mercoledì 31 ottobre 2012

Halloween e le origini storiche della scansione dell'anno

di Danilo



Se questo fosse un documentario televisivo inizierebbe con una serie di inquadrature di un celeberrimo sito della piana di Salisbury:  Stonehenge.
Vi chiederete il nesso fra il sito in questione e una festa in cui i bambini si mascherano e chiedono "dolcetto o scherzetto", ma sarà proprio questo il filo conduttore dell'articolo. Per ora vi basti pensare che nel divenire umano, nel flusso di innumerevoli generazioni, tutto cambia senza vere interruzioni, ma attraverso continue trasformazioni dell'esistente, fino a renderlo quasi irriconoscibile.
Il punto è proprio in quel "quasi".
Moltissimi residui culturali di civiltà ormai scomparse sopravvivono in tradizioni ancora esistenti e sta allo studioso rendere riconoscibile quello che ad uno sguardo superficiale non lo è più.
Così, per fare un esempio, se presenziate ad un carnevale sardo quei "Mammutones" che saltano per far suonare i campanacci, sono l'ultima sopravvivenza della religione degli antichi nuragici, un popolo la cui cultura, non avendo scrittura, è stata inghiottita nelle nebbie della storia.
Il caso di Halloween è assai simile, anche se riguarda un'altra cultura, in altre aree geografiche ed è riferito ad un altro periodo dell'anno.
Con un po' di semplicismo si potrebbe riferire il discorso ai popoli, presenti un tempo in vaste aree dell'attuale Europa, che i greci chiamavano Keltoi-Keltai (secondo gli autori) o Galatai e noi latini Celti o Galli. Popolazioni dell'Asia minore estesesi anche nel nord Europa, ferocemente combattute dai romani ed infine sopraffatte da altri popoli entrati in Europa, fino a ridursi all'attuale Irlanda e
Scozia in cui sopravvivono le varianti della loro lingua, il gaelico.

Ma torniamo idealmente nella piana di Salisbury, davanti a Stonehenge, questo in realtà è solo un articolo, ma attraverso internet è così facile reperire immagini di Stonehenge che la mia piccola simulazione di programma tevisivo è molto facile da immaginare.
Ci si chiederà giustamente perché ho scelto questo luogo per parlare di Halloween, apparentemente gli argomenti sono molto diversi.
Ma solo apparentemente.
Cominciate a focalizzarvi sul fatto che una presenza scontata nella nostra vita quotidiana, il calendario, migliaia di anni fa non era così scontata.
In realtà il calendario è stata una delle invenzioni più stupefacenti e importanti degli esseri umani, soprattutto da quando questi hanno inventato l'agricoltura e grazie ad essa è iniziato il cammino della civiltà. Senza una efficace scansione del tempo annuale non si saprebbe quando è opportuno seminare, quando raccogliere, quando fare diversi tipi di lavori agricoli e questo in tempi differenti per ogni coltura.
La capacità di dare una scansione utile al tempo ha così avuto una fondamentale valenza culturale.
I modi (la tecnica) della scansione hanno assunto un valore così grande da apparire agli antichi come di valore sacrale ed infatti in tutte le culture sono stati amministrati da sacerdoti in connessione al culto di divinità.
Questa sacralizzazione ha creato un aspetto sociale, direi corale, della scansione dei momenti fondamentali dell'anno, che sono così divenuti feste, celebrazioni in cui la collettività le assorbe e le metabolizza.
Si potrebbe dire che gli antichi abitanti delle isole britanniche (e qui cominciamo a introdurre qualche datazione, Stonehenge è stato eretto in varie fasi fra il 3100 avanti Cristo e il 1600 avanti Cristo) si può ragionevolmente presumere che avessero grande attenzione e reverenza sacrale per la natura e su questo si basava la loro religione. In realtà limitarsi a questo sarebbe una banalità, perché in origine tutte le culture erano così e ci si meraviglierebbe di scoprire che praticamente tutte le nostre festività cristiane nascondono festività più antiche che scandiscono i ritmi della natura.
Ma prima dei cristiani qualcun altro aveva già "metabolizzato" la cultura che aveva creato Stonehenge, infatti, i Celti avevano cominciato ad arrivare nelle isole britanniche nell'VIII secolo avanti Cristo ed erano diventati egemoni (finendo per essere chiamati Britanni, dando così il nome a quei territori) verso il 300 avanti Cristo. I romani conobbero quella parte di mondo attraverso la penna di Giulio Cesare, senza rendersi conto che così come assimilavano e trasformavano, i Celti avevano a loro volta assimilato (e tutti saranno assimilati dal cristianesimo).
Per questo torniamo nella piana di Salisbury e prima di arrivare al dettaglio di cosa si "nasconda" dietro Halloween, vediamo come gli antichi abitanti dele isole britanniche avevano imparato a scandire i momenti dell'anno.

Gli studi scientifici hanno evidenziato che Stonehenge non è un sito culturalmente isolato, ma è solo la manifestazione più solida (in quanto in pietra) e tecnologicamente evoluta di una serie di realizzazioni che si sono succedute nel tempo nell'intera piana di Salisbury.
Diciamo che prima ed intorno a Stonehenge c'erano molti cerchi di pali in legno con le stesse funzioni, lo sappiamo perché le moderne strumentazioni permettono di vedere la particolare composizione chimica del terreno nei punti in cui era infisso e poi è stato dissolto dal tempo un palo.
Lo stesso sito di Stonhenge è nato probabilmente costruito in legno, infatti uno dei suoi elementi (il terrapieno) è stato datato 3100 avanti Cristo, ma altre parti sono assai più "recenti" (fino, come già detto, al 1600 avanti Cristo), per cui su un arco di ben 1500 anni è probabile una evoluzione tecnica notevole.
Evidentemente, ben prima di Stonehenge in pietra gli uomini avevano capito che un cerchio di pali opportunamente posizionato permette di vedere il momento dell'anno, infatti in certi momenti della giornata in certi giorni il sole apparirà fra determinati pali e le ombre si proietteranno in modi, lunghezze, direzioni, prevedibili.
Certamente, ai comuni mortali il fatto che i sacerdoti sapessero interpretare e trarre risultati da quei giochi di sole ed ombre nel cerchio di pali doveva apparire come una stupefacente magia e una benevolenza delle divinità della natura (ed infatti in quei siti conosciamo vie sacrali per processioni e resti di sacrifici interrati in posizioni correlate a momenti dell'anno), ma noi scettici moderni sappiamo che la spiegazione è molto più scientifica.
Stonehenge quindi mutava solo i materiali, applicando conoscenze più antiche.
Ma prima ancora sappiamo che si era fatto ricorso a croci in legno poste su alture per traguardare in modo meno sofisticato il sole in certi momenti dell'anno (culturalmente a qualcuno ricorda qualcosa una croce su una altura?) e poi ad enormi tumuli di terra artificialmente posta e sagomata, spesso liquidati semplicisticamente come sepolture di capi. Questi mezzi probabilmente continuarono ad essere usati anche in seguito come fonti di più facile ed immediata, ma molto meno accurata, rilevazione, permettendo di dedicarsi ai cerchi solo nella fase giusta.



La lettrice e il lettore accorti a questo punto hanno tutti i mezzi per capire le origini culturali di certe feste, per cui possiamo passare ad Halloween.
La notte fra il 31 ottobre e il primo novembre è n momento particolare dell'anno, finisce definitivamente ogni residuo della buona stagione e del tempo utile per effettuare i raccolti agricoli, mentre inizia il periodo delle giornate brevi, del buio, e a certe latitudini (come quelle delle isole britanniche, appunto) è opportuno rintanarsi nelle case, accanto al fuoco e dare rifugio nelle stalle anche agli animali (veramente in certe epoche il confine fra case e stalle era un po' labile...).
E' facile capire come un simile momento potesse essere "codificato" socialmente e anzi esorcizzato attraverso una festa che aiutasse psicologicamente ad affrontare il grande buio e tutti i pericoli, veri e immaginari, che il buio reca con sè.
Per questo per i Celti la notte fra la fine di ottobre e l'inizio di novembre era addirittura il capodanno. Ma per quanto abbiamo già detto sarebbe arduo chiudere il discorso senza immaginare che i Celti abbiamo assimilato culturalmente da altri. Qui però diciamo che a livello divulgativo dobbiamo fermarci, perché non abbiamo testimonianze scritte di questi passaggi culturali e c'è l'ulteriore problema delle presenza di vestigia che potrebbero essere attribuiti a "calendari" solari trovate nell'attuale Turchia e che qualcuno farebbe risalire persino a quasi diecimila anni prima di Cristo.

Qui ci basta osservare che chiunque abbia deciso che il momento più importante dell'anno era la fine della luce e l'inizio del grande buio ha ragionato in modo diametralmente opposto a chi ha scelto invece la fine di dicembre, il momento in cui il buio arriva all'apice per cui inizia il cammino della luce. In questo secondo caso che il trionfo sia del Sol Invictus, di Mitra, o della natività di Cristo, poco importa, quello che importa è il modulo culturale di fondo, il primo novembre contrapposto al venticinque dicembre.
E qui, non abbiatene a male, mi fermo, perché la solita storiella di Halloween e i Celti potete leggerla su internet con grande facilità. A me premeva farvi vedere come lo scorrerre delle culture è assai più complesso di quel che sembra a chi si accontenta di osservare chi storicamente c'era immediatamente prima e fermarsi lì.
L'importante non è il pesce, ma imparare a pescare.

Per chi desiderasse approfondire l'argomento, consiglio il testo di John North, riconosciuto come la massima autorità in fatto di studi su Stonehenge, "IL MISTERO DI STONEHENGE", edizioni Piemme. Un tomo di 735 pagine dove c'è veramente tutto, pali, tumuli, orientamenti, proprio tutto.

lunedì 29 ottobre 2012

Mezzanotte è l'ora, di Lisa Marie Rice. La nuova faccia dei cavalieri moderni

di Elnora

L'inquilino al quale la riservata Suzanne Barron ha affittato l'appartamento contiguo al proprio è un uomo estremamente sexy, ma intorno a lui si respira un'aria di pericolo. Ex Navy Seal, conosciuto nell'ambiente della Marina come "Midnight Man" per le sue missioni segrete ad alto rischio, John Huntington possiede un'agenzia di sicurezza e la spregiudicatezza è il suo pane. Fra loro la passione esplode travolgente già a poche ore dal primo incontro. La carica sensuale di quest'uomo è talmente potente e soverchiante da spingere Suzanne a tenerlo a distanza, salvo poi rivolgersi a lui quando scopre di essere in serio pericolo. Perché John è l'unico che può proteggerla. Ma chi la proteggerà da lui?

Spesso si parla di copertine di Linus, di brodi caldi per l’anima e di cioccolate calde per cuori infranti.Io sono convinta che un libro possa essere tutto questo e anche molto di più. Se poi si ha la fortuna di trovare un'autrice che con le sue storie non ti delude mai, magari anche grazie a quella ripetitività di schemi narrativi che infonde una certa sicurezza, allora il gioco è fatto.
Di Lisa Marie Rice ho letto tutto il leggibile in lingua originale, tranne forse la lista della sua spesa, e comunque nutro tanta  ammirazione per questa donna che sono certa sarebbe in grado di infondere pathos anche ad un kilo di pane.
Ho conosciuto questa autice proprio grazie a questa serie, che ho letto come da mia abitudine al contrario. Sono arrivata quindi a John e Suzanne consapevole di quello che mi attendeva: una storia densa di erotismo, con un protagonista maschile che incarna ai miei occhi il moderno cavaliere pronto a salvare la damigella in pericolo. Trovo nelle storie della Rice  un inaspettato mix di lucidità narrativa, spessore psicologico e abilità descrittiva. Lisa mescola tutto sapientemente e ne vengono fuori contesti che  noi donne, costrette a seppellire la nostra femminilità in nome di un’emancipazione che ci ha regalato forse solo illusioni, potremmo quasi trovare confortanti fra le pagine di un libro. Forse è vero che non esistono in circolazione uomini come John, che se ricevono una telefonata da una donna in piena notte sicuramente non pensano che si sia dimenticata di bloccare la tastiera, ma rispondono in assetto da guardia del corpo. Perché gli uomini della Rice proteggono le loro donne, se ne prendono cura e ci sono sempre. La loro compagna viene prima, il resto del mondo può aspettare, senza smancerie ma con una virilità dirompente.
I romanzi della Rice  a mio avviso evocano la riappropriazione di ruoli atavici nei quali la donna si riprende la propria femminilità e l’uomo le cammina al fianco, per sostenerla e salvaguardarla, ma sopratutto per amarla. John non fa sconti alla passione; la sua donna è in pericolo e non ci sono compromessi, se la prende e se la porta via, dove nessuno la troverà mai. Trasuda possessività e sesso e livelli quasi primordiali e se qualcuno infatti  forse può trovarlo un po' cavernicolo, ritengo vada considerato che John risponde a leggi quasi  ancestrali. Suzanne è sua, per lei ha combattuto e ucciso. E dopo che un uomo uccide per la sua donna, non è rimasto più nulla da dimostrare, perchè la morte è un legame indissolubile.
Lisa ha scritto una storia che è il mio pass per la fuga dalla quotidianeità, per crogiolarmi con la fantasia nelle premure e nelle attenzioni di John, per rivivere in un contesto moderno una fiaba millenaria ed immortale: un uomo che difende la sua donna dai draghi del ventunesimo secolo.

sabato 27 ottobre 2012

Dipingere con le foglie

di Erin Kross


 
 
Salve a tutti! La volta scorsa abbiamo parlato di come si può dipingere con i fiori… ma eravamo in estate. Ora vi spiegherò come si possono decorare alcuni oggetti in tessuto, come cuscini tovagliette, gonne e altri, anche se non siete capaci di disegnare.

Il mio intento è quello di portare ognuno di voi ad amare la pittura in tutte le sue tecniche facilitate, per poi passare a desiderare di imparare a disegnare e dipingere con alcuni suggerimenti che vedremo più avanti.
Sapete che più di 2000 anni fa i cinesi furono i primi ad usare le tecniche semplici per decorare i loro tessuti?
Il risultato naturalmente dipenderà dalla vostra creatività e dal gusto del colore che ognuno di noi possiede.

Dato che siamo in autunno, possiamo mettere in atto un metodo facilissimo e veloce per decorare i tessuti.Possiamo anche pensare in anticipo a qualche regalo per Natale.
Dunque diciamo subito che alla base di questa tecnica sono le "foglie" che cadono in questa stagione.
Fate un giro nel parco e raccogliete delle foglie di acero, platano, edera, vite americana, ginkgo, ippocastano o altre foglie che abbiano le venature marcate, che siano non troppo grandi e non troppo piccole.
Dopo averle raccolte, pressatele bene in un libro, e dopo qualche giorno saranno pronte per fungere da stampo.

Ora elenchiamo gli strumenti da lavoro:

1) un tavolo, se delicato lo si proteggerà con un foglio di plastica.
2) della carta assorbente
3) nastro adesivo di carta (tipo Tesa).
4) un pennello n°8,
5) un pennello n°2,
6) alcuni vasetti di colore da tessuto coprenti ( es: i pebeo).
7) il materiale da dipingere (cuscini,magliette ecc) inserendo all’interno dei fogli di carta assorbente
8) dei ritagli di tessuto x fare una prova iniziale
9) un pezzo di plastica o una piastrella.

Prima di iniziare, preparate il tavolo da lavoro, lo si dovrà coprire con della carta assorbente per non sporcarlo di colore. Con il nastro adesivo fissate il tessuto da dipingere ben teso (deve essere lavato dall’appretto e stirato molto bene ), facendo attenzione che non rimanga nessuna piega, poiché anche la più piccola potrebbe compromettere il lavoro.
A questo punto, scegliete la foglia da usare come stampo, appoggiatela a rovescio, dove le nervature sono più evidenti, sulla plastica (o piastrella) o su una carta assorbente.
Con un pennello morbido (8) stendete delicatamente il colore su tutta la foglia, partendo dalla base della nervatura centrale e andando verso l’esterno. Una volta completato, giratela e tenendola per il gambo appoggiatela con movimento deciso e fermo sul tessuto. Coprendola con un foglio di carta assorbente premetela con la mano su tutta la superficie ma senza trascinarla, per non muovere il lavoro di stampa. Quindi togliete la carta assorbente, con delicatezza sollevate la foglia sempre tenendola per il gambo, che dipingerete per ultimo a mano, con un pennello sottile.
E' importante decidere le varie posizioni dove collocare le diverse foglie prima di iniziare la stampa, di modo da creare una composizione armonica.
Per la prima volta colorate le singole foglie usando un unico colore… quando ci avrete preso la mano, potrete usare più colori sulla stessa foglia, e ottenere dei bellissimi effetti sfumati.
Dopo ogni passaggio di colore, ricordatevi di lavare bene il pennello, per evitare che il colore, seccandosi, lo rovini.

Quando avrete completato il lavoro mettetelo ad asciugare, dopo due giorni potrete fissare il colore stirandolo dal rovescio. Il calore del ferro dipenderà dal tessuto che avete usato, e successivamente potrà essere lavato senza problemi a 40°.
Con questa tecnica, potrete personalizzare con la vostra fantasia e il vostro stile oggetti tra i più diversi, e dare un tocco d'autunno alla vostra casa.

mercoledì 24 ottobre 2012

Roma d'amare

di Romy


L'Italia è unica al mondo per i tesori di arte, storia e cultura custoditi dalle sue città.
Eppure,  talvolta passiamo con indifferenza accanto a monumenti che lasciano a bocca aperta i turisti e spesso non degniamo neppure di un’occhiata i capolavori che ci circondano, come se si trattasse di un cartellone pubblicitario che non racconta nulla di nuovo.
È capitato anche a me: dovendomi improvvisare "cicerone" per un amico, mi sono resa conto ad un tratto di avere una conoscenza troppo superficiale della mia città e ho avvertito l'esigenza di "mettere riparo" ad una simile, imperdonabile trascuratezza.
Vivo a Roma, Urbe eterna, nodo di contraddizioni che generano amore infinito e livido rancore, capitale della cultura che tutto il mondo ci invidia.
Decido che è giunto il momento di (ri)scoprirla in un modo più profondo; soprattutto, desidero ridare al mio sguardo la prospettiva ammirata di chi visita Roma per la prima volta, liberare i miei occhi dall’assuefazione alla bellezza, colmare le lacune di conoscenza accumulate a causa della vita affrettata e stressante e dei suoi mille impegni.
 Roma ha il privilegio e la fortuna di racchiudere incredibili testimonianze storiche e artistiche di ogni tempo, dall’antichità al medioevo, dal rinascimento al barocco, e non basta un fine settimana o un tour della città a bordo di un autobus scoperto per "viverla" e apprezzarla come merita.
Per questo, lascio da parte l’automobile, utilizzo i mezzi pubblici solo per i lunghi spostamenti e inizio a camminare. Privilegio itinerari e orari particolari, per trovare una dimensione di Roma diversa e personale, che non abbia nulla a che fare con il turismo di massa o il nozionismo di una guida per stranieri.

Per tutti coloro che come me amano questa città magica, ecco alcuni dei miei “appunti di viaggio”.

"Bella di notte"

No, non intendo parlarvi della movida della Capitale, ma di un’occasione che mi ha permesso di vedere la parte più antica della Città Eterna alla luce delle stelle.
C’è una falce di luna e la temperatura è dolce, da vera “ottobrata romana”. Non è primavera, ma sicuramente Rugantino aveva in mente una serata come questa quando cantava "Roma nun fa la stupida stasera".


Piazza Venezia è ancora circondata dal traffico che ruota vorticosamente ai piedi del Vittoriano, ma basta allontanarsi di pochi metri per essere trasportati in una realtà diversa, lontana nel tempo e nello spazio.
Siamo su Via dei Fori Imperiali, la grande arteria che attraversa il Foro di Traiano, quello di Cesare, di Augusto e Nerva, per ricongiungersi al Colosseo.
L’illuminazione della via è quella dorata dei lampioni, ma diventa un bagliore bianco-verdognolo nel riflesso dei fari puntati sulla colonna che s’innalza di fronte alla chiesa di Santa Maria di Loreto.





È la Colonna Traiana, il primo e più perfetto esempio di colonna coclide. Fu inaugurata nel 113 per celebrare le vittorie dell’imperatore Traiano sui Daci, narrate con una sequenza spiraliforme d’immagini, ed era destinata a custodirne le ceneri. La colonna raggiunge i cento piedi romani (circa 30 mt.), ovvero l’altezza della collina che fu sbancata per far posto all’immenso complesso del Foro di Traiano.
Come tutti i monumenti romani accuratamente ripuliti dallo smog, oggi la colonna appare perfettamente bianca.
In realtà tutti gli edifici dell’antica Roma erano policromi, decorati vivacemente con pitture a base di pigmenti colorati, ricoperte da uno strato di cera liquida che le rendeva lucide e impermeabili all’acqua. È difficile oggi immaginare le colonne, i templi, lo stesso Colosseo privi del candore abbagliante che li contraddistingue: ricordo di aver assistito stupefatta alle proiezioni luminose che trasformavano l’Ara Pacis in un altare dagli azzurri e dai rossi brillanti.
Certamente siamo stati tutti influenzati dal concetto di antichità trasmessoci (erroneamente) dall’arte di Thorvaldsen e Canova. Un concetto di cui si è subito appropriata la filmografia hollywoodiana.

La colonna sovrasta i resti della Basilica Ulpia, così chiamata dal nome di famiglia di Traiano  (Marco Ulpio Nerva Traiano, imperatore dal 98 al 117). Questa  basilica fu il più grande edificio adibito a luogo pubblico e amministrazione della giustizia mai costruito a Roma; dominava il Foro omonino, e doveva essere uno spettacolo imponente.
Ancora nel tardo terzo secolo d. C., il Foro di Traiano, il più grande e maestoso dei Fori, suscitava lo stupore di Costanzo, figlio di Costantino, in visita per la prima volta a Roma. Gli storici riferiscono che “rimase inchiodato dallo stupore, girando gli occhi sugli edifici di una grandezza  che sfida ogni descrizione e che non potrà mai più essere raggiunta dai mortali”.
I capitelli delle colonne, abbandonati sul terreno che è più basso del livello stradale di circa dieci metri, danno un’idea della monumentalità degli edifici.



Il traffico inizia a rallentare, il silenzio aumenta. Gli aloni di luce ammorbidiscono i contorni ed è più facile per la fantasia ricostruire il passato.
C’è un grande edificio semicircolare alla nostra sinistra. Sono i cosiddetti “Mercati Traianei”, una struttura probabilmente destinata all’amministrazione della giustizia; la presenza di botteghe nella parte inferiore e superiore ha fatto immaginare che potesse trattarsi anche di una sorta di centro commerciale e viene spontaneo immaginare il traffico dei servi e delle ancelle indaffarate ad acquistare merci per le loro esigenti padrone…

Attraversiamo Via dei Fori Imperiali, e arriviamo nella terrazza panoramica del Campidoglio, per ammirare il cuore del Foro Romano propriamente detto. Siamo ai piedi del Tabularium, il massiccio Archivio di Stato che custodiva tutti gli atti pubblici su “tabulae” di bronzo.
L’illuminazione qui è particolarmente suggestiva e colpisce i resti di quelli che sono fra i ruderi più famosi di questo Foro: il maestoso Tempio di Saturno, nelle cui fondamenta era conservato l’oro e l’argento di Roma, e le tre colonne che restano del Tempio di Vespasiano.


A sinistra, il grande Arco di Settimio Severo, il più grande degli archi trionfali, eretto per celebrare  la vittoria romana sul popolo ebraico.
La vista spazia lungo  la Via Sacra, oltre la colonna di Foca e il famosissimo tempio di Castore e Polluce, forse l’immagine più famosa e riprodotta del Foro.

Scendiamo ancora, costeggiando il famigerato carcere Mamertino che ha visto il supplizio di Giugurta e Vercingetorige e, secondo la tradizione, ha "ospitato" i SS. Pietro e Paolo. Percorrendo un tratto di autentico basolato, riprendiamo il cammino, diretti verso il simbolo di Roma che tutto il mondo conosce.

Il Colosseo non si può solamente descrivere. Devi essere qui, sotto questi archi sovrapposti in triplice ordine, per capirne appieno la maestosità. Lo sguardo spazia dalle rovine del doppio Tempio di Venere e Roma, sullo sperone del Palatino, all’Arco di Costantino, oltre il tratto di Via Sacra.

A quest’ora non ci sono i figuranti vestiti da legionari che insistono perché tu ti faccia fotografare, né i turisti giapponesi pilotati dalla guida con il classico ombrellino giallo; non ci sono gli sposi che cercano l’inquadratura giusta per l’album delle loro nozze, e gli ambulanti di souvenir sono spariti.
Ci sei solo tu, gli occhi gialli del Colosseo che ti spiano dalle orbite vuote degli archi, e il profumo della notte di ottobre.
Respiri forte quest’aria vecchia di secoli e ti senti cives romanus anche se sei nato a centinaia di chilometri di distanza. Al centro dell’Umbilicus Urbis, o più semplicemente, del cuore di Roma.



domenica 21 ottobre 2012

7 modi per celebrare l’autunno





di Aurora Mirabella 

( Fonte http://www.promiseland.it/)


Io amo l’autunno. L’aria diventa frizzante, le foglie cominciano a cambiare colore…
Ci sono così tante cose meravigliose da fare quando il tempo diventa freddo e il cielo diventa una tonalità di blu senza precedenti. Quindi, in onore dell’equinozio d’autunno, qui ci sono sette modi per celebrare l’inizio di una nuova stagione.
1. Raccogliere le mele. Un suggerimento ovvio, sì, ma quando è stata l’ultima volta che avete effettivamente scelto le mele? E’ una meravigliosa attività per tornare a casa con cibo sano raccolto dalle nostre stesse mani, immersi nella natura.

2. Mangiare la zucca. Una delle mie cose preferite in assoluto dell’autunno è la zucca. Se volete provare qualcosa di super facile e delizioso, potete tagliare una zucca a metà e raccogliere i semi da fare poi arrosto! Posizionare su un teglia unta con un filo d’olio, le due metà del corpo rivolto verso il basso e infornare a 350 o 375 gradi per 30-45 minuti. Mangiata cosi o, mettendo un po di burro di arachidi e agave all’interno è un piatto delizioso!

3. Pulire il vostro armadio. C’è qualcosa di catartico nel buttare fuori dall’armadio cose che non ci servono e donare magari vestiti inutilizzati. Se non avete indossato quei jeans per anni, possono pure uscire del vostro armadio.

4. Godersi il tempo. Soprattutto in luoghi come la Sardegna, dove vivo, si passa un sacco di tempo a lamentarsi delle stagioni. L’estate è troppo calda, l’inverno è troppo freddo, bla bla bla. Dovremmo dedicare più tempo all’essere felici del clima attuale, rendendoci conto che tutto nella vita, è temporaneo.

5. Cuocere in forno. Mi piace quando il clima si raffredda riscaldare la casa con il calore del forno. Una buona occasione  per provare a cucinare qualcosa di nuovo che celebra l’autunno o le feste imminenti e allo stesso tempo lasciare che il caldo del forno e i profumi del cibo invadano la vostra casa. Il mio piatto preferito da cucinare in forno in questo periodo dell’anno è il pan di zenzero versione vegan.

6. Esplorare il posto in cui si vive. La maggior parte delle citta celebrare la fine della stagione con dei festival o delle sagre. Cose come il festival dele mele, la sagra delle castagne con lunghi tour a piedi nei quali è  piacevole abbandonarsi. Andate nel sito della vostra città e controllare il calendario in scadenza. Potreste essere sorpresi di trovare alcuni modi divertenti per godere dell’autunno,e può anche essere un ottimo modo per conoscere meglio il posto in cui si vive.

7. Coccolare la persona che amate. Uno degli aspetti più romantici dell’autunno  è l’idea di stare sotto una coperta calda con la vostra persona preferita. Considerate questi momenti, come un modo per avvicinarvi ancora di piu alla persona che amate.

Ci sono tanti motivi e modi per apprezzare autunno. Piuttosto che sentirsi giù perché l’estate è ormai un ricordo del passato, provate a riconoscere che ogni momento diventa rapidamente la nostra storia. Così, godetevi questo momento, quando la fresca brezza diventare la norma e i pantaloni lunghi diventano il nostro abbigliamento quotidiano.
Mi troverete con indosso i miei jeans preferiti, dentro un’alimentari bio alla ricerca di caldo pan di zenzero, o forse ci incontreremo al frutteto di mele.


giovedì 18 ottobre 2012

Cos’è il veganesimo? Chiarezza sulla scelta vegana

by Andreina


Quando parliamo di cibo, l'uomo è  classificato come un essere onnivoro che adora mangiare la carne; ma oggi sono sempre in aumento  le persone che scelgono un'alimentazione alternativa.
Oltre ai vegetariani, che hanno eliminato totalmente la carne e il pesce dalla loro dieta, ci sono i vegani che invece  hanno optato per un'alimentazione più "estrema".
Penso che su questo punto, ci sia ancora molta ignoranza, quindi ho chiesto alla mia amica Aurora Mirabella , vegana convinta e caporedattore di un giornale online, se fosse disposta a spiegare esattamente che cosa vuol dire "mangiare vegano"





Qui di seguito è spiegato in modo molto dettagliato in cosa consiste  l'alimentazione vegana.


Articolo di Aurora Mirabella

( Fonte http://www.promiseland.it/)



Molte persone pensano che il veganesimo sia solo una dieta, non vedendo la filosofia nascosta dietro di esso.
Sorprendentemente incontro vegani che vanno a pesca (o peggio ancora a caccia), vegani che mangiano e utilizzano miele, vegani che mangiano uova e prodotti derivati dal latte, vegani che “ogni tanto” mangiano carne e pesce, vegani solo per motivi di salute che si concedono di indugiare su prodotti di originale animale.
Tutto questo è molto infelice perché concorre all’etichettatura come vegan di scelte non vegane creando solo confusione e danno al movimento vegan.

Prima di tutto se vogliamo davvero dare delle etichette è  bene chiarire che scegliere una dieta a base esclusivamente vegetale per motivi di salute (o etici) ma che include latte e uova si chiama vegetarianesimo; ed in secondo luogo mangiare prodotti di origine animale (carne, pesce) anche se “ogni tanto”  non è accettabile per un vegetariano, né tanto meno per un vegano.

Il veganesimo per definizione porta con sé delle motivazioni profondamente etiche e ha “regole” (lasciatemi passare il termine) chiare e precise. Non esiste una cosa come un vegan la cui scelta è solo ed unicamente una scelta legata ad un regime alimentare, ad una dieta e che mangia o utilizza anche se sporadicamente prodotti di origine animale.
Il veganesimo esclude tutte le forme di sfruttamento e crudeltà verso qualsiasi specie che fa parte del regno animale (regno animale che include esseri umani e non umani, quindi animali di terra, aria, acqua, insetti e cosi via).
Il veganesimo è contro la schiavitù, è antispecismo, antirazzismo, sessismo, classismo, cosi come contro qualsiasi altra forma di discriminazione. Non è una tendenza, un qualcosa che va di moda: è una cosa seria ed il suo obiettivo principale è quello di porre fine ad ogni sfruttamento animale, ad ogni forma di schiavitù. Si sceglie consapevolmente di lottare per la liberazione animale totale e per tutti i diritti degli animali/uomini/donne senza voce.

Un vegan non compra e non usa prodotti che contengono ingredienti di origine animale (né tanto meno prodotti testati sugli animali): può capitare che si acquistino inavvertitamente prodotti contenenti ingredienti di origine animale e/o testati sugli animali; succede per puro caso o per ignoranza, nel senso di ignorare con chiarezza le componenti del prodotto (purtroppo la maggior parte dei prodotti confenzionati hanno etichette ed indicazioni poco chiare per cui capita di incappare in acquisti non vegan). Ma una volta scoperto che quel prodotto non è vegan è bene lasciarlo sullo scaffale!

Un vegano non uccide gli insetti: sono animali anche loro.
Un vegano non trasforma gli animali domestici in giocattoli per colmare un egoistico senso di solitudine.
Un vegano non supporta: la sperimentazione sugli animali, acquari, circhi, zoo, rodei, corse di cavalli, corride, combattimento di cani, galli e altri animali, non sostiene la caccia, pesca, il lavoro minorile, e tutto quello che comporta lo sfruttamento di uomini ed animali e  crudeltà inutile .
Il fumo non è considerata una pratica vegan friendly perché comporta la sperimentazione sugli animali, lo sfruttamento minorile nelle aziende produttrici di tabacco, il finanziamento di multinazionali dannose per l’ecosistema.

Si noti che ricorre spesso l’uso della parola sfruttamento: questo perché alcune persone pensano che va bene mangiare le uova delle galline salvate dagli allevamenti intensi o allevate nel proprio cortile, perché questo non arrecherebbe danno alcuno alla gallina. Non importa se fa male alla gallina o meno, è comunque sfruttamento, significa comunque nutrirsi di un nostro pari per cui è contro il pensiero vegano.

Molte persone che hanno scelto di seguire una dieta a base di vegetali per semplici ragioni salutiste e si definiscono vegani, in realtà  dovrebbero definirsi come dei vegetariani alimentari. La differenza tra il vegetarianesimo  ed il veganesimo è che il primo esclude tutti i prodotti di origine animale dalla dieta e dallo stile di vita eccetto latte e uova ; il veganesimo invece si muove nell’ottica di tutela di tutti gli appartenenti al regno animale, vuole evitare lo sfruttamento e la crudeltà verso un proprio pari. In altre parole una persona che segue una dieta a base vegetale non è necessariamente un vegan. Molte sono le persone che dopo essere state vegetariane per anni decidono di diventare vegan ma lo fanno per lo più spinti da motivazioni etiche e non salutiste. Perché ci sono vegetariani che vanno a pesca, che visitano acquari, zoo, circhi, fanno equitazione, usano prodotti di pelle, seta, lana, pelliccie. Acquistano prodotti testati sugli animali o da multinazionali che sottopongono uomini ed animali a forme di sfruttamento e crudeltà  inaudite quindi non sempre seguire una dieta vegetale corrisponde al seguire uno stile di vita vegan friendly.

Il termine vegan  è stato conianto da Donald Watson nel 1944: “il veganesimo è un modo di vivere che esclude tutte le forme di sfruttamento e crudeltà verso il regno animale e include il rispetto per la vita. Si applica alla vita di tutti i giorni escludendo carne, pesce, uova, miele, latte e derivati e tutti i prodotti che derivano in tutto o in parte dagli animali“.

Gli animali non sono di nostra proprietà e non sono nati per essere da noi mangiati, ne tanto meno sono “cose” da indossare.
Gli animali non sono nostri e non possiamo arrogarci il diritto di sperimentare su di essi, prodotti di solo nostro uso e consumo, abusarne e farne oggetto di intrattenimento.

Si noti che sfruttamento e schiavitù sono cose diverse dalla crudeltà: i primi spesso comportano la crudeltà, ma questa non implica necessariamente lo sfruttamento e la schiavitù. Un esempio: la Natura è crudele, ha delle regole severe, esiste la selezione naturale.Gli allevamenti intensivi sono semplicemente sbagliati, non etici e inaccettabili.
I vegani possono evitare ogni tipo di sfruttamento e schiavitù ma non posso evitare ogni forma di crudeltà. Possono ridurre la crudeltà evitando ad esempio di assumere farmaci testati sugli animali, evitare di calpestare gli insetti quando camminano (ovviamente se si schiaccia inavvertitamente un insetto perché non visto questa si chiama Natura che come abbiamo detto prima è spesso crudele).

Danneggiare o uccidere qualcuno per legittima difesa è accettabile per un vegano, anche se si dovrebbe cercare una soluzione che non arrechi danno al prossimo. Non esistono vegani perfetti: i vegani sono persone che vogliono porre fine allo sfruttamento inutile e crudele degli animali/uomini, che provoca sofferenza e dolore ad esseri viventi innocenti, che rovina il pianeta ed il futuro delle prossime generazioni. Contrariamente alla credenza popolare i vegani non si considerano migliori degli altri, anzi se chiedete in giro ai vegani loro si definiscono al pari del più piccolo degli insetti, in virtù del fatto che non esiste specismo.

Essere vegani è alla portata di tutti, chi pensa sia impossibile/difficile parla cosi perché non ha ancora provato ad esserlo.
Forse in un primo momento appare difficile, fino a che non si tocca con mano la facilità con cui si contribuisce a contrastare pratiche crudeli inutili. Tutti i vegani rinunciano a prodotti che già in partenza sanno essere totalmente inutili: non hanno bisogno di mangiare/indossare prodotti di origine animale, di usare prodotti di cosmesi (o per la pulizia) di origine animale o testati su animali, di sostenere spettacoli crudeli come circo o dressage per intrattenersi, non hanno bisogno di sfruttare o di abusare degli altri esseri viventi sul pianeta terra per poter vivere felici.

Queste poche righe vogliono solo essere un chiarimento (non una presa di posizione o giudizio) perché  penso che ultimamente si è abusato del termine vegan nelle sue accezzioni più incomplete creando solo confusione e danni al movimento vegan.

Il veganesimo è compassione, uguaglianza, giustizia.
Il veganesimo è sensibilizzazione ed educazione.
Il veganesimo è  la pace. Ma soprattutto il veganesimo è l’unico modo per porre fine ad ogni sfruttamento crudele e schiavitù.
Il veganesimo è liberazione totale.

GO VEGAN

martedì 16 ottobre 2012

Dark Heaven la carezza dell'angelo di Bianca Leoni Capello: Demoni a Venezia

by Elnora


È una gelida sera di febbraio a Venezia quando Virginia, diciotto anni e i capelli rossi come il fuoco, incontra per la prima volta Damien De Silva. È tardi, le strade sono deserte e lei sta tornando a casa dall'allenamento di pallavolo, il passo veloce, il respiro affrettato. All'improvviso, dal buio spunta un uomo, bellissimo e misterioso. Che guarda nella sua direzione. Decisa a non incrociare lo sguardo dello sconosciuto, Virginia gli scivola accanto con gli occhi bassi. Ma proprio in quel momento sente due parole farsi spazio nella sua mente. Due parole, semplici e terrificanti: "Sono tornato". Chi è quell'uomo? E che cosa sta succedendo? Profondamente sconvolta, Virginia decide di archiviare l'accaduto come frutto della sua immaginazione. Ma il giorno seguente le cose si complicano. Perché lo sconosciuto altri non è che il nuovo professore di italiano. Dannatamente giovane e affascinante, Damien De Silva turba fin dal primo istante il cuore di Virginia. Attratta e allo stesso tempo spaventata, la ragazza tenta di stargli il più lontano possibile. Ma ogni volta che si trova in sua presenza succede qualcosa di inspiegabile: strane visioni le annebbiano la mente. Visioni di un'epoca passata, di un'antica Palermo ormai dimenticata. E come se lei e Damien si fossero conosciuti in un'altra vita e si fossero rincorsi per molti secoli. Ma è proprio così o Virginia sta perdendo la ragione? Chi è davvero Damien De Silva? E perché, dopo tanto tempo, è tornato a cercarla e... a terrorizzarla?

Lo confesso, ho comprato il libro perchè intrigata dalla figura del professore di italiano.
Di angeli e demoni si è scritto quasi di tutto, come sui vampiri del resto, per cui  pensavo di trovare in questa variante del professore di italiano un po' dark, quel guizzo che avrebbe dato alla storia una marcia in più. Purtroppo non è stato così.
Non voglio cominciare tediandovi sulle considerazioni in merito alla narrazione in prima persona. A mio avviso è una tecnica molto limitante e in questa storia, dove c'era molta carne al fuoco, se ne è sentito tutto il peso, pur con qualche cambio di punto di vista lampo.
La carezza dell'angelo racconta di reincarnazione, di angeli caduti e dell'eterna lotta del bene contro il male che si consuma in una città dalle potenzialità enormi: Venezia, che pur con le sue atmosfere venate di mistero non è riuscita a risollevare ai miei occhi le sorti di questa storia. Perchè  leggendo questo libro  ho avuto l'impressione di avere sotto mano il diario di un adolescente svogliato, ma che conosce bene la punteggiatura.
Personalmente ho trovato solo pallidi personaggi bidimensionali e tantissimo potenziale sprecato,sopratutto nel protagonista maschile. Ho sempre ritenuto che spesso i villains, letterariamente parlando, abbiano molto più da offrire dei buoni, ma caratterizzarli a dovere tanto da renderli quasi preferibili  all'eroe onesto, è un'arte decisamente sopraffina.
Damien è una figura che poteva dire molto con il suo trascorso di angelo che cede poi alla forze oscure demoniache. Bello, dannato e assetato di vendetta nei confronti della protagonista, da solo poteva valere la lettura del libro. Invece a mio avviso viene tutto un po' liquidato superficialmente attraverso gli occhi di una diciannovenne che non fa una piega quando il suo professore di italiano le fa capire di essere un angelo caduto tornato per lei, reincarnazione della sua fidanzata di un tempo lontano. E' ovvio che in romanzo paranormale quasi tutto è permesso, ma il terreno secondo me andrebbe preparato con un po' più di cura, altrimenti si perde quel pizzico di credibilità necessaria comunque, perchè le emozioni sono tali anche nel fantastico.
Lungo il corso della storia ci si perde qualche volta in teatrini adolescenziali un po' insipidi, pennelati con
parole incolori che poco aggiungono alla storia. Dalla sua posso dire che ho avuto voglia, nonostante tutto, di arrivare fino in fondo a questo libro per scoprire la conclusione della vicenda, dove si arriva a mettere la parola fine anche con qualche trovata carina. Temo però sinceramente che non continuerò  la lettura di quella che ad oggi pare sia a tutti gli effetti una trilogia.
Sbirciando sul web ho scoperto che in realtà Bianca Leoni Capello è lo pseudonimo che  nasconde due autrici di Pordenone, Flavia Pecorari e Lorenza Stoppa. Amiche di lunga data, accomunate dalla passione per il paranormal romance, hanno deciso di mettersi in gioco e scrivere a quattro mani il loro primo romanzo d'esordio.

lunedì 15 ottobre 2012

Nel Giardino delle rose, alla scoperta dell’Alpinismo eroico di fine ‘800

di Rosengarten





Il romanticismo non può essere considerato solamente un movimento letterario quanto piuttosto una rivoluzione culturale che interessò trasversalmente molteplici aspetti dell’800. Anche l’Alpinismo nacque e si alimentò di quella linfa feconda che portava a sfidare l’ignoto e a confrontarsi con la natura severa ed arcigna delle montagne.
All’inizio solamente gli aristocratici si sentivano attratti da questo nuovo sport e spesso si affidavano ai valligiani che, per la loro natura, difficilmente si azzardavano a scalare le vette delle loro amate e rispettate montagne.
Le escursioni di seguito descritte vi riporteranno indietro nel tempo, verso gli anni eroici e romantici di due secoli orsono, quando inglesi, ma anche tedeschi ed austriaci, iniziarono a violare le guglie più ardite delle Dolomiti.
Localizzate in una buona cartina dei sentieri la Val di Fassa, ed in particolare il Gruppo del Catinaccio, e preparatevi ad entrare in un mondo fatato, pieno di guglie, pinnacoli, crode lisce e spigoli aerei, il tutto sapientemente (e fortunatamente) occultato al turismo di massa. Con uno sforzo relativamente limitato, avrete dunque la possibilità di raggiungere un anfiteatro roccioso, posto in quota, oggetto di una bella leggenda, la leggenda di Re Laurino, che ha fatto chiamare questo posto fatato “Giardino delle rose” o, se preferite, Rosengarten.
Lasciamo adesso le leggende e concentriamoci sull’escursione.
Riprendete in mano la cartina e cercate, nel cuore del Catinaccio, le Torri del Vajolet ed il Rifugio Re Alberto I, che sarà appunto la vostra meta.



L’itinerario parte dai 1.950 metri del Rifugio Gardeccia, che potete raggiungere tramite un’apposita navetta che parte da fondo valle (Pera di Fassa), oppure prendendo la funivia da Vigo di Fassa fino al Rifugio Belvedere dal quale, con una comoda passeggiata in quota, arriverete facilmente al Rifigio Gardeccia. Personalmente preferisco la seconda soluzione, che permette di ammirare, con calma, buona parte delle montagne  del Catinaccio; in particolare la vostra attenzione sarà attirata da un’imponente parete liscia e scura, sovrastata da una specie di conca che culmina in una vetta: il Catinaccio appunto, con la sua famosa parete nera.
Una volta arrivati al Rifugio Gardeccia, il sentiero si innalza fino a raggiungere uno sperone su cui si trovano il Rifugio Vajolet e il Rifugio Preuss, situati a 2.243 metri.
Piegate a sinistra ed imboccate il sentiero n. 542 che si inerpica su una serie di rocce, scoscese ma agevoli, dotate in alcuni punti di alcune funi metalliche che permettono di salire anche ai meno esperti. In circa 50 minuti arriverete al Rifugio Re Alberto I, costruito nel 1933 dal leggendario scalatore Tita Piaz, il Diavolo delle Dolomiti, e dedicato al re del Belgio con il quale soleva arrampicare.
Il rifugio si trova su un pianoro, a 2.621 metri, ma soprattutto alla base di tre fantastiche torri che svettano ardite verso il cielo. A partire dalla vostra sinistra la Torre Delago (mt. 2.790), con il famoso spigolo sud-ovest salito per la prima volta da Piaz nel 1911, con un’arrampicata estremamente aerea e strapiombante per centinaia di metri sul versante nord-ovest. A fianco la Torre Stabeler (mt. 2.805) e poi ancora a destra la Torre Winkler (mt. 2.800). Ogni torre, porta il nome del suo primo scalatore e si tratta sempre di pionieri dell’arrampicata sulle Dolomiti. 
Ritornando alla nostra escursione, potete ripercorrere il percorso dell’andata fino a ritornare al Rifugio Gardeccia, oppure proseguire per il Passo Santner (mt. 2.734) da cui parte l’omonima ferrata che, senza eccessive difficoltà, porta al Rifugio Fronza alle Coronelle (Rosengartenhütte, mt. 2.339). Il rientro al Rifugio Gardeccia potrà avvenire tramite il Passo delle Coronelle (mt. 2.630), seguendo il sentiero n.550.
Un’altra bella escursione è quella che si svolge nella zona del Catinaccio d’Antermoia (mt. 3.002).
Anche in questo caso si parte dal Gardeccia e si sale ai rifugi Vajolet e Preuss. Da qui si prosegue per il sentiero n. 584 fino al Rifugio Passo Principe (mt. 2.601).
A questo punto sceglierete fra la salita al Catinaccio d’Antermoia, con via ferrata oppure, volendo evitare quest’ultima, seguirete il sentiero che aggira la montagna; in entrambi i casi arriverete al Rifugio Antermoia che si trova a 2.497 metri, nei pressi di un piccolo lago alpino.
Da qui, tramite il Passo Lausa ed il Passo delle Scalette, ritornerete con un percorso quasi sempre in discesa al Rifugio Gardeccia.
Il percorso ad anello sopra descritto, è alla portata di un qualsiasi escursionista ben allenato e richiede dalle 5 alle 6 ore.
Oltre a questi itinerari, la zona del Catinaccio offre tantissime altre escursioni, seguendo sentieri ben segnalati che collegano i numerosi rifugi della zona; lasciamo a ciascun escursionista il piacere della scoperta.

sabato 13 ottobre 2012

Historical Fiction: risultati del sondaggio


Ecco i risultati dei sondaggi che abbiamo creato per il nostro speciale "Historical Fiction". Dato che tra gli elementi che hanno ricevuto più voti vi è il "periodo storico", abbiamo pensato di approfondire ulteriormente l'argomento proponendovi un ulteriore sondaggio.



mercoledì 10 ottobre 2012

Inseparabili - Strega d'autore 2012

di Faye


Non mi piacciono i romanzi che mi generano angoscia.
Non mi piacciono le storie delle quali non puoi impossessarti perché, proprio quando sei lì, finalmente riuscito a capirci qualcosa, ti sgusciano fra le dita come un’anguilla.
Non mi piacciono neppure i racconti dove la nevrosi sessuale impregna, in modo plateale o sottilmente strisciante, tutte le pagine.
Da tutte queste promesse si potrebbe  quindi logicamente dedurre che “Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi” (Mondadori, 2012), ovvero il libro con il quale Alessandro Piperno ha vinto l’edizione 2012 del premio Strega, non mi sia piaciuto.
Proprio per tutte le ragioni prima elencate, avrei dovuto fare una grande fatica a leggerlo e, presumibilmente, sarei dovuta arrivare all’ultima pagina con la disgustata soddisfazione di chi decide di non leggere mai più, in futuro, un’opera dell’autore in questione.

Di cosa parla “Inseparabili”?
Per chi non avesse seguito la vicenda del premio letterario, conquistato da Piperno con soli due punti di vantaggio su Emanuele Trevi e il suo Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie, Gems), riassumo in breve la trama.
Premessa d’obbligo è che il romanzo è in realtà la seconda parte del dittico “Il fuoco amico dei ricordi”, iniziato con la pubblicazione, sempre a cura di Mondadori nel 2010, di “Persecuzione”.
“Persecuzione” è la storia di Leo Pontecorvo, noto medico romano, ebreo, che in una sera d’estate scopre di essere accusato di pedofilia nel modo più drammatico: a cena, insieme alla moglie e i figli ancora piccoli, mentre guarda il telegiornale nella sua lussuosa residenza all’Olgiata. Quello che accade in questo libro dai toni fortemente drammatici, non è solo la premessa a “Inseparabili” è la nube gigantesca e mai del tutto dissipata che attraversa anche il secondo romanzo (non a caso, in origine si trattava di un unico libro).
La vita di Filippo e Samuel (Semi) Pontecorvo, i figli di Leo, sarà per sempre determinata da questo evento sconvolgente. Non importa che il padre sia innocente o colpevole, non importano le sicurezze che la madre Rachel, donna straordinariamente forte e nello stesso tempo debole, riesce a tessere come una ragnatela protettiva nei confronti dei figli.
La tragedia ha modificato per sempre lo sviluppo di due ragazzi. Che ora, intorno ai quarant’anni, sono uomini nevrotici, complessati. Non possono vivere insieme, non riescono a vivere divisi.
Due facce della stessa medaglia, con problemi solo apparentemente opposti: uomo di successo, con una fidanzata perfetta, ma impotente, Semi; nullafacente, mantenuto, rozzo, erotomane compulsivo, Filippo.
L’angoscia, la disillusione, l’amarezza pervadono le pagine come una nebbia: a volte più fitta, a volte rischiarata da attimi di luminosa verve, ma sempre presente.
La vita però è un regista perfetto, un Hitchcock d’autore che ti regala il colpo di scena mozzafiato.
Tutto si capovolge, tutto si contraddice.
E arrivato alla fine del libro, scopri che il ciclo si richiude, proprio quando gli estremi sembravano più lontani.

Dunque, una trama così, un libro così, non avrebbe davvero dovuto piacermi.
E, in effetti, non  mi è piaciuto, non è questa la definizione giusta.
Sono stata presa e trascinata dalla scrittura di Piperno, buttata su una riva o l’altra delle vicende dei due fratelli senza la forza di oppormi.
Ho rimbalzato come una pallina impazzita fra i protagonisti maschili e quelli femminili (perfettamente e perfidamente disegnati), conquistata da una scrittura elegante, fluida, ammaliatrice, nonostante qualche indulgenza all'uso compiaciuto della volgarità.
E quel narratore che spunta all’improvviso in prima persona, costringendoti a rileggere il paragrafo pensando di aver capito male, o che la pur curatissima edizione Mondadori contenga un errore di stampa?
Geniale, assolutamente geniale, anche se in genere le “trovate stilistiche” sanno di fregatura lontano un miglio.
Tant’è: arrivi all’ultima pagina e ti arrendi a una scoperta che forse era inevitabile ma che ti sei rifiutato di vedere per non “rovinarti la sorpresa”.
E quando  chiudi il libro sai già che ti precipiterai in libreria non appena uscirà la prossima opera di Alessandro Piperno.

lunedì 8 ottobre 2012

I primi piatti tipici e gustosi della cucina romana

di Chef Magnus


La cucina romana annovera molti piatti considerati a torto “rustici”, che però hanno il pregio di risultare gustosi e semplici da preparare.
Oggi presentiamo quattro ricette di primi, che vanno per la maggiore nelle trattorie tipiche di Roma e dintorni.
Ognuno crede di conoscere bene, ed in modo esclusivo, come si cucina una carbonara o una gricia; il risultato è che a volte ci ritroviamo a mangiare paste con un mix di sapori che, se tutto va bene, potrebbero forse interessare qualche distratto e poco informato turista.
Le ricette che vi propongo sono il risultato di prove personali e numerose visite nelle tipiche Fraschette dei Castelli Romani. Il risultato è garantito, a patto di rispettare scrupolosamente tutti gli ingredienti proposti e non confondere, ad esempio, un guanciale con una pancetta!
Cominciamo con una delle ricette più note:

L’Amatriciana

Soffriggere in olio extravergine di oliva della cipolla tritata grossolanamente, insieme a del guanciale e a un buon pizzico di pepe nero.
Quando la cipolla sarà imbiondita ed il guanciale trasparente, aggiungere un spruzzo di aceto di vino bianco e dopo che l’afrore sarà svanito aggiungere il contenuto di una scatola di pomodori pelati.
A questo punto abbassare la fiamma, aggiustare di sale ed aggiungere un peperoncino piccante.
Far andare lentamente, per almeno mezz’ora e poi usare il sugo per condire i bucatini o, come seconda scelta, dei rigatoni. Non dimenticate naturalmente una generosa dose di pecorino romano.
Il nome  della ricetta ricorda Amatrice, un paese ai piedi delle montagne della Laga, nel reatino. Se passerete da quelle parti, adeguatamente affamati, avrete la possibilità di scegliere fra diverse trattorie, che vi propongono tutte delle ottime amatriciane. Noterete anche che il cameriere vi chiederà se la preferite al “pomodoro” oppure in “bianco”. Se vi farete portare quest’ultima, in pratica mangerete una gustosa pasta Alla gricia.
Come avrete capito, la ricetta è quella di prima, senza ovviamente il pomodoro, il che abbrevierà i tempi di preparazione.

Come terza ricetta vi propongo Cacio e pepe, una pasta la cui diffusione sta aumentando ed ormai tende ad espandersi oltre il Lazio.
Gli ingredienti sono talmente pochi che il rischio è quello di cucinare un banale primo, inferiore magari agli spaghetti al burro… corriamo dunque ai ripari!
Senza proporvi di cuocere la pasta prescelta direttamente in padella, aggiungendo poco alla volta acqua e pecorino grattugiato e pepe nero, fino ad ottenere una pasta al dente affogata in una densa crema, vediamo come preparare in modo più semplice questa ricetta.
Lessate gli spaghetti in abbondante acqua salata.
Quando la cottura è quasi terminata e la pasta ha ceduto l’amido all’acqua di cottura, prelevate un po’ di quest’ultima e mescolatela con abbondante pecorino romano grattugiato e pepe nero, fino a formare la gustosa crema di cui sopra, da amalgamare con la pasta.
Concediamoci però una variante innovativa. Serviamo gli spaghetti dentro cestini di parmigiano croccante, che avremo precedentemente preparato in questo modo: facciamo fondere del parmigiano grattugiato in una padella antiaderente fino a formare una specie di crespella. Togliamola dal fuoco, adagiandola sopra una tazza capovolta, per ottenere la forma di un cestino.

Naturalmente, prima di portare in tavola, date un’ultima spolveratina di pecorino e pepe.

Per ultimo ho lasciato la Carbonara, perché è la pasta che, se correttamente preparata, vi potrà ripagare abbondantemente del tempo passato ai fornelli. Il rischio è che dopo averla assaggiata, i vostri amici potrebbero rinunciare alle trattorie e farvi qualche improvvisata il sabato sera! Provare per credere.
Ecco la ricetta per quattro persone.
Al contrario dell’Amatriciana, che richiede il guanciale, la carbonara esige pancetta affumicata, generosamente tagliata a fette sottili che avremo reso croccanti con un’attenta rosolatura in padella.
Mettete da parte la pancetta e fate appassire abbondante cipolla.
Mentre lesserete la pasta (spaghetti o rigatoni), in una zuppiera rompete un uovo intero più un rosso; unite un ricciolo di burro, pecorino romano e pepe nero. Su questo intingolo verserete la pasta appena scolata, che farà addensare l’uovo. Amalgamate il tutto ed unite la pancetta e la cipolla.
Anche questa volta, prima di portare in tavola, non dimenticatevi un’ultima spolverata di pecorino e pepe nero.
Come dicevo, tantissime sono le interpretazioni e personalizzazioni delle paste romane, per cui ve ne propongo almeno una, proveniente dal Nord Italia, a dimostrazione che la fama di queste ricette è ormai nazionale.

La Carbonara, secondo il mio amico Maurizio:
Soffriggere il guanciale (250 g x 4 persone); sbattere 4 uova intere,  aggiungere noce moscata in abbondanza, sale e pepe e un po’ di grana.
Unire la metà di questo composto al guanciale rosolato, aggiungere la pasta, mescolare e completare con l'altra metà.

Per ultimo un accenno al vino; rigorosamente bianco, fresco e magari frizzantino, come ve lo proporrebbero nelle Fraschette dei Castelli Romani.



giovedì 4 ottobre 2012

"Il tempo tagliato" di Silvia Longo

di Faye



Silvia Longo è nata a Cuneo nel 1965 e vive ad Alba con il marito e il figlio.
Lavora presso una cooperativa sociale che si occupa del recupero e del reinserimento di persone in situazioni di disagio.

Il  tempo tagliato, edito da Longanesi per la collana “La Gaja Scienza” è il suo romanzo d’esordio.

A poco più di quarant’anni, Viola si sente vuota e inutile. Suo marito, acclamato direttore d’orchestra, affascinante ed egocentrico, cui Viola ha dedicato ogni istante della sua vita, è morto da poco. Le giornate di Viola sono ora scandite dalla solitudine e dai ricordi. Durante una manifestazione in onore del marito, in un caldo pomeriggio di giugno, Viola incontra un uomo e poco dopo gli chiede di portarla via dalla festa. Inizia così una vera e propria fuga, durante la quale Viola comincia a raccontare la storia del suo matrimonio, un matrimonio come tanti e allo stesso tempo eccezionale. Ma mentre racconta Viola comincia a porsi delle domande che la porteranno a scoprire un’inattesa e sconvolgente verità…

Pinkafé è lieto di ospitare Silvia Longo, autrice italiana che esordisce per Longanesi con un’opera di grande densità e spessore drammatico, e che ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.
Benvenuta, Silvia. La tua opera prima è senz’altro il miglior biglietto da visita, come per ogni autore. Tuttavia, coloro che ancora non hanno letto il tuo libro sono sicuramente interessati a conoscerti un po’ più da vicino.
Puoi dirci come nasce Silvia Longo scrittrice?


Grazie a Pinkafé, intanto. E a te, che hai letto con tanta attenzione e sensibilità il mio libro.
Provo a risponderti così: immagina una bambina che si diverte a fare i compiti di italiano, e che a un certo punto si accorge che scrivere, da dovere scolastico, è diventato un piacere. Allora inizia a scrivere piccole storie e poesie, ma non le condivide con nessuno. Le cresce dentro, di pari passo, il piacere della lettura. C’è uno scaffale spazioso nella casa in cui vive, è alto che quasi tocca il soffitto, e lei – esauriti i libri per ragazzi  – comincia a leggere quelli che trova sui ripiani più bassi fino ad arrivare a quelli posti in alto. Quando ne trova uno che la emoziona particolarmente, prova a imitare lo stile dell’autore. Scopre la gioia di lasciarsi fluire sui fogli, e la difficoltà a raggiungere i livelli che si prefissa. Ma non si dà per vinta. Sceglie gli argomenti – devono suonarle autentici - e cura la parola, nel corso degli anni, con umiltà, fino a sentirsi pronta per il confronto decisivo: quello con i lettori.

Nel tuo passato di autrice ci sono poesie, fiabe e racconti. Come mai per il tuo esordio hai scelto una storia così densa e potente?

Credo siano le storie a decidere per me. A un certo momento vogliono essere raccontate. Immagino si vada per accumulo: vivi situazioni, ti relazioni con altre persone, entri in contatto con realtà diverse. Tutto questo va a sedimentare da qualche parte dentro te, strato su strato, finché un giorno senti l’urgenza di liberartene. Che si tratti di esperienze piacevoli o meno, che riguardino te in prima persona o altri: se ti hanno toccato, ne è rimasta traccia. Scrivere permette di rielaborare come in una specie di psicodramma: rivivi qualcosa (anche sotto forma di metafora) per prenderne poi le distanze.


“Il tempo tagliato” narra la storia di Viola, una donna che ha vissuto tutta la vita all’ombra del proprio marito, famoso direttore d’orchestra, e che alla sua morte sente la necessità di trovare un tempo personale. Chi è, veramente, Viola?

Viola è una donna normale, una come tante. Tende a identificarsi nello stereotipo di moglie e madre perfetta e, per una somma di valori morali acquisiti fin da bambina, associa l’idea di amore a quella di sacrificio. Crede che, dedicandosi totalmente agli altri, la sua vita acquisti un senso. Allo stesso modo Viola rappresenta tutti, uomini e donne, quando vengono rapinati del loro ritmo di vita, del loro tempo libero, sia che questo succeda per cause esterne (lavoro, famiglia, ecc…), sia che si tratti di un’esigenza interiore. Spesso, poi, si dà agli altri quanto più amore possibile per essere certi di riceverne indietro almeno un po’. E allora forse non si tratta di amore puro, ma anche di timore. Paura di restare soli, di non essere apprezzati, di venire abbandonati. Anche in questo senso siamo tutti un po’ Viola, io credo.

Il tempo è il vero protagonista di  questo romanzo: è l’agente atmosferico che condiziona il viaggio di Viola, è l’ossessione umana e musicale di Federico, è il ritmo personale che la donna non riesce più a trovare dopo la morte del marito, come se il lutto avesse bloccato il suo orologio interiore. Cosa ti ha portato a scrivere un libro sul tempo?

Una riflessione sulla parola “tempo”, sulle sue tante accezioni. Ma soprattutto su quanto il concetto di tempo oggettivo influenzi le nostre vite. Si guarda l’orologio fin troppo spesso, ogni giorno, si corre e ci si affanna per far fronte a tutto nella speranza di quel piccolo premio finale: un cinema, il libro prima di dormire, un’uscita con gli amici. E magari, invece, finisci per crollare esausto sul divano. A lungo andare si rischia di entrare in un circolo vizioso: lavoro, casa, impegni vari. E niente tempo per se stessi. Una sofferenza.

Il tuo romanzo presuppone una profonda conoscenza e un grande amore per la musica e il mondo che la circonda. Vuoi parlarcene?

Le mie conoscenze tecniche sono in realtà molto scarse: so leggere la musica e trovare le note sui tasti del pianoforte, ma non so suonare. Ci sono cresciuta però, perché a casa mia se ne ascoltava tanta, e di molti generi diversi. All'inizio degli anni Ottanta ho frequentato l’ambiente musicale underground di Cuneo e dintorni: c’erano curiosità e fermento, fame di nuovo. La nostra era una città fin troppo tranquilla e la musica aiutava noi ragazzi a esprimere ciò che sentivamo, compresa la noia. Ho sempre avuto amici musicisti, anche adesso. E poi ho un figlio che suona diversi strumenti. La musica è come la Parola, evocativa, ed è forse il veicolo più veloce a portarmi dentro me stessa, o a proiettarmi altrove, in altri tempi e altri luoghi, sotto altri cieli.

Parliamo della “fuga” di Viola, un termine bivalente che sottintende, oltre al significato più ovvio, una forma musicale in tempi antichi chiamata “ricerca”.  Una metafora per comprendere meglio il viaggio della protagonista?

Sì. Per quanto io porti grande rispetto alle parole, amo anche giocarci. Così mi sono divertita con la doppia interpretazione di “fuga”, come hai giustamente rilevato: Viola che abbandona alla chetichella la festa di cui è ospite d’onore mentre stanno suonando Bach, il maestro delle fughe. Anticamente quella forma musicale era detta ricercare. Una fuga dunque nasceva a metà strada tra il genio del compositore e la conoscenza delle regole armoniche necessarie. Nella vita accade la stessa cosa, mi pare: spesso ci guardiamo dentro e cerchiamo risposte che arrivano solo quando il cuore e il cervello si sincronizzano. Quando siamo soli con noi stessi e decisi a dirci tutta la verità.

Vi sono pagine che descrivono con profonda consapevolezza la fatica di vivere di persone che hanno perso l’armonia interiore. Quanto ha influito la tua personale esperienza lavorativa?

Sicuramente il mio lavoro nel sociale si ripercuote anche sulla scrittura. Le persone con le quali entro in relazione hanno vissuti di grande dolore alle spalle: lutti, abbandoni, emarginazione, malattia, crollo della fiducia nel mondo e nella vita. Ascoltare le loro storie è sempre un’esperienza iniziatica, è ricevere codici di accesso a esperienze che io non ho fatto, e chiavi di lettura diverse  a sofferenze che io stessa ho sperimentato. Il dolore degli altri, quando lo raccogli, ti scotta le dita, ma è un dono di fiducia. Ti permette una conoscenza più vasta dell’Uomo, e di esercitare l’empatia.

Cosa c’è nei tuoi progetti futuri di autrice?
Ho iniziato la stesura di un nuovo romanzo, a cui tengo molto. Un’altra storia che mi chiede di essere raccontata.


Silvia Longo è un’autrice dalla scrittura elegante, fluida, pulita come raramente si ha occasione di trovare. Le sue pagine emozionano per la forza del contenuto espresso con uno stile impeccabile. Siamo davvero orgogliosi di aver presentato una scrittrice che promette di diventare un sicuro punto di riferimento nella narrativa italiana.
Grazie Silvia e un grandissimo “in bocca al lupo” per il tuo romanzo.


Grazie a voi, è stato un piacere!





Ringraziamo Silvia Longo e la casa editrice Longanesi per la gentile collaborazione e per il materiale fotografico messo a disposizione di Pinkafé.
Per cortesia della casa editrice, presentiamo ai nostri lettori un estratto dal libro “Il tempo tagliato” (Longanesi & C © 2012).


21 giugno, solstizio d’estate.

Balzo dal sonno sudata, a corto di fiato.
Incubi, forse. Oppure il caldo.
La notte e` trascorsa come niente fosse, senza lasciare postumi di frescura. Appena le otto, e la persiana diffonde luce a liste sottili, mobili di pulviscolo. Giugno radioso si insinua nella stanza gia` satura di gradi. Spietato. E nessuna concessione di vento.
L’estate e` scoppiata in anticipo, due settimane fa. Persistente, appiccicosa come un profumo sbagliato. Non riesco a lavarmela di dosso, faccio fatica a dormire. A compiere ogni piccolo movimento.
Torno a stendermi. Un fianco, poi l’altro, di schiena alla finestra. Chiudo gli occhi e mi ostino sulla scia di un sogno che ormai svanisce lasciando solo un’ansia indefinita.
Passano minuti insieme alla speranza di riaddormentarmi. Il cuore batte forte al centro, e il costato ne amplifica il suono. E ` un rumore di digiuni protratti. Di assenza.
Mi libero del lenzuolo, lo scalcio via con rabbia.
Distesa sulla pancia adesso, gambe e braccia allargate. La pancia. Il modo migliore per dormire, quando fa caldo, e trovare conforto. Pancia sotto, cosı`, e quanti aggettivi mi scivolano addosso, tutti quelli che potrebbero calzare, e invece no, non fanno presa, non hanno aderenza. Tutti tranne uno, che ho paura persino a pensarlo.
Sola.
Un fiotto di luce colpisce il letto proprio in mezzo, quasi una benedizione, un sacramento effuso sulla mia pochezza nuda e ferita. Intingo me stessa in questo guado fino a cogliere, con le dita e i pensieri, il ritmo giusto a portarmi. Calibro il volo, che sia breve e asciutto di sentimento. Con il corpo sara`lecito, magari, ma farsi godere il cuore e` un azzardo. E la mia pelle non e` piu` avvezza al sole. Mi mordo le labbra, controllo il respiro. Anche se non c’e` nessuno qui accanto, ne´ in casa.


martedì 2 ottobre 2012

Gli affari d'amore di Patrizia Violi

by andreina

Abbiamo piacere di ospitare al  Pinkafè, la scrittrice Patrizia Violi. L'autrice vive a Milano, dove fa la giornalista. Ha pubblicato i romanzi Una mamma da URL (Dalai editore, 2010) e Love.com (Emmabooks, 2011).Il suo blog è: www.extramamma.net

Patrizia Violi sarà ospite domani alle 15, su Rai 2 a  parlare di "rinuncia alla carriera per la famiglia"

Del suo libro Affari d'amore dice:
Il mio libro racconta di una famiglia tutta al femminile, nonna, figlia e nipoti il cui credo è, ed è sempre stato, quello di trovare uomini sponsor anzichè realizzarsi sul lavoro. La nonna è la matriarca, ai suoi tempi una bellona di Carosello, e ha inculcato alla figlia e poi alle nipoti la sua filosofia. Nel romanzo poi qualcosa non funzione irrompe
l'amore e la situazione si complica parecchio...

Cara Patrizia, benvenuta al Pinkafè, la prima domanda che ti facciamo è d’obbligo: sei sposata,  hai due figlie adolescenti, un cane, un lavoro impegnativo, sei anche una blogger e scrivi anche libri… complimenti, dove trovi il tempo?  vuoi parlarci un pò di te?

Grazie a voi di avermi invitata!
Grazie anche dei complimenti, forse immeritati: questa prima domanda scopre un tasto dolente! Infatti arranco sempre per  riuscire a fare tutto, nei momenti più strani, tipo mentre sto per addormentarmi, sotto la doccia o durante la spesa, mi viene in mente : ”Oddio, ho dimenticato questo!” oppure: “Devo ricordarmi assolutamente...”
Insomma un’ansia quasi continua. Poi sono sempre di corsa e mi sento in colpa.
Normale no? Noi donne siamo multitasking! Sarà mica una maledizione?
Comunque l’unica cosa che mi salva è che riesco spesso a vedere il lato ironico delle situazioni e quindi cerco di sdrammatizzare e ridimensionare. Poi ho la fortuna di avere un marito che mi aiuta con la gestione della casa, del cane e ovviamente delle nostre figlie.
Per scrivere il momento ideale è la sera quando le ragazze sono andate a letto o comunque affaccendate nelle loro cose e posso ritagliarmi un paio d’ore per concentrarmi e farmi trasportare nel mio mondo di sogno e di scrittura.

E'  stato facile diventare una scrittrice?

E’ stato molto difficile. Come giornalista diciamo che “confinavo” con il mondo dell’editoria, ma essere presi in considerazione per pubblicare è piuttosto duro. Ho mandato un po’ di manoscritti alle varie case editrici, senza successo. Il problema è che spesso le redazioni degli editori sono ridotte all’osso e quindi chi è preposto alla lettura dei manoscritti lavora molto, molto lentamente. E le risposte arrivano dopo tantissimo tempo, se arrivano. Spesso comunque è una questione di tempistica, di fortuna, di fatalità. Quando avevo deciso di lasciar perdere mi è capitata, per puro caso, la coincidenza giusta.

Affari d'amore non è il primo libro che pubblichi con la casa editrice Baldini&Castoldi; ci racconti come è iniziata questa tua avventura?

Riprendo dalla domanda precedente...Attraverso il mio blog, extramamma, in cui racconto le mie avventure domestiche, avevo incontrato una ragazza, una giovane mamma, ci siamo scambiate un po’ di email e un giorno incontrate per conoscerci di persona. Mi ha raccontato che lavorava per la mia futura casa editrice e allora le ho parlato delle mie velleità letterarie. Lei mi ha proposto, senza che glielo chiedessi, di mettermi in contatto con la mia futura editor e zac! come per magia, dopo anni di disillusioni, tutto è cominciato. Dopo il primo romanzo “Una mamma da URL” basato sulla mia esperienza nel mondo dei blog, è andato bene e così mi hanno chiesto un secondo libro che è appunto “Affari d’amore”.

Come è nata l'idea di scrivere Affari d'amore?  Vuoi parlarci dei personaggi  femminili del romanzo? 

L’editor mi ha chiesto una storia d’amore, l’idea della famiglia tutto al femminile con queste donne ciniche e in cerca di uomini ricchi, mi è venuta perchè nella vita ne ho incontrati un paio di nuclei famigliari di questo tipo. Devo ammettere che erano meno glamour, un po’ più escort delle mie protagoniste. Qual è la cosa che questo tipo di donne non si possono permettere?
L’amore perchè è un sentimento incontrollabile che fa perdere il controllo e sbalestrare i conti. Quindi ho fatto innamorare una delle mie protagoniste per provocare una crisi nel sistema famigliare!
Poi un altro elemento che mi ha ispirato è stata la vicenda delle Olgettine dello scorso anno, sentire nelle intercettazioni i parenti che invece di scandalizzarsi incitavano le figlie a chiedere sempre di più. Mettendo insieme tutti questi spunti è nata la trama del romanzo. Poi come sempre succede scrivendo un po’ alla volta i personaggi prendono “corpo” e si definiscono.
Beatrice, la nonna cinica e manipolatrice, Isabella, la figlia succube di lei, le nipoti Viola, arrabbiata e ribelle, e Angelica, la protagonista che affronta a modo suo un percorso di crescita ed emancipazione.

Nonostante sia un personaggio negativo, Beatrice, la figura matriarcale della famiglia, ha un fascino tutto suo. E’ un personaggio che esiste realmente, ti sei ispirata a qualche tua conoscenza? 

Qui volete mettermi nei guai!
In effetti sì, c’è una persona, una mia lontana parente che un po’ mi ha ispirato. Ma non posso dire di più e spero tanto che non navighi su internet e arrivi a Pinkafè!
Comunque l’ho peggiorata molto, l’ho resa più cinica e dissacrante. Ho lavorato di fantasia e devo dire che mi sono anche divertita. E’ stato il personaggio che mi è piaciuto di più scrivere: forse ho dato sfogo al mio lato oscuro!

Mi pare che il finale del libro lasci aperte alcune possibilità per un sequel. Ci stai pensando o lavorando, oppure hai altri progetti nell’immediato futuro? Hai mai pensato di scrivere un romanzo storico?

Infatti il finale è abbastanza aperto. Ho proprio pensato che la storia potrebbe continuare. Alcune lettrici me l’hanno chiesto. Vedremo... a me piacerebbe farle vivere ancora un po’.
Sui progetti futuri decisamente un’altra storia d’amore. Mi è venuto in mente un soggetto, mi piace anche molto ma sono bloccata, dopo un inizio promettente, non so come portarla avanti. Adesso è solo nella mia testa, ci penso sempre. E’ un’idea fissa. Così fissa che l’altro giorno stavo guidando, ero assorta in questi pensieri, e per poco tamponavo!
Sul romanzo storico mi piacerebbe moltissimo ma ci sono regole ben precise, dovrei studiarmele. Cercherò di farlo perchè è un argomento molto affascinante.

 Siamo curiosi di sapere quali sono i tuoi gusti letterari;  qual'è l'ultimo libro che hai letto e cosa stai leggendo adesso?

L’ultimo libro che ho letto è un saggio, non un romanzo. Si intitola “La scrittrice cucinava qui” (scritto da Stefania Aleph Barzini) e racconta in chiave romanzata la vita di alcune scrittrici famose come Colette, Virginia Wolf, Agatha Christie e molte altre per analizzare il loro rapporto con il cibo e la cucina. E’ molto intrigante perchè svela particolari inediti e romantici sulla loro vita e di come l’appetito sia legato ai sentimenti e alle emozioni anche quelle d’amore.
Poi recentemente mi sono gustata la trilogia di Katherine Pancol, da “Gli occhi gialli dei coccodrilli” fino a  “Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì”.
E sul comodino ho “Sogni di vetro” di Mariangela Comocardi.

Vorresti dire qualcosa alle lettrici?

Vorrei suggerire di non curarsi, anzi di compatire con benevolenza, qualcuno che consideri la letteratura rosa di serie B e fa sorrisetti accondiscendenti quando si parla di libri d’amore. Vorrei consigliare di continuare a leggere romanzi che fanno sognare, emozionare, ridere e piangere. Questo è quello che un buon libro deve saper regalare!

Ancora grazie a Patrizia Violi per aver accettato di essere nostra ospite

Grazie a voi e complimenti a Pinkafè: ineressante, ben scritto ed efficace negli approfondimenti!



Trama  di " Affari d'amore"


Investire sulla bellezza e sul proprio capitale erotico è un trucco vecchissimo. Tornato prepontentemente di moda in un momento di crisi economica  come questo: cercare di accalappiare uno sponsor anzichè dannarsi per cercare un improbabile lavoro sembra ad alcune la scorciatoia più furba.
Lo sostiene anche Catherine Hakim, sociologa della London School of Economics, nel saggio Honey Money: The Power of Erotic Capital, convinta che il mix di bellezza, abilità sociale, competenza sessuale e apparenza, produca potere e sia uno strumento di autopromozione indispensabile nella nostra società.
Affari d’amore racconta la storia di una famiglia tutta al femminile, che da sempre ha messo in pratica questa teoria. Nel romanzo ci sono, infatti, tre generazioni di donne disposte a tutto per vivere nel lusso.
La nonna, Beatrice, reginetta di bellezza d’antan, è la matriarca e con il suo carattere volitivo e cinico detta legge. Ha addomesticato figlia e nipoti al credo di famiglia: meglio non lavorare ma cercare uomini da compiacere e sfruttare. Relazioni senza emozioni e sentimenti per non rischiare di perdere il controllo e di conseguenza anche le entrate.
Isabella, la figlia, ex modella, è mantenuta da un ricco e vecchio fidanzato.
Mentre Angelica, la primogenita,  facendo la ragazza immagine, si è accasata con un uomo che ha il doppio della sua età ma un bel conto in banca.
Poi c’è Viola, la sorellina di sedici anni che arrotonda mettendo foto hard sul web.
Le protagoniste di questa storia non si dolgono della loro condizione perchè si considerano emancipate: strumentalizzare gli uomini è un esempio di parità o forse anche di superiorità. Infatti entrambi i soggetti sono consapevoli dell’accordo su cui si basa la relazione: donne trofeo in cambio di un reddito sicuro.
Ma un giorno irrompe un elemento destabilizzante: una delle ragazze si innamora.  Il suo cuore congelato dal cinismo delle regole di famiglia comincia a sciogliersi per un bel barista, giovane e  spiantato.  Uno scandalo per mamma e nonna, che non tollerano questo sciagurato cambiamento di rotta e tentano in ogni modo di riportarla sulla «retta» via.  La ragazza abdicherà nel nome dell’interesse famigliare o si toglierà gli anelli di Pomellato per preparare insalate nel bar del suo amore?

Estratto del libro

...forse è un rischio passeggiare con Luca così vicino a casa. Mauro senz’altro non rischia di incontrarlo perché stamattina è uscito per andare in ufficio prima di lei. Ma più meno a quest’ora deve arrivare Carmen, la colf.
Chissà cosa penserebbe se la vedesse con Luca. Forse sarebbe contenta, pensa Angelica.
Perché, certe volte, le sembra che Carmen la guardi con compatimento quando è con Mauro, ma forse è soltanto una  sua impressione. Dopo aver fatto colazione, Luca propone anche un giretto al Parco Sempione. Angelica fa un po’ di storie, ma poi accetta.
Camminano vicini sui vialetti ancora coperti di brina e il luminati dal sole. Incrociano solo jogger, padroni di cani e  qualche mamma frettolosa con il passeggino.
Luca parla un sacco di sé. Racconta della sua passione per  la musica: di quando ai tempi del liceo, aveva formato una  band, ma anche dell’investimento che ha fatto recentemente  acquistando il bar. Di suo padre che gli sta con il fiato sul collo perché ha paura che sia stato un passo troppo impegnativo, per lui che ha solamente venticinque anni.
Angelica ascolta e fa solo qualche commento nei momenti più opportuni.
«Ti ho praticamente raccontato tutta la mia vita mentre di te non so niente.»
«Non ho una storia molto interessante… ho appena ripreso l’università…»
«Prima lavoravi?»
«Sì, ho fatto un po’ di fiere e cose così, come ragazza immagine.»
«Certo, dovevo intuirlo.»
«Cosa vuoi dire?» Angelica è subito sulla difensiva.
«Che sei molto bella e magari…»
«Magari cosa?»
«Hai un fidanzato.»
Angelica non sa se negare o pregarlo di smetterla con le domande pericolose. Sono stati bene fino a quel momento, è un peccato rovinare tutto. Con le parole.
Così reagisce come non avrebbe mai immaginato.
Cerca la mano di Luca, infilata nella tasca del suo giubbotto, e la stringe. Lui non sembra affatto stupito. Gira il viso verso Angelica e la bacia. Prima piano, poi con più
passione. Si guardano e ridono. E si baciano ancora e ancora.


Secondo estratto

Angelica è contenta di vedere Marta.
Sorride immaginandosela arrivare sorridente e tutta intabarrata: sciarpa, cuffia di lana e giaccone peloso. Sempre in ritardo e sempre di corsa. Marta è l’unica amica di Angelica.
Insieme si divertono anche se sono diversissime. Angelica è introversa e razionale, Marta vulcanica e imprevedibile. Una decisamente bella, l’altra solo appariscente: un po’ cicciottella, ha un décolleté che fa molte vittime, gli occhi da gatta e i capelli da fattucchiera ingabbiati in una specie di palma di treccine.
Quando si sono incontrate, tre anni prima all’università, Angelica pensava che Marta l’avesse avvicinata solo per curiosità antropologica: per studiarla come un incomprensibile
e futile fenomeno metropolitano.
Angelica, sin dai tempi del liceo, era abituata a essere osservata e soprattutto giudicata. Quindi si era lasciata passivamente analizzare anche da quella strana ragazza che ogni tanto dopo le lezioni la invitava a mangiare un panino insieme.
In quelle occasioni, chiacchierando con Marta, si era resa conto invece di quanto fosse spontanea e attirata da lei a prescindere dalle differenze.
Questa scoperta l’aveva stupita.
Era la prima volta che una ragazza sembrava trovarla interessante. Le sue compagne di scuola infatti l’avevano sempre emarginata: perché piaceva molto ai maschi, aveva una
famiglia strana e troppi vestiti firmati.
Con Marta invece sembrava diverso, dallo scambiarsi dritte per il piano di studi erano passate gradualmente a confidenze più intime.
Marta le aveva svelato di essere innamorata di un ragazzo, un certo Davide, che quando stava con lei era meraviglioso, soprattutto a fare sesso, poi spariva per troppo tempo
facendola disperare. Quando lei se n’era quasi fatta una ragione, ricompariva più appassionato di prima, la incantava e dopo si dava nuovamente alla fuga. Un amore intermittente che le avvelenava la vita da un anno.
«Gli uomini sono dei deficienti e bisogna solo usarli»,
aveva subito commentato con astio Angelica.
Marta era rimasta a bocca aperta. Si sarebbe aspettata comprensione, alla peggio commiserazione, ma mai una risposta così cinica e diretta.
Allora Angelica le aveva raccontato la filosofia di casa sua e di come le avessero insegnato che gli uomini sono solo polli da spennare. E come a questo proposito il fatto che lei frequentasse l’università fosse visto come una trasgressione che allontanava dal vero obiettivo: trovare un uomo ricco che la mantenesse. Mentre gli uomini che si incontrano in facoltà, i professori universitari, in genere, non erano così ben pagati da potersi permettere di far vivere nel lusso una giovane compagna. Quindi, per la madre di Angelica era assolutamente sconsigliabile e inutile perdere tempo nell’ambiente
accademico.
Marta, ascoltandola, l’aveva guardata con incredulità e all’inizio aveva pensato che Angelica si inventasse tutto per prenderla in giro. Per scioccarla.
Poi, dall’espressione seria dell’amica aveva capito che diceva la verità. Il boccone del panino che stava mangiando le era andato di traverso e stava quasi per soffocare. Dopo un bicchiere d’acqua era riuscita a sbottare, scandalizzata: «L’eco di tutte le battaglie delle donne che hanno combattuto per l’uguaglianza dei diritti non è mai arrivato a casa tua?»
«Ma cosa dici? Certo che siamo emancipate. Strumentalizzare gli uomini è un esempio di parità: ci usano come un trofeo e per fare sesso mentre noi li usiamo come fonte di reddito. Siamo entrambi consapevoli di questo accordo.»
«Ok, questa potrebbe anche essere la teoria delirante, ma in pratica fare sesso con un vecchio non ti fa schifo?»
Angelica era già pentita di essersi confidata con Marta, non avrebbe dovuto farsi trascinare in quella conversazione.
Era stata una vera ingenua. La mamma e la nonna le avevano consigliato di glissare sempre quando con altre donne si parlava di uomini. Nessuna avrebbe capito, tutte si sarebbero mostrate moraliste e bacchettone.




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...