che è veramente molto difficile come dicevamo. Un saluto a tutti voi,redazione e lettori, ci vediamo sulla pagina :-)

giovedì 13 dicembre 2012

Editoria in Edicola, parla Franco Forte

di Faye e Astasia



Franco Forte è uno scrittore di successo: l’ultimo dei suoi romanzi “Il segno dell'untore” (Mondadori 2012) si è aggiudicato il Premio Fiuggi Storia 2012, uno dei più importanti premi letterari dedicati al romanzo storico.
È autore Mediaset per le serie TV "Distretto di Polizia" e "RIS: Delitti imperfetti", sceneggiatore, giornalista e direttore responsabile delle riviste "Writers Magazine Italia", "Robot" e "Delos Network", il network di siti di Delos Books.
Dal 2011 Franco Forte è anche Direttore Editoriale delle collane da edicola Mondadori I Gialli Mondadori, Segretissimo, Urania.
È in tale veste che Pinkafé lo ha contattato per rivolgergli alcune domande volte a comprendere il mondo della realtà editoriale rivolta al grande pubblico che acquista i propri libri in edicola.





Pinkafé è orgoglioso e felice di ospitare Franco Forte, al quale diamo il benvenuto.
La sua esperienza all’interno delle collane da edicola della Mondadori è iniziata anni fa come traduttore, autore e consulente editoriale. Oggi è direttore di collane storiche e di provato successo: vuole illustrarle ai nostri lettori?


Be’, direi che queste collane si raccontano da sole, grazie alla loro storia. I Gialli Mondadori hanno più di 80 anni, e sono la collana che ha dato il nome a questo genere letterario: il giallo lo chiamiamo tale proprio in riferimento al colore delle copertine di questa collana, non viceversa. Urania, dedicata alla fantascienza, ha compiuto quest’anno il 60° compleanno, ed è ormai un’icona della science fiction nazionale. Segretissimo, infine, è l’unica collana di romanzi dedicati alla spy story e all’action non solo in Italia, ma in gran parte del mondo.


Mediamente qual è il volume di affari che ruota intorno alle pubblicazioni vendute in edicola?

Il volume è molto grande, da una parte perché pubblichiamo moltissimi titoli (sessanta gialli all’anno, una trentina fra le varie proposte di Urania e un’altra trentina fra quelle di Segretissimo, quindi parliamo di 120 romanzi ogni anno), e poi perché il parco edicole è vastissimo e per coprirne quante più possibile le tirature sono molto alte, ben superiori alla media di quelle fatte registrare dai romanzi destinati alle librerie. D’altra parte, i nostri libri hanno prezzi di vendita molto bassi, pur presentandosi come romanzi di qualità a tutti gli effetti, e questo sta attirando molti lettori che, in tempo di crisi, preferiscono contenere le spese per la narrativa (senza per questo rinunciare a prodotti ben fatti).


Il suo ruolo comporta delle scelte: come “si sceglie” un’opera da pubblicare? Quali requisiti deve soddisfare?

Questa è la parte più delicata e difficile del lavoro. Si cerca di pubblicare gli autori consolidati, quelli che dimostrano (numeri di vendita alla mano) di avere un pubblico, e al contempo si va a caccia di nuovi talenti, di promesse capaci di stimolare l’interesse dei lettori, magari per allargare il ventaglio di acquirenti. Naturalmente, a volte si seguono le correnti letterarie del momento, altre gli autori che dimostrano la capacità di innovare, ma non sempre la risposta del pubblico è soddisfacente, così mese dopo mese, fascicolo dopo fascicolo, la collana muta e si adatta a seconda delle esigenze dei lettori, che sono piuttosto variegate, visto che il pubblico dell’edicola è quello che passa e acquista per un impulso del momento (coloro che fanno acquisti regolari sono la minoranza, purtroppo).
Quello che dobbiamo fare è cercare di interpretare questo “gusto di passaggio” e invogliarlo con proposte allettanti, a cui non sappiano resistere. A volte ci riusciamo molto bene, altre no.


A quale pubblico si rivolgono principalmente i romanzi venduti in edicola?

Come ho detto più sopra, a quello più vario ed eterogeneo che ci sia, perché in edicola ci vanno tutti, e se ci cade l’occhio su qualcosa magari lo acquistiamo, altrimenti no. C’è poi uno zoccolo duro di appassionati che acquista regolarmente le nostre collane, ma a quel punto preferiscono abbonarsi, così da avere la certezza di ricevere i volumi a casa spendendo quasi la metà rispetto agli acquisti singoli.


Quali sono le differenze o i punti in comune fra il pubblico che legge i romanzi da edicola e quello che acquista solo in libreria?

La mia esperienza mi dice che c’è una differenza enorme. Chi compra in libreria è più abituato a guardare sugli scaffali, a cercare, a giudicare le copertine e a leggere le quarte, a soffermarsi un attimo fra i bancali per vedere se qualcosa attira lo sguardo, se un libro incuriosisce. Il cliente dell’edicola è quello che passa di fretta, che non ha tempo da perdere mettendosi a guardare che cosa sfavilla sugli scaffali, e quindi bisogna catturarlo all’istante, altrimenti lo perdiamo. Una clientela più di consumo spicciolo, possiamo dire, di difficile catalogazione. Il che rende più difficile anche realizzare un prodotto che possa soddisfarla come si deve.


Quanto l'avvento di Internet ha modificato il pubblico e le collane?

Mah, più che Internet, direi l’ebook. Questo sì sta cambiando le cose. Noi verifichiamo ogni giorno un grande interesse verso la versione digitale dei nostri libri, e questo, per fortuna, senza un decremento proporzionale delle vendite in edicola. Il che significa che l’ebook ci sta portando clienti nuovi, diversi da quelli dell’edicola e più abituati a ragionare come i frequentatori delle librerie. Un’opportunità magnifica per ampliare il pubblico e avere dati certi di vendita di titoli e autori.


C'è qualcosa che è mutato in modo rilevante nel corso degli anni, oppure le collane  rimangono, salvo modifiche fisiologiche, sempre le stesse?

Abbiamo cambiato tutto, nell’arco di due anni. Formato, grafica di copertina, interni, autori. Ultima in ordine cronologico Urania, che ha festeggiato i 60 anni di vita con un cambio di grafica e formato, come già era successo per i Gialli nel 2011 e per Segretissimo all’inizio del 2012. Dopodiché, ci sono sottocollane che muoiono e altre che nascono, in un continuo tentativo di variegare l’offerta e cercare di captare le istanze di questo frenetico pubblico da edicola che non si ferma mai.


I gusti dei lettori come si sono evoluti?

Molto poco, direi. I classici, infatti, sono quelli che vanno sempre per la maggiore, in tutte le nostre collane.


Gli autori che pubblicano nelle collane da edicola hanno una grande diffusione e un pubblico assai vasto; tuttavia, nonostante non rappresenti più il luogo di vendita delle “eccellenze”, ogni scrittore aspira a vedere il proprio lavoro collocato sugli scaffali di una libreria. Scrivere per l’edicola rende il passaggio alla libreria più facile o, al contrario, vincola l’autore a questo settore?

Il fatto è che un libro da edicola sta fuori un mese, poi scompare. In libreria dura di più, soprattutto se appartiene a una collana che riesce a fare catalogo, e quindi a rifornire i propri titoli indipendentemente dalle singole vendite. A fronte di questo, è ovvio che un autore preferisca la libreria, anche se poi, a conti fatti, venderebbe di più in edicola (a parte i casi di bestseller, ovviamente). Pubblicare con l’edicola non è un viatico per le collane da libreria, né un impedimento. Sono semplicemente due canali diversi, così come l’ebook diventerà presto un terzo sentiero da percorrere, anche in originale.


Gli autori italiani devono confrontarsi con la maggiore offerta rappresentata dal mercato internazionale e con una certa esterofilia dei lettori: questo può comportare che – pur sulla base di una parità qualitativa – sia preferito l’autore straniero a quello di casa nostra?

E’ sempre così, purtroppo, anche se da qualche anno le cose stanno migliorando. Del resto, non c’è altro modo per dimostrare ai lettori che anche gli italiani sanno scrivere bene, se non quello di proporre romanzi di valore. E per farlo l’edicola mette in campo delle iniziative uniche nel loro genere, come per esempio il Premio Tedeschi per il giallo e il Premio Urania per la fantascienza, che consentono di valutare dattiloscritti italiani con grande attenzione, e scegliere il migliore da pubblicare, che viene regolarmente premiato da pubblico, che lo acquista con lo stesso interesse dei tanti stranieri che vanno per la maggiore.



martedì 11 dicembre 2012

Grandi libri, piccoli prezzi: la narrativa in Edicola

di Faye



Prima dell’avvento di internet e degli e-book, un’ipotetica piramide che sintetizzasse la tipologia dei fruitori della letteratura attraverso il libro cartaceo avrebbe contemplato nella più ristretta parte sommitale tutti coloro che, per motivi di studio, di ricerca o d’introvabilità delle opere, usano frequentare il luogo deputato per eccellenza: la Biblioteca. Che sia di quartiere, nazionale o specialistica, potremmo paragonarla a un tempio, un vero e proprio santuario, che solo nell’ultimo secolo ha perso l’aurea mistica che la circondava dai tempi di Alessandria d’Egitto.

La fascia intermedia è rappresentata invece da un luogo molto più “comune”. Mano a  mano, infatti,  che il benessere economico ha reso la circolazione dei volumi quasi alla portata di tutti, la Libreria è diventata, per tutti gli appassionati della lettura, la caverna di Alì Babà con i suoi mitici tesori. Forse la carta stampata non brilla come l’oro o le gemme preziose, ma ha un profumo paradisiaco per tutti coloro che sono libro-dipendenti…
E la larga, solida base della nostra piramide, cosa rappresenta?

C’è un posto nel quale la larghissima maggioranza dei lettori si sente quasi come a casa propria, quasi sempre vicino alle nostre case e facile da raggiungere. Chi lo frequenta con cadenza giornaliera, chi rispettando precise cadenze nel corso dell’anno.

Chi vi si reca ansioso di trovare l’ultima fatica letteraria del proprio autore preferito, chi invece cerca in fretta un compagno di viaggio e si fa attirare dalla copertina più appariscente.
Parliamo, naturalmente, dell’EDICOLA.

Un tempo semplici costruzioni di legno, oggi ambienti che si stanno sempre più attrezzando per rendere piacevole la nostra scelta, offrono a tutti i lettori possibilità innumerevoli: dalle ristampe di grandi capolavori, magari in abbinamento con il quotidiano, alle “collane” che ci emozionano maggiormente.
Vi troviamo libri per tutti i gusti: thriller, sentimentali, polizieschi, fantascienza, noir; le maggiori case editrici fanno a gara per pubblicare titoli sempre più accattivanti, nella miglior veste possibile, pur contenendo il prezzo per renderlo largamente accessibile.
Non è un mondo affascinante? Pinkafé ne è assolutamente convinto.

Per questo abbiamo intervistato per i nostri lettori “i professionisti” del settore, editor e autori famosi, che ringraziamo per la loro disponibilità, la cortesia e un fantastico spirito di collaborazione.

“Buona edicola” a tutti!



lunedì 10 dicembre 2012

Decorare con lo Stencil

di Erin Kross


Eccomi ancora a voi, con un nuovo sistema di pittura.
Io lo uso per nascondere le piccole macchie bianche di candeggina che mi si fanno sugli abiti quando la uso per la casa. Sono una persona sbadata  ;-) e, spesso, devo riparare le piccole disavventure sui miei capi di abbigliamento.

Parlo della tecnica dello Stencil

Sono sicura che l’avete già sentita nominare, è una tecnica molto antica e molto facile.
Stencil significa “mascherina”, ovvero un disegno intagliato su un foglio di acetato, cartone ed altri materiali. Lo si può fare da sole, ma se non si ha pratica lo si può comperare nelle cartolerie, nelle ferramente e  nei colorifici, i soggetti sono tantissimi.

Il materiale che vi occorre per dipingere su stoffa con lo Stencil è il seguente:
1) un tavolo, se delicato lo si proteggerà con un foglio di plastica.
2) della carta assorbente
3) nastro adesivo di carta
4) un pennello possibilmente  piatto
5) uno STENCIL con il motivo che più vi piace 
6) i vasetti di colore da tessuto coprenti  oro, bronzo per tessuti scuri; argento, o perla per tessuti chiari.
7) il materiale macchiato dalla candeggina da dipingere
8) ciotoline x colore.
9) un piccolo recipiente per l’acqua
10) colla spray
11) cotone  e alcool

Radunato il materiale, si inizia a preparare il lavoro:

– stendete il foglio di carta sul tavolo per non sporcarlo;
– stendete bene il capo macchiato, osservate con attenzione le macchie da coprire con il colore;
– inserite al rovescio la carta assorbente all’interno;
– fissate l’indumento ben teso con del nastro adesivo, facendo attenzione che non ci siano pieghe.
– prendete lo stencil e scegliete i disegni che possono coprire le macchie
– spruzzate un po’ di colla sul rovescio dello stencil che si userete.
– appoggiatelo con attenzione sul tessuto, essere sicuri che la macchia venga coperta dal colore e premete con la mano  che aderisca bene
– agitate il vasetto del colore scelto, e versatene un po’ in una ciotolina.
– intingere il pennello e colorate velocemente sulla parte destinata
– attendete due minuti prima di togliere lo stencil e “magia” : la macchia non c’è più!

Procedete con lo stesso sistema su tutte le altre macchie. Alla fine, se per esempio lo stencil era a forma di fiore o di foglia, potete unire le figure usando un pennello sottile.
Ecco che il capo rovinato diventa anche più bello di prima, valorizzato da un simpatico motivo decorativo. Alla fine del lavoro, ricordatevi di pulire lo stencil molto bene con cotone e alcool, in modo che sia riutilizzabile. Lasciate riposare il lavoro per due giorni, e poi stiratelo al rovescio con ferro caldo secondo il tessuto.


Con il metodo Stencil potete decorare jeans, felpe, grembiuli, e ogni tipo di tessuto,  abbigliamento per bambini, e biancheria per la casa, ma non solo... Anche oggetti di legno, piccoli oggetti, mobili, addobbi Natalizi, vasi, vassoi di legno o di metallo... basta cambiare tipo di colore e aggiungere fantasia.


venerdì 7 dicembre 2012

"Classica": i capolavori della letteratura, letti e commentati insieme a voi


di Faye



I grandi “Classici”: capolavori che conosciamo dai tempi della scuola,  o che  vediamo da sempre sugli scaffali della libreria di famiglia. Eppure, a meno di una passione e di un interesse personali, entrambe le situazioni possono non solo essere insufficienti a stimolare il desiderio della lettura, ma persino rivelarsi controproducenti.
Senza contare la mancanza di tempo che affligge un po’ tutti e l’incredibile proliferazione letteraria che ci circonda. Basta  entrare in una libreria per essere sommersi da titoli di ogni tipo, e capita frequentemente di soccombere alla tentazione di una letteratura di consumo, facile, veloce ed economica.
Tuttavia, a volte per un motivo banale, si prova il desiderio di approfondire o rispolverare la conoscenza di titoli famosi:  siamo incuriositi da una  nuova versione teatrale o cinematografica, dalla citazione da parte di un collega o all’interno di un articolo, o ci troviamo in imbarazzo di fronte alla domanda insidiosa dei nostri figli.
E la trama, rispolverata in fretta dalle pagine di internet, non ci regala la minima soddisfazione…
Nasce da qui l’idea di Pinkafé: la nostra proposta è quella di creare una sorta di biblioteca virtuale per la conoscenza di testi famosi, fornendo la possibilità di (ri)leggere alcune fra le pagine più belle della letteratura mondiale.
Non daremo solamente qualche notizia sugli autori o sull’opera che prenderemo in esame, né ci limiteremo ad un semplice riassunto della trama.
Quello che – con un po’ di ambizione e molto coraggio – ci proponiamo di fare, è leggere insieme a voi le pagine più universalmente note, e/o quelle a parer nostro più belle o significative,  avendo cura di creare elementi di raccordo per inserirle in un quadro completo e armonico dell’opera.
Non mancherà qualche breve commento, per sottolineare o spiegare punti di particolare interesse.
Dedichiamo questa rubrica a tutti coloro che amano la letteratura e desiderano ritrovare vecchi amici, e soprattutto a chi desidera conoscere più da vicino capolavori che non ha ancora avuto il tempo di leggere.

Buona lettura con Pinkafé


Il Progetto Classica  inizia con Grandi Speranze di Charles Dickens

Spot sull’Autore

Charles Dickens è un famoso scrittore inglese (1812-1870). Noto per i suoi racconti ricchi di humour (“Il circolo Pickwick”), ha ottenuto la fama universale soprattutto per i suoi  “romanzi sociali”. È il caso di David Copperfield, Oliver Twist, La piccola Dorrit, protagonisti indimenticabili che si muovono appunto sullo sfondo del disagio sociale, magistralmente delineato dalla penna dell’autore.

Le trasposizioni cinematografiche e teatrali dei suoi romanzi sono davvero moltissime.
Dal mese di dicembre, Grandi Speranze è riproposto sul grande schermo, per la regia di  Mike Newell e la sceneggiatura di David Nicholls. Nel cast di questo film applaudito al festival di Toronto, Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes, Holliday Grainger.


Spot sull’Opera
Grandi speranze (Great Expectations) fu pubblicato a puntate tra il 1860 e il 1861, sul periodico settimanale All the Year Round, fondato dallo stesso Dickens. È considerato uno dei suoi romanzi brevi più intensi ed eleganti, nonché uno dei più popolari. È la storia dell’orfano Philip Pirrip  detto Pip e della sua vita, dall’infanzia all’età adulta, secondo lo schema del “romanzo di formazione” seguito in David Copperfield. La narrazione inizia la vigilia di Natale dell’anno 1812, quando Pip ha sette anni e termina nel 1840. La giovane e bellissima Estella è il personaggio femminile che si contrappone a Pip, ma è con la creazione di Miss Havisham, l’anziana e instabile madre adottiva di Estella, che Dickens ci regala  una protagonista di prima grandezza.

Grandi Speranze

Capitoli 1-7

"Il cognome di mio padre era Pirrip, e il mio nome di battesimo Philip, ma la mia lingua infantile non riuscì mai a ricavare dai due nomi nulla di più lungo o di più chiaro di Pip. Così presi a chiamarmi Pip, e Pip finii per essere chiamato da tutti."
Così il protagonista, voce narrante di tutta la storia, presente se stesso, nelle prime righe del romanzo.
È la vigilia di Natale e pur nella sobrietà della descrizione - un tratto tipico di Dickens, autore che riesce a dire moltissimo con poche parole o, al contrario, a nascondere profondi sottintesi in frasi eleganti e poetiche - è facile intendere la solitudine del piccolo orfano, che contempla le lapidi dei genitori e dei fratellini nel piccolo cimitero, in prossimità della palude.
È qui che si svolge l’incontro  cardine di tutta la storia: Pip è terrorizzato da “un uomo spaventoso, vestito di ruvido panno grigio, con un grosso cerchio di ferro alla gamba. Un uomo senza cappello, con le scarpe rotte e un vecchio straccio legato intorno alla testa. Rimasto a macerare nell'acqua, a soffocare nel fango, azzoppato da pietre, ferito da sassi, punto da ortiche, graffiato da rovi; un uomo zoppo e tremante, truce e torvo, che batteva i denti afferrandomi per il mento."
Spaventato dalle minacce dell’uomo,  Pip acconsente a portargli una lima e un po’ di cibo rubato dalla dispensa.
Trovare una lima è facile, perché Pip vive a casa di un fabbro, il buon Joseph (Joe) Gargery che ha sposato l’unica sorella superstite di Pip. Il problema è sottrarsi alla punizione della terribile Mrs. Gargery, una virago di vent’anni più grande che ha tirato su il fratellino “con le mani”, solleticando spesso le sue spalle (e quelle del timido marito) con un bastone. Pip riesce nell’impresa, ma il suo aiuto si rivela vano in quanto, proprio il giorno di Natale, l’evaso Abel Magwitch è riacciuffato dai soldati proprio alla presenza di Pip.
La vita tranquilla del bambino, che pure è stata sconvolta dall’esperienza nella palude (”Guardai le stelle e pensai come doveva essere atroce per un uomo, mentre sta morendo di freddo, alzare gli occhi al cielo e non trovare in tutta quella miriade scintillante né aiuto né pietà”) sta per cambiare bruscamente. Infatti, la ricchissima ed eccentrica Miss Havisham "dei quartieri alti" ha chiesto la compagnia di un bambino per “vederlo giocare”. È un’occasione che l’avida Mrs. Gargery non intende lasciarsi sfuggire.

Capitolo 8
Pip è condotto a “Casa Satis”,  “Casa Abbastanza”, una dimora “di vecchi mattoni, tetra, piena di sbarre di ferro da ogni parte. Alcune finestre erano state murate. Delle restanti, inferriate arrugginite sbarravano quelle più in basso, e anche il cortile sul davanti era sbarrato, sicché dovemmo aspettare, dopo il suono del campanello, che qualcuno venisse ad aprire.”
Pip ha un po’ di paura, ma sa che non può tirarsi indietro. Quello che ignora è che in questa casa incontrerà le donne che cambieranno la sua vita.
Ed ecco in che modo, attraverso gli occhi del giovane protagonista, Dickens ci presenta uno dei suoi personaggi più incredibili.
Miss Havisham è delineata con vocaboli e frasi che rendono nello stesso tempo l’idea del disfacimento e della morte (e quindi giustifcano il terrore del giovane Pip), e una struggente delicatezza, una malinconia che il bambino riesce a cogliere e, nonostante tutto, a comprendere. Perché anche lui ha subito l’ingiustizia e il suo piccolo cuore l’ha ingigantita. Splendido e attualissimo il monito di Dickens nei confronti dell’infanzia “violentata” da un’educazione troppo rigida.

“Tuttavia, visto che non potevo far altro che bussare, bussai, e dall'interno mi fu detto di entrare. Entrai, dunque, e mi ritrovai in una stanza discretamente spaziosa, ben illuminata da candele di cera. Non vi filtrava neanche il più lieve bagliore di luce esterna. Era uno spogliatoio, a giudicare dall'arredamento, anche se forme e usi di gran parte della mobilia mi erano a quel tempo sconosciuti. Su tutto, spiccava un tavolo coperto da un drappo, sormontato da uno specchio con la cornice dorata.  Così compresi che  si trattava della toletta di una signora e forse la riconobbi proprio perché vi era seduta una bella  signora. La più strana signora che io abbia mai visto o che possa mai vedere. Era seduta in una poltrona, col gomito appoggiato al tavolo e la testa posata sulla mano.
Era vestita di tessuti preziosi - satin, pizzo, seta - tutta in bianco.
Anche le scarpe erano bianche erano. Un lungo velo bianco le scendeva dai capelli, e vi erano fiori nuziali tra i capelli, ma i suoi capelli erano tutti bianchi. Gioielli scintillanti brillavano sul collo e sulle mani, e altri sul tavolo. Vestiti meno sfarzosi di quello che indossava erano sparpagliati per la stanza, e vi erano dei bauli riempiti a metà. Non aveva terminato di vestirsi, poiché aveva una scarpa sola - l'altra era sul tavolo, vicino alla mano - il velo non era sistemato a dovere, orologio e catena giacevano accanto allo specchio, ammucchiati in disordine insieme a un merletto da portare sul seno, al fazzoletto, ai guanti, a un libro di preghiere, a qualche fiore.
Tutto questo non lo vidi in quei primi istanti, anche se colsi più di quanto si possa supporre. Vidi comunque che tutto ciò che si offriva al mio sguardo e che sarebbe dovuto esser bianco, lo era stato in un tempo lontano ma aveva perduto la freschezza, divenendo opaco e giallo. Vidi che la sposa nell'abito nuziale era avvizzita come l'abito e come i fiori; di vivo le erano rimasti solo gli occhi infossati. Capii che quell'abito era stato fatto per la morbida figura di una donna
giovane e che il corpo su cui ora pendeva era ridotto a pelle e ossa. Una volta mi avevano portato alla Fiera a vedere una spettrale statua di cera, raffigurante non so che sconosciuto personaggio su un catafalco, vestito in abiti di gala. Un'altra volta mi avevano portato in una delle nostre vecchie chiese di palude a vedere uno scheletro coperto da brandelli di ricche vesti, disseppellito da una tomba sotto il pavimento. In quel momento, figura di cera e scheletro, sembravano avere  occhi scuri che mi guardavano. Avrei urlato, se avessi potuto. - Chi è?-  chiese la signora seduta al tavolo.
- Pip, signora.
- Pip?
- Il ragazzo di Pumblechook. Venuto... a giocare.
- Avvicinati, fatti guardare. Vieni qui.
Fu quando mi trovai in piedi davanti a lei, evitandone gli occhi, che osservai nei particolari gli oggetti intorno, e vidi che il suo orologio e quello appeso nella stanza erano fermi alle nove meno venti.
- Guardami - disse Miss Havisham. - Non ti fa paura una donna che non ha mai visto il sole da quando sei nato?
Mi spiace confessare che non ebbi affatto paura a dire l'enorme bugia espressa con un “No!”
- Sai cosa sto toccando? - chiese mettendosi tutt'e due le mani sul lato sinistro del petto.
- Sì, signora. (Mi fece pensare al giovane della palude.)
- Cosa?
- Il cuore.
- Spezzato!
Pronunciò la parola con sguardo ardente e forte enfasi, con un sorriso strano che conteneva una sorta di vanto. Per un po' tenne le mani sul cuore, poi lentamente le abbassò, come se fossero pesanti.
- Sono stanca. Voglio distrazioni, ho chiuso con uomini e donne. Gioca! 

Penso che anche il mio lettore più esigente dovrà riconoscere che a un povero ragazzo, in una situazione simile, non poteva chiedere nulla al mondo di più difficile da eseguire.
- Certe volte ho delle strane fantasie e adesso ho voglia di veder giocare qualcuno. Su! Su! – disse  agitando con impazienza le dita della mano destra. - Gioca, gioca, gioca!
Per un momento, pensando terrorizzato a  mia sorella, pensai disperato di scorrazzare per la stanza, imitando il calesse del signor Pumblechook. Ma non sentendomi all'altezza rinunciai, e rimasi a guardare Miss Havisham con un'aria che dovette sembrarle cocciuta, visto che dopo esserci guardati per un po' disse: - Sei un musone e un ostinato?
- No, signora; mi dispiace tanto per voi, mi dispiace proprio tanto di non riuscire a giocare. Lo farei se potessi, perché se non siete contenta di me, finirò nei pasticci con mia sorella; ma qui è tutto così nuovo, e così strano, e così bello... e malinconico... - mi fermai, per timore di dire troppo, o di aver già detto troppo, e ci guardammo di nuovo.
Prima di riprendere il discorso, distolse gli occhi da me e guardò il vestito che indossava,  la toletta, e infine la propria immagine nello specchio.
- Così nuovo per lui – sussurrò - e così vecchio per me; così strano per lui e così familiare per me; così malinconico per entrambi! - Chiama Estella.
Poiché continuava a guardarsi allo specchio, pensai che stesse parlando tra sé e non feci nulla.
- Chiama Estella - ripeté folgorandomi con lo sguardo. - Questo almeno lo puoi fare. Chiama Estella, dalla porta.
Trovarmi al buio, in una casa sconosciuta, in un corridoio carico di mistero, urlando Estella a una ragazza sprezzante che non si faceva né vedere né sentire, con la consapevolezza di prendermi una grave libertà, mi risultò penoso quasi quanto giocare a comando.
Alla fine rispose, e la sua luce avanzò nel corridoio buio come una stella.
Miss Havisham le fece cenno di avvicinarsi e prese un gioiello dal tavolo, provandone l'effetto sulla pelle chiara del seno, sui morbidi capelli scuri. - Un giorno sarà tuo, mia cara, e ne farai buon uso. Voglio vederti giocare a carte con questo ragazzo.
- Con questo ragazzo! Ma è un povero operaio!
Pensai di aver compreso la risposta di Miss Havisham, nonostante fosse inverosimile - E allora? Il cuore puoi spezzarglielo lo stesso.
- A cosa sai giocare, ragazzo? - mi chiese Estella col massimo disprezzo.
- Solo Rubamazzo, signorina.
- E tu rubaglielo! - disse Miss Havisham a Estella.

Così iniziammo a giocare.
Fu allora che cominciai a capire che nella stanza ogni cosa s'era fermata, come gli orologi, in un tempo lontano. Notai che Miss Havisham posava il gioiello esattamente nel punto in cui si trovava prima. Mentre Estella dava le carte, guardai di nuovo la toletta, e mi accorsi che la scarpa che vi poggiava, bianca un tempo e ormai ingiallita, non era mai stata indossata.
Guardai il piede senza scarpa e vidi che la calza di seta, bianca un tempo e ormai ingiallita, era tutta strappata. Senza questo fermarsi di ogni cosa, senza l'immobile quiete di tutti i pallidi oggetti in disuso, neanche l'abito da sposa  sul corpo cadente sarebbe sembrato tanto simile a una veste da morto, o il lungo velo ad un sudario. Mentre noi giocavamo a carte, se ne stava lì seduta come un cadavere, con le trine e le gale dell'abito nuziale che parevano di carta sporca. Allora non sapevo nulla dei corpi sepolti che quando vengono alla luce si riducono in polvere; ma in seguito, ho pensato spesso che lei aveva quell’aspetto, come se alla luce del giorno dovesse diventare polvere.
- Questo ragazzo chiama i fanti Jacks! -  disse Estella con disprezzo, prima che finissimo la partita. - Guarda che mani ruvide! E che stivali!
Prima d'allora non m'era mai venuto in mente di vergognarmi delle mie mani; ma iniziai a considerarle un'accoppiata davvero mediocre. Il suo disprezzo nei miei confronti era talmente forte, che divenne contagioso e mi disprezzai.
Vinse la partita e toccò a me dare le carte. Sbagliai, com'era naturale, sapendola in agguato per cogliermi in fallo; disse che ero stupido, un poveraccio.
- Tu di lei non dici niente -  disse Miss Havisham, osservandoci. - Lei ti offende, ma tu a lei non dici niente. Cosa pensi di lei?
- Non voglio dirlo, balbettai.
- Dimmelo in un orecchio - disse Miss Havisham piegandosi in avanti.
- Penso che sia molto superba - risposi in un sussurro.
- E poi?
- Che è molto graziosa.
- E poi?
- Che è molto offensiva. (Proprio allora mi stava fissando con uno sguardo
carico di repulsione.)
- E poi?
- Che vorrei andare a casa.
- E non vederla mai più, anche se è così graziosa?
- Non so se mi va di vederla ancora, ma adesso vorrei andare a casa.
- Fra poco ci vai - disse Miss Havisham ad alta voce. - Finisci la partita.
Se non fosse stato per quel suo primo strano sorriso, avrei quasi pensato che il viso di Miss Havisham non potesse sorridere. Aveva un'espressione fissa come tutte le cose intorno a lei, e sembrava che nulla potesse mutarla. Le si era afflosciato il busto, incurvandone la figura; le si era abbassata la voce, ridotta a un sussurro torpido e quieto; era come se in tutto, anima e corpo, dentro e fuori, si fosse accasciata sotto il peso di un colpo mortale.
Finii la partita con Estella, che vinse tutto. Gettò le carte sul tavolo dopo averle vinte, come se le disprezzasse per averle sottratte a me.
- Quando ti faccio tornare? - disse Miss Havisham. – Fammi  pensare.
Le stavo ricordando che era mercoledì, quando mi fermò con la stessa impazienza di prima, agitando le dita della mano destra.
- Basta, basta! Non ne so niente di giorni della settimana e non ne so niente di settimane dell'anno. Torna fra sei giorni. Hai capito?
- Sì, signora.
- Estella, accompagnalo giù. Dagli qualcosa da mangiare e lascia che si guardi un po' intorno intanto che mangia. Va', Pip.
Scesi seguendo la candela, come l'avevo seguita salendo, e lei la mise nel posto dove l'avevamo trovata. Prima che aprisse la porta laterale avevo istintivamente pensato che dovesse esser notte. Investito dalla luce del giorno, mi sentii disorientato e mi parve di esser rimasto in quella strana stanza al lume della candela per molte ore.
- Non muoverti di qui - disse Estella, e scomparve chiudendosi la porta alle spalle.
Ero solo in cortile e mi guardai le mani ruvide e le scarpe comuni. Il mio giudizio su quegli accessori non fu favorevole. Non mi avevano mai crucciato, ma lo fecero allora, come delle volgari appendici. Presi la decisione di chiedere a Joe perché mai mi avesse insegnato a chiamare Jacks quelle figure che si chiamavano fanti. Rimpiansi il fatto che non avesse avuto un'educazione più signorile, perché in quel caso l'avrei avuta anch'io.
Ricomparve portando pane, carne e un po' di birra. Poggiò il boccale in terra, sulle pietre del cortile, e mi allungò pane e carne senza guardarmi, trattandomi con arroganza, come se fossi un cane caduto in disgrazia. Ne fui così umiliato, ferito, avvilito, oltraggiato, adirato, dispiaciuto - non trovo la parola appropriata alla mia sofferenza - sa Dio quale fosse il suo nome - che gli occhi mi si riempirono di lacrime. In quell'attimo la ragazza, guardandomi, s'illuminò di gioia fugace per esserne stata la causa. Questo mi diede la forza di non piangere e di guardarla: allora, con una sdegnosa scrollata di capo - ma con la sensazione, mi parve, di esser stata troppo sicura di avermi ferito - se ne andò.
Ma quando si fu allontanata, mi guardai intorno cercando un posto dove nascondere la faccia, e mi rintanai dietro un cancello sul viottolo della birreria, poggiai la manica sul muro, la faccia sulla manica, e piansi. Mentre piangevo, prendevo a calci il muro e mi strappavo i capelli; era una reazione necessaria, tanta era l'amarezza che provavo, talmente acuta la mia pena senza nome.
I metodi educativi di mia sorella mi avevano reso sensibile. Nel piccolo mondo di un bambino, chiunque sia la persona che lo alleva, nulla viene percepito o sentito più acutamente dell'ingiustizia. Pure se l’ingiustizia di cui è fatto oggetto è piccola, anche il bimbo è piccolo, ed è piccolo il suo mondo; il suo cavallo a dondolo invece, in proporzione è grande quanto un cavallo da caccia irlandese. Sin dall’infanzia, avevo sostenuto dentro di me un costante conflitto con l'ingiustizia. Sin da quando avevo iniziato a parlare, avevo capito che mia sorella, con le sue imposizioni arbitrarie e violente, era ingiusta verso di me, e mi ero andato sempre più convincendo che l'allevarmi con le sue mani, non le dava il diritto di allevarmi con le sue botte. Era una certezza che avevo nutrito attraverso punizioni, castighi, digiuni, veglie e altro; probabilmente la mia timidezza e vulnerabilità erano dovute alla solitudine e all’abbandono.
Mi liberai per il momento della mia sensibilità ferita, ficcandola a calci dentro il muro della birreria, e strappandomela a forza dai capelli; poi mi spianai il viso passandoci sopra la manica, e uscii da dietro il cancello. Il pane e la carne erano discreti, la birra scaldava piacevolmente, e presto ritrovai l'umore giusto per guardarmi intorno."

Nel prossimo articolo, i capitoli successivi di "Grandi Speranze"

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