mercoledì 19 settembre 2012

BLU, GIALLO, ROSSO, la Repubblica Partenopea, 1799

di Danilo




Compito arduo riassumere nel breve spazio di un articolo un problema storico della portata di quello che mi appresto ad affrontare, su cui sono state scritte opere di centinaia di pagine e su cui si è misurato persino un intellettuale fondamentale per la cultura italiana come Benedetto Croce.
Perché, una Repubblica nata (grazie alle armate francesi ed a un pugno di idealisti votati ad utopie illuministe) nel mese di gennaio, finì di fatto a giugno e fu dichiarata ufficialmente morta in luglio, pur in così poco tempo invece di essere una meteora effimera ha mosso problemi fondamentali per il meridione italiano e l'Italia tutta, determinandone i destini successivi per tempi lunghissimi.
Ma dovendo condensare al massimo un così ponderoso argomento, preferisco procedere per "flash", mettendo il riflettore per alcuni momenti (che una pretesa biografica sarebbe assurda in uno spazio così compresso) su alcuni personaggi e parlando di loro, attraverso di loro, far apparire le problematiche fondamentali.

Il "motore" primo degli eventi è a mio avviso Maria Carolina d'Austria, regina di Napoli, moglie di Ferdinando di Borbone, rispetto al quale ha un sopravvento decisorio indubitabile.
Maria Carolina era la sorella di Maria Antonietta, la regina di Francia moglie di Luigi XVI ghigliottinata come lui dalla Rivoluzione (strano destino a Napoli questo delle "sorelle celebri", visto che nel 1860 perse il regno per opera di Garibaldi, Maria Sofia, moglie di Francesco II e sorella della famosissima Sissi).
Senza il "movente" dell'odio inestinguibile (e pessimo consigliere) di Maria Carolina nei confronti dei giacobini, tutti gli accadimenti fra il 1798 e il 1801, sarebbero inspiegabili. Due imprese militari (1798 e 1801) dell'esercito borbonico concluse con disastri, la prima attirando un contrattacco francese che arrivò fino a Napoli, inducendo il re con la corte a fuggire in Sicilia sotto la protezione britannica, aprendo così la strada alla Repubblica di cui stiamo parlando. La seconda dopo una ulteriore sconfitta e il successivo trattato di pace (pace di Foligno, 1801) ebbe il pregio di far finire la "mattanza" (peraltro, già in gran parte compiuta) dei giacobini meridionali e pose il regno di Napoli sotto una egemonia francese che poi, dal 1806 alla "restaurazione" del 1815, assumeranno direttamente il trono di Napoli con Murat.
Un odio furibondo ed irrazionale, spiegazione prima della ferocissima repressione borbonica dopo la caduta della repubblica, o meglio della vera e propria vendetta di Stato, che massacrò e disperse per il mondo i migliori intellettuali meridionali (parte uccisi dalla furia del popolaccio filoborbonico, parte da esecuzioni sommarie, molti, se ne ricordano 124, impiccati o decapitati dopo processi-farsa, moltissimi esiliati, fuggiti o finiti in carceri orrende), un danno da cui il meridione italiano non si è mai riavuto e che ha fatto si che il Risorgimento fosse poi tutto condotto dal settentrione e che questo nord si ponesse in un atteggiamento di incomprensione che ha contribuito anch'esso alla cronicizzazione dell'arretratezza meridionale.
 
Il secondo protagonista é Lord Horatio Nelson, il grande ammiraglio inglese, famosissimo condottiero del mare, che invece in questa vicenda fa una figura infame e gravemente disonorevole, specialmente contrapposto com'è dagli eventi alla nobilissima figura dell'ammiraglio napoletano Francesco Caracciolo.
Nelson incarna per necessità di ruolo l'ambiguissima posizione britannica, che per evidenti ragioni strategiche (sconfiggere i francesi, con qualunque mezzo e a qualunque costo) fa una politica "sporca", reputando la fellonia di venir meno alla parola data e il massacro dei repubblicani napoletani come una "ragion di Stato" inevitabile. Infatti, gli ultimi repubblicani asserragliati nei castelli di Napoli si erano arresi con il patto che avrebbero avuto salva la vita e il diritto di andare liberamente dove avessero voluto.
Invece, Nelson e la regina stracciarono quel patto e fecero arrestare tutti, coprendosi di disonore. Tanto era evidente l'infamia che il Cardinal Ruffo (un personaggio che affronteremo tra poco) si oppose con forza allo spergiuro, rischiando persino di essere arrestato e se un uomo reazionario e spietato come Ruffo reputò quel venir meno ai patti un'infamia, significa che lo era al di là di ogni dubbio.
L'ambiguità britannica nel 1799 (io ritengo inutile indulgere in spiegazioni "romantiche", come l'influenza di Lady Hamilton, perché le ragioni strategiche di fondo sono evidenti) ci deve far riflettere sull'eterna influenza di qualche potenza esterna (a volte le stesse, altre nuove) in ogni vicenda italiana, facendo gli interessi di quella potenza. E infatti nel 1860 saranno proprio i britannici ad affossare i Borbone, agendo in modo diametralmente opposto al 1799, coprendo con le loro navi ai cannoni napoletani lo sbarco di Garibaldi a Marsala e poi addirittura nella decisiva battaglia del Volturno fornendo alcuni esperti cannonieri della Royal Navy al servizio delle artiglierie garibaldine.
 
Per questa prevalenza di ragioni di interesse nazionale (notoriamente "senza cuore"), ridimensiono il ruolo di Lady Emma Hamilton, che tuttavia bisogna richiamare. Una avventuriera che giovanissima aveva lavorato in noti bordelli di Londra, ma che aveva subito manifestato il "talento" di irretire facoltosi "protettori", grazie ai quali iniziò prestissimo la sua scalata sociale, compiutasi definitivamente con il matrimonio con l'ambasciatore britannico a Napoli. Ma anche nella città partenopea le sue qualità dovevano portarle ulteriori promozioni, divenne molto amica della regina Maria Carolina (Lady Hamilton era l'unica persona esentata dai tre inchini davanti ai regnanti di Napoli) e poi amante dell'ammiraglio Nelson, per cui le fu attribuita la colpa della fellonia dell'ammiraglio quando non onorò come già visto i lasciapassare dei giacobini che si erano arresi.
Figura particolare, quella di Lady Hamilton, la quale dopo la morte di Nelson e del marito dissipò i propri averi, finendo in carcere per debiti nel 1813 e morì alcolista, di cirrosi epatica, nel 1815, con una parabola che non poteva non farne un personaggio romantico, quindi sopravvalutata a partire proprio dal periodo del romanticismo.
 
Di ben altro spessore l'altro personaggio che per le vicende di cui stiamo parlando è collegato alla figura di Nelson, l'ammiraglio Francesco Caracciolo. Uomo nobilissimo non solo per nascita ma per tutto il comportamento nella sua vita, valentissimo marinaio, aveva servito lealmente e con coraggio il re di Napoli.
Durante l'esilio siciliano borbonico del 1799 aveva ottenuto dal re stesso il permesso di rientrare a Napoli per proteggere i suoi interessi familiari. Ma a Napoli era stato "preso" dalle idealità della repubblica, divenendo così comandante della miserevole flotta repubblicana ( la gran parte delle imbarcazioni o era fuggita in Sicilia, oppure era stata incendiata per ordine del re all'atto della fuga). Eppure, nonostante la modestia delle forze al suo comando poco mancò che il Caracciolo non infliggesse una memorabile sconfitta all'orgogliosa flotta di sua maestà britannica, solo un cambio di vento mutò l'esito del combattimento in quell'epoca di vele.
La regina Carolina lo voleva morto a tutti i costi, perché diceva che l'ammiraglio conosceva alla perfezione ogni buco ed anfratto della costa del regno, per cui vivo era un pericolo permanente.
Nelson si prestò alla disonorevole incombenza, fece processare Caracciolo da un tribunale di bordo e lo fece impiccare alle alberature della sua nave come fosse un pirata. Caracciolo affrontò la morte
imperturbabile. Ad ulteriore disonore di Nelson, il cadavere di Caracciolo fu gettato in mare e solo la fortuna che lo lasciò galleggiante e mani pietose che lo raccolsero consentirono di dargli poi una degna sepoltura.

Ma il "personaggio" piu' importante della vicenda è la plebe meridionale, che mobilitata dal Cardinal Ruffo fu la vera artefice della sconfitta della repubblica.
Un popolo rozzo e ignorante, immerso in una fede superstiziosa, formalmente cattolica, ma intrinsecamente pagana, barbara, nettamente anticristiana, portato in ogni tempo a schierarsi dalla parte dei suoi oppressori e affamatori, contro ogni forza di progresso e di riscatto sociale. Cosa apparentemente assurda, spiegabile (con buona pace del Croce) solo con categorie proprie del materialismo storico di stampo marxista, non perché io le preferisca, ma semplicemente perché in questo caso spiegano efficacemente quello che altre teorie non spiegano.
Infatti, mentre le popolazioni del nord italia avevano già le caratteristiche proprie del proletariato, quindi una coscienza di classe determinata dall'avere un lavoro salariato stabile e ben determinato, le plebi meridionali incarnavano quel sottoproletariato che è sempre preda della reazione, in quanto vive "alla giornata", di espedienti, di lavoro bracciantile nei latifondi, di elargizioni di elemosine ecclesiastiche o di ricchi, per cui non ha coscienza di classe ed è portato a seguire chiunque gli dia l'illusione di elargire o poter elargire, oltre a nutrire un inestinguibile odio per chi ha una cultura e sembra voler mettere in discussione uno stato delle cose da cui il misero si illude dipendere il poco pane che lo fa sopravvivere.
Tutto questo spiega l'odio furibondo di queste masse miserevoli per i giacobini, ma poi molti decenni dopo per il movimento risorgimentale, dal massacro dei trecento di Pisacane allo, schierarsi a favore dei Borboni contro Garibaldi nel 1860, alla stagione sanguinossissima del cosiddetto "brigantaggio" almeno fino al 1865.
Sagacemente Garibaldi nel 1860 sbarcò in Sicilia, perché quella terra era un caso anomalo, considerandosi un regno indipendente occupato dai Borboni, cui si ribellò ripetutamente.
Ma il resto del meridione era ben diverso, con popolazioni sempre pronte a manifestare fedeltà ai Borboni e una fragile classe intellettuale che ha generato un piccolo, isolato nucleo di menti valentissime. Basti pensare che nel 1860 solo 80 (ottanta!) napoletani (Napoli era allora la piu' popolosa città d'Italia e una delle piu' popolose di Europa) si unirono come volontari a Garibaldi.
E la già richiamata repressione del "brigantaggio" dal 1861 al 1865 per avere successo dovette essere effettuata con una durezza ben maggiore di quella usata nel 1799 dai repubblicani di Napoli e
dall'esercito francese.

Se si pone mente a tutto questo si capisce facilmente come sia potuto succedere che nel 1799 il Cardinal Ruffo, di antica nobiltà calabrese, sia potuto sbarcare con un pugno di uomini nelle sue terre e da lì mobilitato un "esercito" di "lazzari" e, risalita la penisola, sbaragliare le poche città fedeli alla repubblica, coagulare i molti che invece si opponevano alla stessa ed infine arrivare fino a Napoli
(dove peraltro i "lazzari" avevano opposto in gennaio una strenua resistenza ai francesi ed ai repubblicani) sbaragliando la repubblica, il tutto fra le violenze indicibili di straccioni trasformati in
soldati ed autentici briganti in generali, convinti di difendere la "santa fede", tanto da passare alla storia con il nome di "sanfedisti".
Eterna condanna del sud Italia (fino ai giorni nostri) di generare sempre masse pronte a schierarsi con le forze piu' retrive ed oscure, pronte a combattere contro altri meridionali che invece con chiarezza di idee, alto senso morale e coraggio personale, si sono sempre battuti per il riscatto e il progresso del sud.

E con questo penso di aver tratteggiato quelle poche linee che possono servire se non a chiarire una vicenda storica così complessa e importante, almeno a incuriosire e focalizzare gli argomenti da approfondire, per chi vorrà farlo nella sterminata bibliografia al riguardo, di cui segnalo solo l'immortale saggio storico sulla rivoluzione napoletana di Cuoco, il quale ha il pregio di essere stato protagonista degli avvenimenti e di aver scritto immediatamente dopo di essi.

5 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Sono stupefatta e non posso che complimentarmi con Danilo per questo post davvero strepitoso. Sto leggendo in questi giorni il romanzo di Anna Bulgaris e questo post mi è stato davvero prezioso per inquadrare storicamente il romanzo
( avevo delle grosse lacune storiche, ma questo rimane ovviamente fra di noi ;-)...)
Elnora

Pinkafé ha detto...

Grazie Danilo, ho riscoperto stasera il piacere di un bel tuffo nella storia. Mi piace molto il taglio lucido dello scritto che non si sofferma sulle sfumature romantiche ma offre una fotografia chiara e dettagliata. Ma perchè a scuola non era la stessa cosa?
Astasia

Kathleen McGregor ha detto...

Un articolo molto interessante che rende perfettamente il periodo storico del romanzo di Anna Bulgaris. Complimenti per questo eccezionale approfondimento.

Kate

Danilo ha detto...

Effettivamente la didattica della storia nella scuola italiana é piuttosto carente.
Ci sono metodi correntemente usati dalla migliore didattica anglosassone che meriterebbero attenzione, ma il discorso sarebbe lungo.

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