domenica 30 settembre 2012

Affari d'amore di Patrizia Violi


by Andreina

Una famiglia matriarcale, tre generazioni plasmate da un'unica e cinica capostipite che ha preso l'amore e lo ha ridotto a un cumulo di sentimenti inutili.La loro filosofia è quella di sfruttare gli uomini.

Inculcando questo credo,  prima alla figlia e poi alle nipoti, Beatrice è irremovibile: loro non  devono  lavorare,  ci mancherebbe!
Altrimenti a cosa servono gli uomini ricchi?
Impossibile rinunciare ai vestiti firmati , a quello sfarzo che un semplice operaio non potrà mai dare. Farsi mantenere è l'unico stile di vita, per non senza sudare nemmeno un giorno, tranne  quando si va a fare shopping!

Ma l'amore dove lo mettiamo? Da nessuna parte perché l'amore porta solo dolore e amarezza.
Questo dice Beatrice e quello che lei dice è Bibbia.

Guai a chiamarla “nonna”, lei si considera ben altro. Non è fatta per i pranzi delle domeniche e i biscotti al cioccolato. Beatrice è colei che tiene in mano le redini della famiglia, ha addomesticato sua figlia  seguendo il suo credo, spingendola a relazioni con uomini disgustosi ma ricchi in grado di mantenerla. Ma fin dove arriva il suo cinismo? Può così tanto rancore verso il mondo maschile avere un limite?
Questo limite viene messo in discussione dalla nipote, Angelica. L'unica che ha sempre avuto qualche dubbio a vivere così. Spinta dalla nonna e dalla mamma, Angelica si adagia a vivere la storia con un uomo che non sopporta, benestante, ma molto più grande di lei. Se nonna e mamma lo hanno fatto, allora non dev’essere poi così grave.

Sempre più insofferente alle ciniche regole della nonna, inizia a chiedersi come cambiare la sua vita. Sarà l'incontro con l'amore, sentimento che Beatrice ostacolerà con tutte le sue forze, a scatenare gravi incomprensioni in famiglia.

Questo romanzo mi è piaciuto da subito, ho trovato il personaggio di Beatrice, per quanto antipatico, di una coerenza esemplare, nulla la ferma. Il suo modo di pensare rimane ancorato a se stesso e niente la schioda!
La figlia  Isabella,  debole e succube, è il  burattino  della madre. Più volte mi ha fatto venire voglia di entrare nel libro per prenderla a sberle e darle una svegliata! Caspita una reazione emotiva senza il permesso di mammina la deve pur mostrare, no?
Viola, sorella di Angelica, è invece caratterialmente la più tosta, ma anche la più sofferente. Quella che vive circondata da donne che si vendono ai loro compagni per soldi, mentre lei i soldi li vuol fare da sola… Anche se con metodi al limite della decenza.
Angelica. Lei è, diciamo, la vera protagonista della storia, in perenne conflitto con la sua morale e integrità, sempre più indecisa se continuare a vivere come è abituata, come le è stato insegnato, oppure liberarsi finalmente dal cappio famigliare e vivere la sua vita e l'amore.
Prenderà la decisione giusta?

I miei complimenti all'autrice per aver creato dei personaggi ben delineati, tanto che la lettura è stata molto fluida – il libro scorre che una meraviglia! - mai noiosa.
Non è il solito romanzetto, e mi ha mi ha fatto venire voglia di leggere i suoi libri precedenti.
L'unico rimprovero che mi permetto di fare a Patrizia Violi è la fine un po’ frettolosa: ci stavano almeno due paginette in più, no? O c'è un motivo...?

Alcune porte sono rimaste se non aperte almeno socchiuse... Le vogliamo spalancare? Sì, dico io! Se ho capito bene ci sarà un seguito? Cosa succederà a Beatrice, Isabella, Angelica e Viola?



venerdì 28 settembre 2012

Le 12 sfumature indossano il vestito e sbarcano in libreria!


by Andreina


Nel mese di agosto di quest'anno, Harlequin Mondadori sulla scia dell'evento erotico suscitato dal libro 50 cinquanta sfumature di grigio",  ha lanciato una serie di racconti erotici in formato ebook, 12 racconti da non farsi scappare! Per le affezionate del cartaceo, ecco la novità: le 12 sfumature sono state raggruppate in un volume dal titolo Sei. solo. mia. Vi auguro una piacevole ed eccitante lettura ^_^

Questo il comunicato stampa della casa editrice:

HM, LA LINEA DI ROMANZI FIRMATA DA HARLEQUIN MONDADORI, LANCIA L'EROTICO.

Legata, ammanettata o bendata. Dominatrice o sottomessa. Tu quale sfumatura preferisci?
12 sfumature di trasgressione: è peccato non leggerle

Dodici storie bollenti per donne che amano conoscere tutti gli aspetti della trasgressione, un concentrato di sensualità, passione, peccato e fantasia. 12 uomini fantastici da cui farsi dominare. 12 donne per immedesimarsi nelle situazioni piu` sconvolgenti. 12 storie erotiche con cui sognare.

Dal 25 settembre il successo dell'estate " 12 piccole sfumature"- i mini ebook di Harlequin Mondadori, è disponibile anche nella versione stampata in tutte le librerie al prezzo speciale di € 9,90.

SEI. SOLO. MIA. è un’antologia contenente 12 racconti erotici che rievocano le atmosfere del rapporto tra Mr. Grey e Anastasia, ma descritte in modo ancora più piccante e coinvolgente. Un concentrato di sensualità, passione, peccato e fantasia. Protagonisti 12 uomini fantastici da cui farsi dominare, 12 donne per immedesimarsi nelle situazioni più sconvolgenti, 12 storie erotiche con cui sognare, 12 peccati da NON confessare, 12 regole da NON accettare.

UN SUCCESSO EDITORIALE già pubblicato nella versione originale in UK e USA con il titolo di “12 shades of surrender” e tradotto in diverse lingue.

12 AUTRICI, leader nella letteratura erotica americana, si sono unite per firmare questa antologia: Adelaide Cole, Portia Da Costa, Tiffany Reitz, Elisa Adams, Saskia Walker, Eden Bradley, Alison Tyler, Alegra Verde, Lisa Renee Jones, Megan Hart, Emilia Elmwood, Anne Calhoun.




mercoledì 26 settembre 2012

Alexandra J. Forrest, una penna tutta italiana

by Andreina


Il Pinkafè è lieto di ospitare la scrittrice Alexandra J.Forrest. Durante tutta la sua carriera  ha scritto  romanzi storici, contemporani  e fantasy usando vari pseudonimi, e solo recentemente ha rivelato il suo vero nome, Angela P.Fassio.
Alexandra è una signora molto elegante e gentilissima, disponibile con le sue lettrici; quando l'ho conosciuta a Milano in occasione della PinKermesse, è stata di una gentilezza e disponibilità incredibili, insomma una donna di gran classe! Questo il sito ufficiale di Alessandra J.Forrest:
www.angelapescefassio.it


Cara Alessandra, benvenutà al Pinkafe; Scrivi con vari pseudonimi ma recentemente hai scelto di rivelare alle lettrici il tuo vero nome. Come mai hai preso questa decisione? Pensi che potresti pentirti di averlo fatto?

Già da tempo meditavo di svelare la mia identità e l’anno scorso, alla Pinkermesse, ho avuto l’occasione di farlo. Con l’approvazione della Harlequin, naturalmente. Confesso che seguitare a parlare dei miei libri come se fossero scritti da qualcun altro era diventato… quasi imbarazzante. Pentirmi? Non credo. Ora posso comunicare con le lettrici in modo diretto, rendere noto ciò che pubblico, incoraggiarne spudoratamente l’acquisto… Insomma, se non avessi gettato la maschera, adesso non sarei qui a rispondere alle vostre domande. Non sono più una straniera, ma un’amica con cui dialogare.

Il tuo esordio nel mondo letterario è stato facile o hai avuto problemi per far pubblicare i tuoi libri? Che consigli ti sentiresti di dare a chi volesse intraprendere la carriera di scrittore?

Credo d’aver incontrato le difficoltà di quasi tutti gli autori, agli inizi. Farsi prendere in considerazione dagli Editori non è mai facile, specie se non hai conoscenze nell’ambiente, e ci vuole anche un po’ di fortuna. Consigli? Perseveranza, tenacia, voglia di imparare, non temere i giudizi negativi e accettare i suggerimenti, le critiche costruttive. Il talento non è tutto e la scuola degli scrittori non finisce mai.

Il sodalizio con la Harlequin dura da tanti anni, come ci si sente quando una casa editrice continua a darti la sua fiducia?

E’ una bella sensazione e uno stimolo a dare il meglio.

Il cerchio del destino è un romanzo storico ambientato nella Scozia del XVIII°secolo. In che modo questa terra ricchissima di miti e leggende è stata per te fonte di ispirazione?

La Storia è una fonte inesauribile d’ispirazione, per un autore. Le vicende tumultuose dei secoli passati esercitano un grande fascino e stimolano la creatività, il desiderio di raccontare eventi che appartengono a epoche remote per cercare di ricreare l’atmosfera di allora e condurre il lettore in un viaggio nel tempo, fargli varcare l’invisibile frontiera dei secoli e dargli modo di scoprire, sperimentare e conoscere luoghi, personaggi, episodi di vita, usanze e tradizioni. In questo caso la Scozia e uno dei periodi più tormentati della sua storia.

Nel libro si parla di magia e druidi, un argomento che non manca mai di esercitare sul lettore un grande fascino. In genere come ti documenti quando devi scrivere un romanzo nel quale questi elementi hanno un ruolo preponderante?

La ricerca è un elemento fondante e imprescindibile, quale che sia l’argomento di cui si vuole scrivere. Purtroppo il sapere dei druidi veniva tramandato oralmente e l’assenza di documenti che ne siano testimonianza rende impossibile attingere a fonti storiche certe. Tuttavia qualcosa è giunto fino a noi e di studiosi che hanno compiuto ricerche approfondite ne esistono parecchi, per fortuna. Onestamente, devo dire che i druidi e le loro conoscenze misteriche non sono l’elemento su cui si basa il romanzo, ma l’arcana magia di cui è impregnato il cerchio di pietre dove celebravano i loro riti farà nascere l’amore fra i due protagonisti, creando un legame indissolubile.

Un'intensa storia  d'amore fortemente contrastata sarà l'anima del libro: vuoi dirci qualcosa su Kayla e Robert? Come sono nati  questi tuoi personaggi?  Si tratta di un romanzo autoconclusivo o prevedi un sequel?

Mi piacciono le storie d’amore contrastate. Mi piace rendere la vita difficile ai miei personaggi. Nel caso di Robert e Kayla mi ci sono messa d’impegno. Tutto, intorno a loro cospira per separarli. Ma l’amore è più forte e trionfa sempre, almeno nei romanzi. Come sono nati? Da una storia che un po’ mi riguarda. Niente di drammatico, beninteso, ma è esistito un Robert nella mia vita, tanto tempo fa, e a lui mi sono ispirata per creare il protagonista del libro. Forse Kayla un pochino mi somiglia. Ma solo un pochino. Davvero. In quanto a un seguito… se sapessi prevedere il futuro direi che ci sarà. Il finale aperto me ne potrebbe fornire il pretesto. Però credo che molto dipenda dal successo del libro. Staremo a vedere.

Quando scrivi un libro segui un tuo personale ordine o principalmente è l'istinto creativo a guidarti? Come nascono i personaggi dei tuoi libri?

Almeno all’inizio mi affido alla creatività più sfrenata. Mi tuffo nella vicenda e la porto avanti fino alla conclusione. Mi capita, a volte, di partire da una bozza d’idea che non so dove mi condurrà e di procedere assecondando l’ispirazione del momento. Avvengono, strada facendo, sviluppi imprevisti, inaspettati persino per me. Amo questo aspetto dello scrivere: conosco il punto di partenza, ma non quello d’arrivo. Poi, però, occorre mettere ordine, limare qua e là. La revisione del testo è la parte più difficile, anche la più noiosa, ma è indispensabile. La prima stesura non è mai definitiva e sempre si riscrive daccapo. Una, due, tre volte. La nascita dei personaggi è legata alla storia che voglio raccontare. Le loro vicende personali devono integrarsi nel contesto generale, uniformandosi all’impianto. E’ ovvio che quando sono di fantasia è più facile gestirli.


Alcune tue colleghe d’oltreoceano spesso abbandonano momentaneamente, se non del tutto, la narrativa storica per il contemporaneo e il  paranormal. Secondo te perché lo fanno? Credi che ci sia un interesse maggiore o un differente rispetto per altri generi letterari?

Ignoro quali siano le motivazioni delle mie colleghe d’oltreoceano e, d’altronde, non mi sono mai posta la domanda. Forse sentono il desiderio di cambiare, di diversificare la loro produzione. Magari seguono l’onda della moda del momento, che predilige un certo genere piuttosto che altri. Per quanto mi riguarda, anche se negli ultimi anni ho scritto in prevalenza Romance, amo scrivere di tutto e non nego che mi sento attratta dal paranormale e dal moderno. La mia passione per la Fantascienza è tuttora viva e, se ne avessi il tempo, vorrei tornare a cimentarmi in una avventura spaziale. Una storia di vampiri cosmici, forse. O qualcosa tipo Guerre Stellari.

Quale è secondo te la difficoltà maggiore  nello scrivere un romanzo storico?

La fedeltà nella ricostruzione, senza dubbio. L’attenzione nell’evitare gli anacronismi, la cura dei dettagli. Se si scrive un romanzo ambientato in un’epoca antecedente il Medioevo, per esempio, ricordarsi che le staffe ancora non esistevano. Quindi, un ufficiale romano a cavallo, non potrà alzarsi sulla sella poggiandosi alle staffe. O che descrivere un personaggio dicendo che ha capelli rosso tiziano se vive nell’anno Mille è un’inesattezza, in quanto Tiziano è un pittore del Rinascimento. Insomma, piccole cose che però sono importanti.

Siamo curiosi: attualmente cosa stai leggendo?

Le mie letture sono sempre piuttosto variegate. Passo con disinvoltura, forse eccessiva, dai saggi storici alla narrativa, in prevalenza di genere storico. Adesso ne sto leggendo due in contemporanea: un saggio sulla cavalleria medioevale e un romanzo dal titolo: La Città Immortale, di Adriana Crotti, che fa parte di una trilogia ispirata alla guerra di Troia. Ogni tanto leggo anche Romance, perché voglio tenermi aggiornata su ciò che pubblicano le mie colleghe.

Progetti futuri? Puoi rivelarci qualcosa?

Vi anticipo che per qualche tempo non scriverò Romance. Una pausa che meditavo da parecchio e che servirà a rinfrescarmi le idee. Vorrei preparare il ritorno di Alexandra Forrest in grande stile, con un romanzo diverso, originale e innovativo. Nel frattempo lavoro a un progetto importante, a cui tengo molto e al quale mi sto dedicando da ormai più di tre anni, sia pure in modo saltuario. Sto finendo la prima stesura di un romanzo ambientato nel periodo del declino dell’impero romano. Data la complessità della vicenda e dell’intreccio, penso che ne dovrò fare una trilogia. Le domande sono finite e dunque è venuto il momento di accomiatarmi da voi. Vi ringrazio per l’ospitalità e vi stringo in un abbraccio virtuale. La vostra Alexandra.

A noi del Pinkafè non ci resta che ringraziare la nostra Alexandra J.Forrest per la sua cortese disponibilità.




PRESENTAZIONE DEL ROMANZOIL CERCHIO DEL DESTINO” 


Un amore travolgente, selvaggio e indomabile, quello che unisce Kayla e Robert. Un sentimento che il distacco imposto dalle rispettive famiglie non riuscirà a estirpare dai loro cuori. Né lo potranno le forze avverse con cui dovranno confrontarsi quando, più adulti e maturi, s’incontreranno di nuovo.
E’ una donna forte, Kayla. Forse anche più di Robert che, sebbene coraggioso e pieno d’ardimento, prova empiti di ribellione nei confronti dello zio William e del proprio retaggio ed è alla ricerca di un’identità. Perché William, il laird, lo ha designato a succedergli alla guida del clan, ma esige da lui un’obbedienza quasi assoluta. E’ un signore feudale che governa con pugno di ferro. Un personaggio ricco di sfaccettature che nelle mie intenzioni, all’inizio della storia, doveva avere un ruolo di contorno, ma che pian piano si è sviluppato quasi per proprio conto fino ad assumere un ruolo di primo piano. Fin quasi a contendere spazio ai protagonisti. Ma Kayla primeggia per la sua personalità. Non si arrende mai, neanche quando tutto sembra perduto. E’ coraggiosa, determinata, fiera. C’è soltanto un'altra donna che può starle a pari, nel racconto: Lady Caitlin, cognata e amante di William.
Le passioni sono intense, spinte fino all’estremo. Odio, amore, ambizione, si mescolano in uguale misura nella cornice della Scozia del XVIII° secolo, sospesa fra il medioevo e l’Età dei Lumi. Divisa da lotte interne che si trascinano da secoli e tuttavia alla ricerca di una propria identità nazionale. Il riflesso di più ampio respiro dei sentimenti che animano Robert, delle sue aspirazioni a creare un mondo più giusto e libero da ancestrali legami col passato, da tradizioni che ormai sono diventate obsolete.
Il malvagio capitano Cardigan è l’antagonista di Robert e il suo persecutore spietato. Ma non è il solo cattivo della vicenda, perché deve dividere la scena con Angus, subdolo e ambizioso, braccio destro del laird.
L’intera trama è densa di conflitti umani. Un intreccio di sentimenti ed emozioni che procede al ritmo incalzante degli inseguimenti, dei duelli, di rapimenti e salvataggi.
Ma dove, alla fine, l’amore trionfa.



TRAMA

Quando Kayla e Robert si incontranoin un caldo pomeriggio estivo e si giurano eterno amore sulla pietra sacra di un antichissimo cerchio di pietre, è come se la potente magia dei Druidi li unisse in modo indissolubile. L’odio ancestrale tra le loro famiglie li costringe a separarsi, eppure otto anni dopo, allorché le loro strade si incrociano di nuovo, la passione torna a divampare, più intensa e travolgente che mai. E questa volta i due giovani, più adulti e maturi, non sono disposti a rinunciare al sentimento che li unisce e che nemmeno il tempo è riuscito ad affievolire. Il destino sembra accanirsi su di loro, ponendoli di fronte a a ostacoli, avversità e inganni... Ma sarà più forte del loro amore?


ESTRATTO 

Scozia, 1734.

Due famiglie, Fitzroy e McLachlan, le più potenti delle Highlands, divise da odi ancestrali, guerre e sangue. Tuttavia, quel giorno, sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe cambiato il loro destino per sempre…
L’atmosfera del cerchio di pietre evocava antichi riti impregnati di mistero e di magia.
Sebbene erose dall’incuria e dalle intemperie, le stele scolpite erano ancora imponenti e maestose. Si ergevano sulla sommità dell’altura circondata dal bosco a testimonianza di un remoto passato, cariche di secoli e d’inviolati segreti.
L’aria era densa di fragranze, colmata dal frinire delle cicale e dallo stormire delle fronde. Kayla guidava il pony lungo la tortuosa stradina che si snodava fra le alture boscose quando, alzando lo sguardo, intravide le rovine. Esitò appena un istante prima d’incitare il cavallo e spingerlo su per il tracciato incerto del sentiero invaso dalla vegetazione e, appena raggiunse l’ampia radura, smontò. Ormai quasi nessuno frequentava il luogo un tempo sacro, anzi la gente tendeva a evitarlo a causa delle leggende che lo volevano dimora di creature fatate dispettose, a volte crudeli. Ma Kayla si avventurò senza timore fra le vestigia, assai simili ad altre disseminate nel territorio, indugiando a sfiorare le rune e i simboli arcani che mani ignote avevano tracciata in un tempo lontano di cui si era persa la memoria. L’intero sapere dei Pitti era andato perduto con la scomparsa dei Druidi, sacerdoti, maghi e sapienti, custodi di tradizioni e conoscenze tramandate oralmente e a poco a poco dimenticate, distorte, o tramutate in leggende.
Sognava a occhi aperti Kayla, mentre improvviso si levò il vento e un cervo sbucò dalla macchia al galoppo, guizzando fra le colonne di pietra e infine scomparendo nel folto. Pochi istanti e da quello stesso sentiero irruppe un cavaliere, che fece arrestare il cavallo con una brusca impennata e la guardò, incerto se considerarla una persona reale o un’apparizione fatata. Il cavallo si agitò inquieto e, dietro di lui, comparvero due segugi che si lanciarono verso Kayla abbaiando.
« A cuccia! » ordinò il ragazzo, e i cani obbedirono all’istante. Poi, abbandonata l’idea di inseguire il cervo, smontò di sella e le si avvicinò, spinto da una curiosità che non seppe spiegarsi. « Chi sei? » domandò.
« Kayla. E tu? »

« Robert. » Occhi di un blu profondo indugiarono sul viso dai tratti delicati, si spostarono sui lunghi riccioli scuri mossi dal vento, scivolando sulla figura sottile, da adolescente non ancora del tutto sbocciata, e tornarono a posarsi sul visetto impertinente.
« Soddisfatto dell’esame? » chiese lei, con una sfumatura divertita negli occhi.
« Ti stavo fissando, lo so, ma non mi aspettavo d’incontrare qualcuno quassù. Tanto meno una ragazzina. »
Lei lo guardò con aria critica. « Perché tu cosa sei, un uomo forse? » Era alto e magro, benché non goffo come la maggior parte dei coetanei, ed era un po’ buffo con quei capelli arruffati, color del rame, che gli stavano ritti sulla testa.
« Ho quasi quindici anni », dichiarò lui, piccato.
« Accidenti, sei un vecchietto! »
Lui si rabbuiò. « Se non la smetti di prendermi in giro ti aizzo contro i miei cani », minacciò.
« Perché non hai il coraggio di affrontarmi », replicò pronta.
« Non mi batto con una donna. »
« Decidi: o sono una ragazzina, o sono una donna », sbuffò Kayla. « E intanto che tu rifletti, io me ne vado… »
« No, aspetta! »
Lei si girò a guardarlo. « Perché? »
Robert sorrise. « Non lo so », ammise con sincerità. « Però vorrei che restassi. »
E Kayla, seguendo un inesplicabile impulso, rimase.

… Robert si fermò e la trasse più vicino. « Voglio te, e se penso al futuro non riesco a immaginare la mia vita senza averti a fianco. Sogno di portarti via da questa terra tormentata e fuggire in qualche luogo dove non esistano giuramenti di sangue, legami e doveri… Dall’altra parte del mare, forse. Nelle Colonie. »
« Lasciala andare e allontanati da lei, ragazzo! » tuonò una voce che fece trasalire entrambi. Si voltarono a guardare colui che aveva parlato, scoprendo che non era solo. Robert si staccò da lei e indietreggiò sotto la minaccia del moschetto. « Tieni le mani in vista se non vuoi che ti spari! »
« Zio Connor! » esclamò Kayla, andando incontro all’uomo alto e bruno che fissava Robert con espressione torva. « Ti prego, zio, non gli fare del male! »
Senza smettere di puntargli contro l’arma, Connor la guardò. « Che cosa ci fai qui con lui? Ha osato metterti le mani addosso? Ti ha molestata? »
« No! » protestò lei. « Perché fai così, zio? »
Connor tornò a guardare Robert. « Da quanto tempo va avanti questa storia? Voglio la verità. »
« Dall’inizio dell’estate, signore », rispose Robert. « Ma giuro sul mio onore che non ho mai mancato di rispetto a vostra nipote. »
« Questo è tutto da accertare », replicò Connor. « Vi conosco, voi Sinclair, siete bravi a circuire le ragazze ingenue. »
Kayla si mise in mezzo per fare scudo a Robert. « Le tue accuse sono ingiuste e non lascerò che lo tratti in questo modo! »
« Levati da lì, figliola. Il ragazzo merita una lezione », dichiarò Connor implacabile.
Lei lo guardò con aria di sfida. « Allora la dovrai infliggere anche a me! »



lunedì 24 settembre 2012

Dalle scogliere di Hastings al sogno di Posillipo

di Faye


 
Leggere un libro di historical fiction permette non solo l’identificazione con i personaggi, calarsi profondamente nella loro storia, vivere con essi le passioni che li agitano e che ci fanno sognare.
La narrazione ambientata in tempi e luoghi diversi ci consente non solo di assimilare pagine di storia che testi accademici non sanno certo rendere così attraenti, ma anche di compiere viaggi persino più fantastici di quelli suggeriti da brochures patinate o da allettanti servizi fotografici.
L’abilità dello scrittore è proprio questa: regalarci emozioni e farci visitare scenari da incubo o da sogno mentre leggiamo, tranquillamente rannicchiati in un comodo divano o pigramente sdraiati nel nostro letto.

La notte del vento e delle rose” ci offre questa possibilità: come un magico “tappeto volante”, il romanzo di Anna Bulgaris ci trasporta dall’Inghilterra meridionale al Golfo di Napoli.
I paesaggi e le atmosfere descritte sono fisicamente ed emotivamente lontani tra loro, con un unico denominatore in comune.
Il mare.

Hastings, dove ha inizio la storia di Christian e Julia, si affaccia sulle acque fredde e trasparenti della Manica e non è difficile immaginare l’etereo, affascinante profilo della principessa di Talamanca che si staglia sullo sfondo opalescente dell’alba.

Camminare fra le rovine del castello testimone dell’ascesa di Guglielmo di Normandia o fra le spiagge a tratti sabbiose, a tratti frammentate di roccia sotto scoscese scogliere, è un’esperienza indimenticabile. L’Inghilterra rappresenta il passato e il futuro dei conti di Hastings, la sorgente delle passioni e il porto tranquillo al quale approdare.


Tuttavia, è nell’atmosfera calda e appassionata della Campania e sotto lo sfolgorante sole italiano, che il dramma si compie e si condensa, le passioni emergono, i nodi di una relazione difficile giungono al pettine.
Il mare azzurro di Napoli, con la sua bellezza ingannevolmente tranquilla, fa da sfondo e contrasto alle vicende drammatiche della Repubblica Partenopea alle quali s’intrecciano le vicende private di Julia e Christian.


I colori, gli odori, le luci fioche del porto e quelle scintillanti del palazzo reale si alternano alle ombre dei vicoli, al profilo tragico della Vicaria e a quello spettrale della Casa degli Spiriti.
E poi …Posillipo.



L’incanto di questo promontorio, il cui nome, derivato dal greco Pausilypon, significa un luogo così incantevole da dare sollievo al dolore, è stato apprezzato fin dall’antichità e ancora oggi si possono ammirare i resti di una villa e di un anfiteatro romano.


Seguendo Julia, possiamo infine scoprire la meraviglia delle rovine che oggi fanno parte del Parco Sommerso di  Gaiola, un autentico tesoro storico e naturalistico.


Al termine del romanzo, dominato da sfumature intensamente verdi e azzurre, chiudiamo gli occhi.
Il vento della notte e il profumo delle rose ci trasporteranno ancora una volta, al di là del mare.


venerdì 21 settembre 2012

La Notte del Vento e delle Rose di Anna Bulgaris, un esordio d'autore

di Marty


Napoli, 1799.
Una donna trascina con sé un bambino, un uomo li segue tra la folla... E mentre il molo brulicante di volti sudati e affaccendati segue la sua routine quotidiana, qualcuno li osserva dal ponte di una nave straniera. Viene dall'Inghilterra per tentare di ristabilire un equilibrio fra Borboni e Inglesi, ma anche per ritrovare la donna che pensa di aver perso per sempre.
Julia è destinata a fuggire, prima dall'uomo che ama con tutta sé stessa e che l'ha abbandonata nel momento del bisogno, e ora da chi la insegue per strapparle il bambino che lei ha deciso di riscattare da un futuro di soprusi e angherie. Il suo cuore non ha pace, meno che mai ora che suo marito Christian ha deciso di riportarla a casa. Lui dovrà riconquistare la sua fiducia e riconoscere la donna coraggiosa e saggia che Julia è diventata, mentre lei dovrà abbandonarsi di nuovo a quello sguardo che anni prima, ancora ragazzina, l'aveva rapita. In un mondo dove gli intrighi di corte, le invidie e l'ossessione sembrano regnare incontrastati, riuscirà il loro amore a risorgere dalle ceneri?


La notte del vento e delle rose è un romanzo di grandi passioni, e racconta una storia d'amore difficile, dominata da un sentimento tumultuoso e intenso, che si percepisce in ogni sua pagina.
Chi sono Christian e Julia? Personalmente mi ci è voluto del tempo per conoscerli e arrivare a farmi un'idea di quest'uomo e questa donna. Capitolo dopo capitolo, la loro storia si compone pian piano come in un mosaico, nell'alternarsi di due diversi piani temporali: il presente e il passato.
Il presente è il Regno di Napoli, descritto in una delle sue pagine più drammatiche, la sanguinaria repressione sanfedista di fine settecento, e la penna della Bulgaris non tradisce il realismo storico, ma riesce a raccontarlo con sorprendente delicatezza, quasi con pudore, e con grande compassione. Ma il presente è soprattutto la seconda occasione per due coniugi che, sebbene profondamente innamorati, sono stati divisi da quel genere di tragedia che può realmente spezzare una famiglia.
Il passato è l'Inghilterra dei boschi vicini al mare, dove ci viene racconta la nascita di questo amore, con flashback che come lampi squarciano la nebbia, ora regalandoci immagini romantiche e suggestive, ora rivelandoci i gotici segreti dei nobili Blackwood.

Julia è una figura femminile dalla grazia fragile ed eterea, e proprio come se fosse un prezioso e bellissimo cristallo il protagonista e l'antagonista del romanzo la guardano e la vogliono, proiettando su di lei i loro desideri, senza mai vederla per come è davvero. Christian alla fine ci riuscirà, ma sarà un percorso difficile, perché Christian stesso è un eroe difficile: possiede i tratti più caratteristici dell'alfa sempre gradito alle lettrici di romance (forza, virile ostinazione, nonché il fascino magnetico dell'uomo solo al comando), che dovranno stemperarsi per riconciliarlo con un personaggio ferito ma determinato come Julia. Una doverosa parentesi su Enrico Mirabelli, capitano sanfedista e villian di questa storia: per quanto mi riguarda è stato l'incontro più piacevole del romanzo! Un personaggio controverso, oscuro e senza scrupoli, ma anche molto affascinante. Spero possa avere un giorno la sua storia, perché sarebbe davvero una grande soddisfazione scoprirlo innamorato di una donna e non di una creatura idealizzata.
Particolarmente incisive a mio giudizio le interpretazioni dell'ammiraglio Nelson e di lady Emma Hamilton, mentre tra le figure inventate dall'autrice mi sono rimasti nel cuore due angeli molto diversi tra loro: l'aitante e mortale Drew Wakefield, e Luca di Nardò, delizioso cherubino di cinque anni. In conclusione un romanzo d'esordio dalle atmosfere struggenti e intensissime, che mi ha trasporta con eleganza e sentimento in un'ambientazione poco visitata, passionale e vivissima.

mercoledì 19 settembre 2012

BLU, GIALLO, ROSSO, la Repubblica Partenopea, 1799

di Danilo




Compito arduo riassumere nel breve spazio di un articolo un problema storico della portata di quello che mi appresto ad affrontare, su cui sono state scritte opere di centinaia di pagine e su cui si è misurato persino un intellettuale fondamentale per la cultura italiana come Benedetto Croce.
Perché, una Repubblica nata (grazie alle armate francesi ed a un pugno di idealisti votati ad utopie illuministe) nel mese di gennaio, finì di fatto a giugno e fu dichiarata ufficialmente morta in luglio, pur in così poco tempo invece di essere una meteora effimera ha mosso problemi fondamentali per il meridione italiano e l'Italia tutta, determinandone i destini successivi per tempi lunghissimi.
Ma dovendo condensare al massimo un così ponderoso argomento, preferisco procedere per "flash", mettendo il riflettore per alcuni momenti (che una pretesa biografica sarebbe assurda in uno spazio così compresso) su alcuni personaggi e parlando di loro, attraverso di loro, far apparire le problematiche fondamentali.

Il "motore" primo degli eventi è a mio avviso Maria Carolina d'Austria, regina di Napoli, moglie di Ferdinando di Borbone, rispetto al quale ha un sopravvento decisorio indubitabile.
Maria Carolina era la sorella di Maria Antonietta, la regina di Francia moglie di Luigi XVI ghigliottinata come lui dalla Rivoluzione (strano destino a Napoli questo delle "sorelle celebri", visto che nel 1860 perse il regno per opera di Garibaldi, Maria Sofia, moglie di Francesco II e sorella della famosissima Sissi).
Senza il "movente" dell'odio inestinguibile (e pessimo consigliere) di Maria Carolina nei confronti dei giacobini, tutti gli accadimenti fra il 1798 e il 1801, sarebbero inspiegabili. Due imprese militari (1798 e 1801) dell'esercito borbonico concluse con disastri, la prima attirando un contrattacco francese che arrivò fino a Napoli, inducendo il re con la corte a fuggire in Sicilia sotto la protezione britannica, aprendo così la strada alla Repubblica di cui stiamo parlando. La seconda dopo una ulteriore sconfitta e il successivo trattato di pace (pace di Foligno, 1801) ebbe il pregio di far finire la "mattanza" (peraltro, già in gran parte compiuta) dei giacobini meridionali e pose il regno di Napoli sotto una egemonia francese che poi, dal 1806 alla "restaurazione" del 1815, assumeranno direttamente il trono di Napoli con Murat.
Un odio furibondo ed irrazionale, spiegazione prima della ferocissima repressione borbonica dopo la caduta della repubblica, o meglio della vera e propria vendetta di Stato, che massacrò e disperse per il mondo i migliori intellettuali meridionali (parte uccisi dalla furia del popolaccio filoborbonico, parte da esecuzioni sommarie, molti, se ne ricordano 124, impiccati o decapitati dopo processi-farsa, moltissimi esiliati, fuggiti o finiti in carceri orrende), un danno da cui il meridione italiano non si è mai riavuto e che ha fatto si che il Risorgimento fosse poi tutto condotto dal settentrione e che questo nord si ponesse in un atteggiamento di incomprensione che ha contribuito anch'esso alla cronicizzazione dell'arretratezza meridionale.
 
Il secondo protagonista é Lord Horatio Nelson, il grande ammiraglio inglese, famosissimo condottiero del mare, che invece in questa vicenda fa una figura infame e gravemente disonorevole, specialmente contrapposto com'è dagli eventi alla nobilissima figura dell'ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo.
Nelson incarna per necessità di ruolo l'ambiguissima posizione britannica, che per evidenti ragioni strategiche (sconfiggere i francesi, con qualunque mezzo e a qualunque costo) fa una politica "sporca", reputando la fellonia di venir meno alla parola data e il massacro dei repubblicani napoletani come una "ragion di Stato" inevitabile. Infatti, gli ultimi repubblicani asserragliati nei castelli di Napoli si erano arresi con il patto che avrebbero avuto salva la vita e il diritto di andare liberamente dove avessero voluto.
Invece, Nelson e la regina stracciarono quel patto e fecero arrestare tutti, coprendosi di disonore. Tanto era evidente l'infamia che il Cardinal Ruffo (un personaggio che affronteremo tra poco) si oppose con forza allo spergiuro, rischiando persino di essere arrestato e se un uomo reazionario e spietato come Ruffo reputò quel venir meno ai patti un'infamia, significa che lo era al di là di ogni dubbio.
L'ambiguità britannica nel 1799 (io ritengo inutile indulgere in spiegazioni "romantiche", come l'influenza di Lady Hamilton, perché le ragioni strategiche di fondo sono evidenti) ci deve far riflettere sull'eterna influenza di qualche potenza esterna (a volte le stesse, altre nuove) in ogni vicenda italiana, facendo gli interessi di quella potenza. E infatti nel 1860 saranno proprio i britannici ad affossare i Borbone, agendo in modo diametralmente opposto al 1799, coprendo con le loro navi ai cannoni napoletani lo sbarco di Garibaldi a Marsala e poi addirittura nella decisiva battaglia del Volturno fornendo alcuni esperti cannonieri della Royal Navy al servizio delle artiglierie garibaldine.
 
Per questa prevalenza di ragioni di interesse nazionale (notoriamente "senza cuore"), ridimensiono il ruolo di Lady Emma Hamilton, che tuttavia bisogna richiamare. Una avventuriera che giovanissima aveva lavorato in noti bordelli di Londra, ma che aveva subito manifestato il "talento" di irretire facoltosi "protettori", grazie ai quali iniziò prestissimo la sua scalata sociale, compiutasi definitivamente con il matrimonio con l'ambasciatore britannico a Napoli. Ma anche nella città partenopea le sue qualità dovevano portarle ulteriori promozioni, divenne molto amica della regina Maria Carolina (Lady Hamilton era l'unica persona esentata dai tre inchini davanti ai regnanti di Napoli) e poi amante dell'ammiraglio Nelson, per cui le fu attribuita la colpa della fellonia dell'ammiraglio quando non onorò come già visto i lasciapassare dei giacobini che si erano arresi.
Figura particolare, quella di Lady Hamilton, la quale dopo la morte di Nelson e del marito dissipò i propri averi, finendo in carcere per debiti nel 1813 e morì alcolista, di cirrosi epatica, nel 1815, con una parabola che non poteva non farne un personaggio romantico, quindi sopravvalutata a partire proprio dal periodo del romanticismo.
 
Di ben altro spessore l'altro personaggio che per le vicende di cui stiamo parlando è collegato alla figura di Nelson, l'ammiraglio Francesco Caracciolo. Uomo nobilissimo non solo per nascita ma per tutto il comportamento nella sua vita, valentissimo marinaio, aveva servito lealmente e con coraggio il re di Napoli.
Durante l'esilio siciliano borbonico del 1799 aveva ottenuto dal re stesso il permesso di rientrare a Napoli per proteggere i suoi interessi familiari. Ma a Napoli era stato "preso" dalle idealità della repubblica, divenendo così comandante della miserevole flotta repubblicana ( la gran parte delle imbarcazioni o era fuggita in Sicilia, oppure era stata incendiata per ordine del re all'atto della fuga). Eppure, nonostante la modestia delle forze al suo comando poco mancò che il Caracciolo non infliggesse una memorabile sconfitta all'orgogliosa flotta di sua maestà britannica, solo un cambio di vento mutò l'esito del combattimento in quell'epoca di vele.
La regina Carolina lo voleva morto a tutti i costi, perché diceva che l'ammiraglio conosceva alla perfezione ogni buco ed anfratto della costa del regno, per cui vivo era un pericolo permanente.
Nelson si prestò alla disonorevole incombenza, fece processare Caracciolo da un tribunale di bordo e lo fece impiccare alle alberature della sua nave come fosse un pirata. Caracciolo affrontò la morte
imperturbabile. Ad ulteriore disonore di Nelson, il cadavere di Caracciolo fu gettato in mare e solo la fortuna che lo lasciò galleggiante e mani pietose che lo raccolsero consentirono di dargli poi una degna sepoltura.

Ma il "personaggio" piu' importante della vicenda è la plebe meridionale, che mobilitata dal Cardinal Ruffo fu la vera artefice della sconfitta della repubblica.
Un popolo rozzo e ignorante, immerso in una fede superstiziosa, formalmente cattolica, ma intrinsecamente pagana, barbara, nettamente anticristiana, portato in ogni tempo a schierarsi dalla parte dei suoi oppressori e affamatori, contro ogni forza di progresso e di riscatto sociale. Cosa apparentemente assurda, spiegabile (con buona pace del Croce) solo con categorie proprie del materialismo storico di stampo marxista, non perché io le preferisca, ma semplicemente perché in questo caso spiegano efficacemente quello che altre teorie non spiegano.
Infatti, mentre le popolazioni del nord italia avevano già le caratteristiche proprie del proletariato, quindi una coscienza di classe determinata dall'avere un lavoro salariato stabile e ben determinato, le plebi meridionali incarnavano quel sottoproletariato che è sempre preda della reazione, in quanto vive "alla giornata", di espedienti, di lavoro bracciantile nei latifondi, di elargizioni di elemosine ecclesiastiche o di ricchi, per cui non ha coscienza di classe ed è portato a seguire chiunque gli dia l'illusione di elargire o poter elargire, oltre a nutrire un inestinguibile odio per chi ha una cultura e sembra voler mettere in discussione uno stato delle cose da cui il misero si illude dipendere il poco pane che lo fa sopravvivere.
Tutto questo spiega l'odio furibondo di queste masse miserevoli per i giacobini, ma poi molti decenni dopo per il movimento risorgimentale, dal massacro dei trecento di Pisacane allo, schierarsi a favore dei Borboni contro Garibaldi nel 1860, alla stagione sanguinossissima del cosiddetto "brigantaggio" almeno fino al 1865.
Sagacemente Garibaldi nel 1860 sbarcò in Sicilia, perché quella terra era un caso anomalo, considerandosi un regno indipendente occupato dai Borboni, cui si ribellò ripetutamente.
Ma il resto del meridione era ben diverso, con popolazioni sempre pronte a manifestare fedeltà ai Borboni e una fragile classe intellettuale che ha generato un piccolo, isolato nucleo di menti valentissime. Basti pensare che nel 1860 solo 80 (ottanta!) napoletani (Napoli era allora la piu' popolosa città d'Italia e una delle piu' popolose di Europa) si unirono come volontari a Garibaldi.
E la già richiamata repressione del "brigantaggio" dal 1861 al 1865 per avere successo dovette essere effettuata con una durezza ben maggiore di quella usata nel 1799 dai repubblicani di Napoli e
dall'esercito francese.

Se si pone mente a tutto questo si capisce facilmente come sia potuto succedere che nel 1799 il Cardinal Ruffo, di antica nobiltà calabrese, sia potuto sbarcare con un pugno di uomini nelle sue terre e da lì mobilitato un "esercito" di "lazzari" e, risalita la penisola, sbaragliare le poche città fedeli alla repubblica, coagulare i molti che invece si opponevano alla stessa ed infine arrivare fino a Napoli
(dove peraltro i "lazzari" avevano opposto in gennaio una strenua resistenza ai francesi ed ai repubblicani) sbaragliando la repubblica, il tutto fra le violenze indicibili di straccioni trasformati in
soldati ed autentici briganti in generali, convinti di difendere la "santa fede", tanto da passare alla storia con il nome di "sanfedisti".
Eterna condanna del sud Italia (fino ai giorni nostri) di generare sempre masse pronte a schierarsi con le forze piu' retrive ed oscure, pronte a combattere contro altri meridionali che invece con chiarezza di idee, alto senso morale e coraggio personale, si sono sempre battuti per il riscatto e il progresso del sud.

E con questo penso di aver tratteggiato quelle poche linee che possono servire se non a chiarire una vicenda storica così complessa e importante, almeno a incuriosire e focalizzare gli argomenti da approfondire, per chi vorrà farlo nella sterminata bibliografia al riguardo, di cui segnalo solo l'immortale saggio storico sulla rivoluzione napoletana di Cuoco, il quale ha il pregio di essere stato protagonista degli avvenimenti e di aver scritto immediatamente dopo di essi.

lunedì 17 settembre 2012

Anna Bulgaris, autrice de "La notte del vento e delle rose"

di Faye



Pinkafé è lieto di ospitare un’autrice italiana che esordisce nell’historical fiction con "La notte del vento e delle rose" a cura di Leggereditore.
Anche se questo è il suo primo romanzo a sfondo storico, Anna Bulgaris si è imposta all’attenzione del pubblico per diversi racconti e per la pubblicazione con Lite Editions di due romanzi erotici: "Lila dei lupi d’argento" e "Gioco pericoloso".
Nel suo nuovo libro, Anna Bulgaris riesce a coniugare con vera maestria la sua vena di scrittrice sensuale  con l’avventura e un periodo storico di grande interesse, ricostruendo un affresco sapiente senza mai tralasciare l’approfondimento psicologico dei personaggi.


Benvenuta Anna.  Chi ha letto i tuoi romanzi erotici e chi, invece, ancora non ti conosce come autrice, sarà certamente curioso. Vuoi presentarti ai nostri  lettori?

Ciao Faye,  sono molto felice di essere qui con voi.
Dunque chi è Anna Bulgaris… di certo è la proiezione delle mie fantasie, un nome che identifica la parte meno concreta di me, e che mi permette di accedere a mondi lontani, viaggiare nel tempo, trasformarmi in chi desidera comprendere fin dove è disposta a spingersi per amore. Ed ecco trovata forse l’unica costante in tutto ciò che scrivo: l’amore. Non è forse ciò che muove il mondo? É un bisogno primario, è ciò che tutti vogliono. Scrivere d’amore è ciò che faccio, non importa l’ambientazione, il periodo storico, o il contesto sociale. È comunque amore. Sono una donna romantica, che ama i fiori, la natura, il respiro del mare e i libri. Adoro le cose semplici, e sono sostanzialmente un’osservatrice. Ci sono davvero poche cose che mi annoiano, la vita per me è piena di deliziose scoperte.


I lettori ti conoscono già attraverso i tuoi racconti erotici, ma in realtà è questo romanzo il tuo vero esordio letterario. Vuoi raccontarci come mai, per il tuo primo lavoro, hai scelto di confrontarti con l’historical fiction ?

La storia è un mondo affascinante, denso di avvenimenti straordinari, di uomini e donne capaci di grandi ideali, e intense passioni. Vivevano in luoghi affascinanti come i castelli, indossavano abiti da sogno, sapevano muoversi in contesti così difficili da avermi ispirato sempre una grande ammirazione. È stato quasi naturale dunque ambientare il mio primo romanzo in un’epoca lontana. Quando ancora “La notte del vento e delle rose” era solo un’idea ho partecipato a un gioco, un esperimento tra aspiranti scrittrici. Qualcuna ha scelto il periodo napoleonico come ambientazione di una serie di racconti. Io però non volevo scrivere di Napoleone, ma il periodo mi piaceva. Era un’epoca piena di cambiamenti, grandi scoperte. Anche la moda femminile aveva abbandonato i rigidi corsetti per linee più morbide, colori più decisi. La guerra tra la Francia e l’Inghilterra aveva lasciato tracce indelebili e la gente voleva ricominciare a vivere.


La notte del vento e delle rose è un grande romanzo di storia ma soprattutto d’amore. I protagonisti, Julia e Christian resteranno a lungo nella memoria dei lettori per le loro  passioni e per il carattere analizzato con rara sottigliezza psicologica. Vuoi parlarci di loro?

Ho sempre pensato che l’amore da solo non basta, e che molto spesso le persone non riescono ad amarsi come dovrebbero perché non è giunto il loro momento.
Per Christian e Julia è stato così. Lei è una giovane aristocratica rinchiusa in un convento fin da bambina e poi liberata per essere data in moglie. Una consuetudine a quei tempi.
Julia ha paura di tutto e non conosce se stessa. In tutti quegli anni passati a espiare colpe che non le appartengono ha cercato unicamente di restare viva. L’amore per Christian l’ha travolta, ha invaso un’anima vuota e preso possesso di ogni fibra del suo essere. Esattamente come gli innamoramenti ossessivi dell’adolescenza, quelli che tutti abbiamo vissuto almeno una volta; tra di loro non c’erano le basi per un amore così profondo. Era solo desiderio d’amare. Era bisogno.
Christian dal canto suo è un uomo concreto, pratico, freddo. Quella giovane così diversa da tutte le dame che conosce gli è entrata sotto la pelle e ha fatto leva sul senso innato di protezione, e sul suo onore. Ma Julia sconvolge il mondo di Christian, e questo è qualcosa che un uomo come lui non può permettere.
Un avvenimento imprevisto travolgerà le loro esistenze. Da quel momento in poi, per entrambi, ogni cosa cambierà. Sarà il tempo a dare loro la possibilità di crescere, di ritrovarsi, e infine giungerà il loro momento.


Cosa ti ha portato a scegliere un periodo così poco conosciuto nella storia italiana?

Non volevo limitarmi a un’ambientazione unicamente italiana e così ho trovato un momento in cui gli interessi inglesi nella penisola Italiana erano molto forti. Nel 1799 Il regno di Napoli era sotto il controllo inglese, e così tutto ha avuto inizio.


Nelle note storiche del tuo libro precisi che hai privilegiato le testimonianze di chi ha vissuto in prima persona quelle terribili giornate che fanno da sfondo alla tua storia. Vuoi parlarci del lavoro di ricerca da te fatto sulle fonti storiche?

Credo che quando ci si accinge a scrivere di un determinato argomento lo si debba conoscere bene. La documentazione storica mi ha portato via un lungo periodo. Non volevo sapere unicamente che un dato avvenimento era accaduto presumibilmente in un certo periodo, io volevo sapere tutto. Le vicende narrate nel romanzo, la presa dei forti, l’esecuzione di Caracciolo, l’arresto di Luisa Sanfelice e della magnifica Eleonora Fonseca Pimentel sono solo alcuni aspetti di questo periodo così travagliato. È stato sconcertante scoprire che esattamente come oggi, ognuno avesse una personale opinione su ciò che accadde in quegli anni. In alcuni casi c’erano tre, quattro, alcune volte cinque date su un unico avvenimento. È stato allora che ho deciso di privilegiare chi a quei fatti aveva assistito. Per mia fortuna ho trovato due diari che ricoprivano interamente i tre mesi di feroce restaurazione borbonica trattati nel romanzo. Il fatto che appartenessero a due schieramenti opposti, inglese e napoletano, mi ha permesso di comprendere meglio dinamiche importantissime. Allo stesso modo tutto ciò che ho letto mi ha consentito di  farmi un idea precisa sui personaggi storici che vivono nel romanzo, da Ferdinando IV di Borbone, re dei Lazzari, alla seducente Emma Lyon Hamilton, al suo amante Orazio Nelson. Maria Carolina è stata una scoperta, una regina apparentemente forte, in realtà distrutta dai lutti: l’uccisione della sorella Maria Antonietta di Francia, la morte dei piccoli principi, uno dei quali morto durante la fuga da Napoli.


Il tuo romanzo si sposta dall’Inghilterra all’Italia; è stato difficile passare dalle fredde atmosfere britanniche a quelle ben più calde della Repubblica Partenopea?

In realtà no. Dopo aver letto tanto di entrambi i paesi, averli visti, e studiati, avevo chiaro in mente ogni dettaglio. Io vedo quei mondi. Vedo i personaggi, essi vivono nella mia mente, e quando sento la loro voce posso scrivere di loro. Solo una volta durante la stesura del romanzo mi è capitato di conoscere un personaggio che non avevo previsto. E ne sono rimasta sconvolta. Si trattava di una fanciulla Sophie De Blessie, una creatura indimenticabile. Ecco, quando questo accade la scrittura mostra il suo aspetto più magico.


Nel libro personaggi famosi quali Orazio Nelson o Eleonora Fonseca Pimentel , si alternano a indimenticabili figure create dalla tua fantasia. Alcuni tuoi personaggi sembrano chiedere a gran voce, dalle pagine del libro, una loro storia personale. Li accontenterai? E soprattutto, accontenterai i lettori con un sequel?

Ho già cominciato a scrivere “La custode del Sator”, il libro dedicato a Drew Wakefield. Ho anche un’idea precisa su Enrico Mirabelli e una certa signora che renderà la vita di questo capitano sanfedista, molto movimentata.


Quando scrivi segui un tuo particolare processo creativo?

Navigare a vista è qualcosa che non fa per me. In genere la prima cosa che vedo sono i personaggi, loro restano nella mia mente e mi raccontano la loro vita. Poi comincio le ricerche, e solo quando ho un’idea abbastanza chiara di quello che mi aspetta, parto con la prima stesura.


Cosa ne pensi del rinnovato interesse dei lettori italiani per la fiction storica a sfondo romantico?

Viviamo in un mondo frenetico, non c’è più spazio per la contemplazione di un tramonto, per osservare un cielo pieno di stelle. Ma se ci inoltriamo nella lettura di un romanzo storico ritroviamo ciò che abbiamo perduto, viviamo attraverso chi invece questo tempo lo possiede ancora. I lettori italiani lo hanno capito.


La tua fantasia ha mai pensato di spaziare in altri generi? Cosa c’è nei progetti futuri di Anna Bulgaris?

L’amore sempre e comunque, senza limiti, e senza inibizioni. Considerando la mia passione per la storia, il fatto che la scrittura per me è materia di studio, che mi piace sperimentare in nuovi generi… direi che ci sono tante, tantissime cose.


Non possiamo che ringraziare Anna Bulgaris per la sua cortesia, la disponibilità e soprattutto l’amore con il quale ha risposto alle nostre domande.
L’amore che pervade la sua vita e che dalle pagine dei suoi romanzi  illumina la fantasia.
A presto, Anna!

sabato 15 settembre 2012

La Storia e il suo "Doppio"

di Faye

La parafrasi del titolo della celebre opera di Artaud non vuole certo essere irriverente, ma sottolineare il particolare rapporto esistente fra la realtà storica (o semplicemente "Storia"), e il suo riflesso nei libri di historical fiction.
Il risultato è a volte deformato e piegato dalle necessità della narrazione, proprio come se la Storia si specchiasse in una lastra concava o convessa: l’immagine, anche se imperfetta, consente tuttavia al lettore di calarsi immediatamente in un determinato periodo, vivendo in modo partecipe gli avvenimenti dell’epoca.
I romanzi di historical fiction, soprattutto se realizzati da autori che curano con particolare attenzione lo studio delle fonti e la ricostruzione minuziosa degli accadimenti di sfondo alla narrazione fantastica, hanno quindi il grande pregio di avvicinare i lettori a pagine forse meno note o conosciute della Storia, ma non per questo meno interessanti.
Prendiamo ad esempio i due romanzi che Pinkafé propone nel suo “special” dedicato al genere.
“La Sposa Spagnola” dell’eccellente Kathleen McGregor è ambientato nell’ultima parte del XVII secolo, in una scena fisicamente e temporalmente molto lontana da noi. La ricostruzione della presa di Panama ad opera dei corsari di Morgan non è sicuramente un avvenimento noto ai più e forse qualcuno, prima di acquistare il libro, si sarà interrogato sull’opportunità di leggere una romanzo che magari gli era stato proposto banalmente come un racconto di pirati o, tutt’al più, d’avventura.
Invece, al di là dell’emozione per la storia d’amore coinvolgente e appassionata, al di là persino dell’avidità con la quale avrà seguito le traversie di John e Soledad in un paesaggio da favola e da incubo, il lettore, giunto all’ultima pagina, si troverà ad aver assorbito un frammento importante di Storia.
Così, più di qualcuno sentirà il desiderio di approfondire l’argomento e, non limitandosi ad aspettare il successivo capitolo della saga dedicata dalla McGregor ai pirati del Mar dei Caraibi, si documenterà su Henry Morgan e i suoi filibustieri…

La Storia sarà soddisfatta e ringrazierà la Letteratura.

La stessa cosa accadrà probabilmente con il secondo romanzo che Pinkafé sarà lieto di presentare fra poco: “La Notte del Vento e delle Rose” di Anna Bulgaris.
Il libro, opera di un’autrice che ha pubblicato con successo racconti erotici, esordisce alla grande nell’historical fiction esaminando due realtà geograficamente e socialmente molto lontane, Inghilterra e Regno di Napoli, nell’attimo particolare in cui esse furono avvicinate dalla Storia.
L’amore di Christian e Julia, iniziato nelle fredde acque britanniche, fiorisce come le rose sotto il caldo sole partenopeo, sullo sfondo della tragica fine della Repubblica Napoletana.
I personaggi indimenticabili di Eleonora Pimentel, di Luisa Sanfelice, dell’Ammiraglio Caracciolo, anche se appena delineati, si stagliano come figure di martiri “puri” in contrapposizione alle macchinazioni e agli intrighi politici orditi dai sovrani borbonici da una parte e da Horatio Nelson dall’altra, il “grande burattinaio”, affiancato dall’amante lady Emma Hamilton.

Un racconto che progredisce sul filo delle emozioni, della disperazione, del dolore dei protagonisti. Solo il vento che proviene dal mare riesce a purificare l’aria dall’odore della violenza, restituendo alla città di Napoli la sua magica atmosfera.

La Storia e il suo Doppio c’insegnano, in fondo, una grande lezione.
Niente è più fantastico, incredibile e meraviglioso della vita vera.

mercoledì 12 settembre 2012

Sulle orme di John McFee

di Kathleen McGregor




Una delle navi che seguirono Henry Morgan fino al Castello di San Lorenzo, sulla foce del fiume Chagres, era la Golden Lady, capitanata da John McFee. Dopo la traversata del mare interno e la conquista di Santa Catalina, la costa rigogliosa di vegetazione selvaggia si stendeva davanti a loro, mostrando la bocca d’acqua che si inoltrava come un nastro in mezzo alla giungla: la via verso la conquista. Milleottocento uomini affollarono le coste e il castello per una settimana, caricando barche e canoe di viveri e munizioni, poi iniziarono la risalita del fiume...

E il nostro viaggio ha inizio...


Chagres e San Lorenzo



Il Castello San Lorenzo fu costruito a difesa della foce del fiume Chagres durante il XVI secolo per ordine del re di Spagna Filippo II. Il Chagres costituiva la principale via di commercio e comunicazione tra il mare interno e la città di Panama e il mare del Sud, e la posizione del Castello permetteva di avere un'eccellente visuale sul mare, per prevenire gli attacchi dei pirati.
Le sue fila di cannoni puntate sulla baia dovevano scoraggiare e fermare l'approssimarsi delle navi. La fila di scogli che occludeva l'entrata alla foce, nascosta dalle onde del mare, diveniva un’altra efficace difesa per chi non conosceva quei fondali, soprattutto quando c'era vento e il mare era mosso.

Inizialmente costruito di legno, il Castello venne distrutto, incendiato e ricostruito a più riprese nei secoli successivi. Da Francis Drake nel 1596. Nel 1671 da Henry Morgan, al suo ritorno da Panama e prima di riprendere il mare con il bottino. Nel 1740 dall’ammiraglio inglese Sir Edward Vernon, che lo bombardò fino alla resa degli Spagnoli. Venti anni dopo venne ristrutturato e fortificato, e da allora non dovette più subire altro attacco se non quello del tempo, fino ad oggi.
Il Forte continua a dominare la baia, avvolto dal silenzio e dalla tranquillità selvaggia che lo circonda, e a testimoniare quattrocento anni di storia.



Panama


Il 15 Agosto 1519 Pedrarias Dávila, governatore della regione Castilla del Oro (come venne chiamato l’Istmo da Ferdinando II di Aragona dopo le spedizioni di Colombo e di Balboa), spostò la capitale sulle coste del mare del Sud, e fondò Nuestra Señora de la Asunción de Panamá, ovvero Panama. Pedrarias diede inizio anche ai lavori per la costruzione attraverso la giungla del Camino Real, la strada che avrebbe unito Panama a Nombre de Dios, a Portobello e al Mare del Nord, ovvero l'Atlantico (la medesima strada seguita, oltre un secolo dopo, dai corsari di Morgan).



Da allora, e per i successivi 300 anni, Panama rappresentò il punto di maggiore importanza economica e strategica di tutto l’Impero Spagnolo. La sua posizione sulla costa del mare del Sud, la proteggeva dalla minaccia dei pirati che imperversavano soprattutto nel mare del Nord, fino a quando non fu conquistata e completamente distrutta da Henry Morgan.
Venne ricostruita negli anni successivi, e nel luogo dove sorgeva la vecchia Panama, ancora oggi si possono visitare le rovine abbandonate da Morgan, con quello che rimase della cattedrale e del convento.



Bocas del Toro


Una spiaggia come questa è quella in cui si McFee e Soledad si ritrovano dopo essere scampati alla tempesta.

Bastimentos, fa parte dell’arcipelago Bocas del Toro, nel territorio di Panama, insieme a una serie di altre isole, tra cui San Cristobal, Colón, Popa, di dimensioni diverse, alcune di qualche decina di chilometri quadrati altre grandi come uno scoglio, ricche di vegetazione e fauna selvagge.





In simbiosi con questa natura vivevano diverse tribù indios ancor prima della scoperta di Colombo, nel 1502, quando arrivò nella Admiral Bay, trovandosi davanti un paradiso dall’acqua trasparente ricca di pesci e una terra piena di piante da frutto.
Le isole sono ricoperte dalla foresta tropicale, palme, carape, mogano, querce, rampicanti e felci, mangrovie, popolate da moltissime specie di uccelli, rane, pipistrelli, serpenti, iguana, scimmie, e nelle acque tartarughe marine, delfini.


"La costa invasa dalle mangrovie si profilò nitida sul mare al calar del sole. Quando furono prossimi alla riva, John ammainò la vela e afferrò un bastone per spingere la zattera e guidarla tra le grosse radici che emergevano dall'acqua. Le imponenti fronde creavano sopra di loro un tetto quasi impenetrabile che si specchiava sull'ondeggiare fluido della superficie e saturava l'ambiente di verde e di ombre che ne accentuavano le profondità, facendole sembrare inaccessibili. Era quasi impossibile determinare fino a dove il mare si estendesse, e solo quando John fermò la zattera e iniziò ad assicurarla alle radici con le funi, Soledad si accorse che della riva limacciosa che affiorava poco più avanti."  (La Sposa Spagnola)

 

Degli indios e dei loro rapporti con i filibustieri ci parlano sia Oexmelin, nel suo "Bucanieri d’America" del 1678 sia William Dampier nel suo libro “A New Voyage Round the World” del 1681, quest’ultimo riferendosi in modo particolare ai Mosquito (o Miskito), per i quali nutriva un grande rispetto.

“Sposano una sola donna, con la quale rimangono fino alla morte. Non appena iniziano a vivere insieme, l’uomo pianta una piccola piantagione, dato che c’è terra in abbondanza possono scegliere il luogo che preferiscono. Amano stabilirsi vicino al mare o a qualche fiume, per poter pescare, il loro impiego preferito. Dopo che l’uomo ha spianato un pezzo di terra e ha seminato, raramente rimane ad occuparsene e ne lascia il controllo alla moglie, mentre lui va a caccia.
A volte si limita a procurare del pesce, altre volte va a caccia di tartarughe, foche, qualsiasi cosa catturi la porta alla moglie, e non caccia nient’altro fino a che questa non è stata interamente mangiata. Quando inizia a farsi sentire il bisogno di mangiare qualcosa di più, prende la sua canoa per andare a pescare nel mare, o va a caccia di pecari, cani selvatici o cervi, raramente ritorna a mani vuote, né ritorna a cacciare fino a quando non è stato consumato interamente.
Le piantagioni sono piccole: 20-30 piante di banane, patate dolci, patate, manioca, mais, pepe indiano, ananas, dai cui frutti ottengono una bevanda alcoolica che i nostri uomini chiamano pine-drink” 
(tratto dal libro di Dampier)



Cartagena



Cartagena viene fondata nel 1533 da Pedro de Heredia, e pochi anni dopo venne dotata di una fortezza e di mura difensive contro la minaccia dei pirati. Ciò tuttavia non impedì che venisse attaccata numerose volte tra gli anni 1550 e 1570 da corsari inglesi, olandesi e francesi. Tra di essi Francis Drake e John Hawkins.

Nel corso del secolo successivo, Cartagena venne dotata di numerose strutture difensive, diversi forti a controllare le entrate sia della baia esterna che interna, e cinte murarie, divenendo una delle città meglio difese della terraferma spagnola.







Curaçao

 
Esistono diverse teorie sull’origine del nome di questa isola. Una di queste lo fa derivare dalla parola portoghese curação, che significa “guarito”, sembra infatti che i primi marinai giunti sull’isola affetti dallo scorbuto, guarirono probabilmente mangiando i frutti che vi crescevano, ricchi di vitamina C. Un’altra trova l’origine nella parola coração, che significa “cuore”, forse per identificare l’isola come il centro del commercio. Cosa che accadde nel corso del XVI e XVII secolo.

I primi europei ad approdare sulle sue coste furono gli spagnoli nel 1499, al seguito di Alonso de Ojeda, che decimarono gli indigeni che la abitavano, e ridussero i superstiti in schiavitù.
Venne successivamente occupata dagli olandesi, che nel 1634 fondarono Willemstad nella baia di Schottegat, e ne fecero una base navale per la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali.

Inizialmente, l’isola non destò interesse tra i conquistatori perché priva di metalli preziosi, ben presto però divenne evidente che la vera ricchezza era rappresentata dal sale, che gli Olandesi iniziarono a produrre in quantità, e dalla sua posizione, di importanza strategica per i commerci, il contrabbando e la pirateria. A partire dal 1662, e per tutto il XVIII secolo, divenne uno scalo importantissimo per la tratta degli schiavi, i quali dopo esservi deportati dall’Africa, venivano venduti e smistati per tutti i Caraibi e il Sudamerica.
 

 
 
 
 
Barbados
 
 
Ed eccoci giunti all'ultima parte del viaggio. Il luogo dove tutto ha avuto inizio, e dove tutto trova una conclusione: Barbados.
 
"Chiamata anche piccola Inghilterra, l'isola di Barbados giaceva all'estremo confine della catena delle piccole Antille, tanto a est da esse e tanto a sud delle correnti oceaniche che le navi seguivano normalmente, che per molto tempo era rimasta inesplorata.Era un luogo di celestiale bellezza, con la sua natura rigogliosa, il clima caldo, bagnata da un mare trasparente, ricco di pesci e di molluschi. Tuttavia, per la sua particolare posizione, essa non offriva comoda meta ai comandanti delle navi europee, i quali preferivano senza dubbio gli ancoraggi sicuri di San Vincenzo, Grenada, Martinica e Dominica, i punti in cui si svolgevano le tappe per i rifornimenti necessari, prima di addentrarsi nel Mediterraneo Americano. Le navi che vi si dirigevano, erano spinte per lo più da motivi commerciali, poiché non era facile approdarvi. (...)
Le coste orientali, dette anche controvento poiché ricevevano in pieno il soffio degli alisei, erano costituite da inospitali costoloni rocciosi che si stagliavano minacciosamente su un mare tempestoso e irto di scogli, che rendeva impossibile approdare senza rischiare di sfracellare la nave.
Bisognava aggirarla, e accostarvisi dal versante occidentale, più caldo e decisamente più congeniale, dove una piccola baia non molto protetta offriva ancoraggi più sicuri su un fondale privo di scogli dalle lunghe spiagge sabbiose.
 
Su quella baia sorgeva Bridgetown. Nata alla fine del secondo decennio del secolo come un piccolo agglomerato di rozze casupole, era diventata una città splendida, ideale per viverci, con le sue candide case olandesi dai tetti di tegole rosse importate di contrabbando dalla Spagna, lo snodarsi delle strade, la chiesa con le panche in mogano e le botteghe ricche di merci importate da ogni parte d'Europa. L'isola, fertilissima, era totalmente pianeggiante, a differenza delle vicine Martinica e San Cristoforo, irte di alture e di montagne. Aveva un'economia basata sulla coltivazione dei prodotti che i mercanti inglesi erano disposti a comperare, ovvero cotone, tabacco, indaco e canna da zucchero."
(da Corinna. La Regina dei Mari)
 
E potrebbe essere in una casa come questa, che John McFee e la sua Soledad costruiranno il loro futuro. Li immagino uno accanto all'altra, dietro quelle vetrate... alla fine del libro.
 

 

 
 
 


lunedì 10 settembre 2012

La sposa spagnola di Kathleen McGregor: finalmente John McFee

di Elnora


Mar dei Caraibi, 1671
Un pirata coraggioso e senza scrupoli e una donna affascinante e di rara bellezza si incontrano... e il loro destino cambierà per sempre.
Avventura, emozioni e un’accurata ricostruzione storica
fanno di questo romanzo un’imperdibile lettura!
Sullo sfondo di paesaggi esotici, dalla bellezza incantatrice, si snodano le vicende del pirata John McFee, uomo senza scrupoli, dal passato oscuro e controverso.
Il suo cammino lo porterà a combattere aspramente durante la presa di Panama, a vivere tra gli indios della giungla e a solcare i mari verso l’isola di Barbados.
Soprannominato ‘il meticcio dagli occhi di ghiaccio’,
John vedrà le sue difese sciogliersi al sole dei Caraibi,
quando una misteriosa quanto attraente donna farà irruzione nella sua vita. Tuttavia Soledad è restia a fidarsi... la semplice vicinanza dell’uomo la terrorizza,
lasciandola senza respiro. Solo un sentimento puro saprà
forse scalfire l’animo inquieto di un pirata avvezzo a feroci arrembaggi e bufere inarrestabili.


Potrei raccontarvi che è il primo libro che leggo di questa autrice, che sono partita alla scoperta di John senza averlo nemmeno incontrato in Corinna la regina dei mari. Potrei stordirvi con una lunga  premessa, ma voglio bruciare le tappe e confermare  subito che questo libro mi è piaciuto molto. Mi è piaciuto lo stile dell'autrice, lucido, impeccabile come un abito uscito dalla stireria, con un sottofondo che richiama un pizzico di oscurità d’animo, seppur la storia si snodi in luoghi baciati continuamente dal sole. La Sposa Spagnola è un libro che regala molto: storia, avventura ed emozioni.

Punta di diamante di questa vicenda è indubbiamente lui, John McFee. Meticcio dagli occhi di ghiaccio, concentrato di puro istinto. John parla poco perché preferisce esprimersi con i coltelli e non ha paura di dire di no a Henry Morgan. I suoi occhi metallici trafiggono e si esprimono meglio di mille  parole, molti lo temono, c’e’ chi  lo rispetta, tutti gli girano alla larga. Non è possibile togliersi dalla testa l’idea che John sia un animale letale che vive senza alcun freno le proprie pulsioni, che si fa guidare dal suo istinto in tutte le situazioni; c’e’ poca razionalità a mediare l’animo di questo personaggio che spicca per carisma e originalità. Ma chi è davvero John McFee?



E’ il pirata della  storia che  si dipana dalla presa di Panama, dove l’autrice non fa sconti a nessuno nella resa degli avvenimenti grazie ad una accurata documentazione. E’ il mezzosangue indios che si muove senza indugi quando lo sfondo muta e si approda  a Boca del Toro. Le carte vengono rimescolate e una nuova partita con l’avventura ricomincia  tra felci, opossum , pappagalli e giaguari, mentre  l’autrice ci omaggia  di un personaggio  camaleontico, che si addice bene in ogni situazione. Perché di questo protagonista non ci verrà risparmiato nulla, tanto meno le sue tonalità più scure e inquietanti, impregnate dal quell’istinto così selvaggio da rendere John un eroe davvero mozzafiato. Ecco quindi  McFee che si presenta alle lettrici nelle vesti di persecutore, di pirata dalle tinte fosche, un animale ferito, tradito e arrabbiato. Impossibile da fermare e catturare. Sarà solo nella terra delle Barbados, dove esiste solamente una persona che John rispetti più di se stesso, che l'eroe affronterà e farà i conti con il suo passato e diventerà soprattutto un uomo Attenzioni lettrici romantiche dal cuore tenero, John per voi potrebbe essere materiale difficile da maneggiare. E accanto ad un personaggio dal carisma così abbagliante, Kathleen è stata bravissima ad affiancare una donna che solo alle lettrici più superficiali potrebbe risultare remissiva, ma che in realtà è più forte di molte altre, e che nella sua apparente arrendevolezza in realtà nasconde una gran forza e tanto coraggio: uello necessario a conoscere e fronteggiare i passati e i presenti del suo uomo, nonchè  le sue ombre più cupe. E quella che potrebbe spacciarsi per debolezza in Soledad è una grandissima dignità. Seppur cresciuta per anni nelle atmosfere claustrofobiche della religione cattolica spagnola più intransigente, la donna riconosce a mio avviso alcuni dei  valori più importati: il rispetto di se stessi e la preziosità della vita umana. Soledad sarà più volte terrorizzata, da John in primis, ma avrà sempre l'ardire di passare in mezzo ai turbini della vita e uscirne vittoriosa.

Alla fine di questo libro, dopo essere rimaste turbate ed allibite, saprete tutto di John. Tante e forse troppe le emozioni che vi aspettano, vi palpiterà il cuore, vi commuoverete e indignerete e forse non crederete ai vostri occhi. Eppure nonostante tutto, io ho chiuso il libro con l'animo gongolante e satollo come alla fine di un pranzo luculliano, perchè abbiamo tutte fame di emozioni e la Sposa Spagnola è davvero un ristoro perfetto.

venerdì 7 settembre 2012

Prima del Libro: da Isla Vaca al Chagres

di Kathleen McGregor



Dal ponte della sua nave, ancorata al largo di Isla Vaca, nell'estremità sud occidentale di Hispaniola, l’ammiraglio Henry Morgan scrutava l’orizzonte, chiedendosi dove diavolo si fosse cacciato il suo Vice Ammiraglio Edward Collier.
Era l’inizio di Dicembre 1670. 
Erano passate undici settimane da quando Collier era salpato con quattro navi verso la regione di Rio de la Hacha, con l’intenzione di saccheggiare il territorio e procurare una parte dei viveri che sarebbero serviti a sfamare gli equipaggi che avrebbero preso parte alla spedizione.
Henry Morgan a Panama - Thomas Nicholls
I quattrocento uomini di Collier, tutti esperti marinai e combattenti, costituivano un quinto del suo esercito, e lui ne aveva bisogno, ma il tempo stringeva.

La voce di una nuova spedizione di conquista in territorio spagnolo aveva iniziato a diffondersi già dal mese di agosto, dopo che il governatore di Giamaica, Thomas Modyford, gli aveva garantito l’appoggio ufficiale con una nuova lettera di corsa, e grazie alla fama che la conquista di Maracaibo dell’anno precedente gli aveva dato, era riuscito a radunare un incredibile numero di corsari.La lunga attesa tuttavia, che si protraeva da Settembre, si stava rivelando snervante, e temeva che qualche testa calda si stufasse e decidesse di fare conquiste per conto proprio.
L’insofferenza degli uomini l’avrebbe presto spinto a una decisione, ma c’era anche un altro motivo per cui doveva assolutamente prendere il mare. Da Giamaica gli era appena pervenuto un messaggio dal governatore Modyford che gli intimava di affrettarsi a fare qualsiasi cosa avesse programmato, perché stavano giungendo voci di una pace tra Spagna e Inghilterra. Un messaggio che aveva già ricevuto in una precedente occasione, e che diceva espressamente “Sbrigatevi a conquistare qualche città spagnola!”.
Non poteva certo restare ancora per molto a Isla Vaca, e poi fingere di non aver mai sentito parlare di pace, così come Modyford non avrebbe potuto raccontare a lungo di non essere riuscito a fargli pervenire alcuna notizia al riguardo, come fece in seguito in una lettera al segretario di stato Lord Arlington.

Con suo grande sollievo, l’8 Dicembre apparvero all’orizzonte gli alberi della flottiglia di Collier.
Il Vice Ammiraglio, di ritorno da una più che fortunata spedizione, non solo aveva razziato i villaggi e le campagne riempiendo le stive di viveri, ma aveva pure catturato una nave, e non una qualsiasi! I corsari francesi esultarono quando la riconobbero, poiché si trattava di una nave corsara di Tortuga, catturata con tutto l’equipaggio cinque anni prima dagli spagnoli.
Ora finalmente Morgan aveva la sua flotta al completo, e non s’era mai vista una quantità tale di navi e di uomini riuniti in un sol posto.
Era in effetti il più grande raduno di corsari nella storia delle Indie Occidentali. Trentotto navi, di ogni dimensione attendevano il segnale dell’ammiraglio.
La più grande era la Satisfaction, l’ammiraglia, con 22 cannoni e 140 uomini di equipaggio. Delle altre, una dozzina erano vascelli da 10  cannoni, con equipaggi di circa 70 uomini, e le rimanenti erano imbarcazioni molto più piccole, prive di armamenti, nelle cui stive, di solito cariche di pesce e tartarughe, avrebbe viaggiato un notevole numero di uomini.
La flotta salpò da Capo Tiburon il 16 Dicembre 1670, diretta verso l’isola di Santa Catalina.
Poiché infatti era stato deciso che l’obiettivo della spedizione sarebbe stata la ricchissima città di Panama, Morgan pensò bene di assicurarsi una base operativa prossima alla costa, e dato che l’isola era tornata in mano agli Spagnoli qualche tempo prima, la conquistò nuovamente.

Con tutte le navi all’ancora a Santa Catalina, studiò le mosse successive.
Vi erano due vie per attraversare l’Istmo: una, quella percorsa da Francis Drake un secolo prima, dal Perù, l’altra, quella che avrebbero seguito, risalendo il fiume Chagres, che si gettava in mare a nord e la cui foce era difesa dal Forte di San Lorenzo. Conquistare il forte era di vitale importanza.
Non volendo allarmare gli spagnoli muovendo contemporaneamente tutta la flotta, Morgan decise di mandare avanti tre navi e poco più di quattrocento uomini, sotto il comando del colonnello Joseph Bradley, con il compito di sbaragliare la guarnigione del forte. Il 30 Dicembre Bradley salpò, e qualche giorno dopo la flotta lo seguì.

Quando Morgan giunse in vista della costa, i corsari vittoriosi di Bradley lo accolsero festeggiando dagli spalti della fortezza, conquistata con notevole dispendio di vite.
La Satisfaction guidava la flotta e si dirigeva verso la foce del fiume.

Con grande orrore di chi la osservava avanzare da terra, anziché aggirare il banco di scogli che si stendeva di poco sotto l’acqua, il Lajas Reef, proseguì diritta, finendovi contro con tale violenza che gli alberi si ruppero e caddero, abbattendosi sugli uomini radunati sul ponte.
Altre quattro navi seguirono la sorte dell’ammiraglia, prima che i capitani si rendessero conto di quello che stava accadendo e che le navi che le seguivano riuscissero a virare per evitare gli scogli.
Era il 12 Gennaio 1671.
A causa del forte vento, nessuna delle cinque navi fu recuperata. Fortunatamente la maggior parte delle provviste stivate, e degli uomini, furono salvati.
Una settimana dopo, Henry Morgan risaliva il Chagres al comando di una flotta di 36 barche e canoe cariche di uomini e armi...

... cosa accadde dopo? lo scoprirete leggendo La Sposa Spagnola ! ;)


Una piccola nota merita il ritrovamento della Satisfaction.

La ricerca iniziò nel Settembre del 2010, quando un gruppo di archeologi della Texas State University annunciò di aver ritrovato alcuni cannoni di ferro sui fondali di fronte alla foce del fiume Chagres e al Castello di San Lorenzo, nella zona della barriera Lajas Reef, e proseguì l’anno successivo con l’eccitante scoperta del fasciame di una delle navi di Henry Morgan, successivamente identificata come l’ammiraglia Satisfaction.
I reperti recuperati, attualmente conservati a Panama, comprendono oltre ai cannoni, una spada, alcuni forzieri, barili di legno, monete e sigilli.


 

 



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