mercoledì 11 settembre 2013

Il primo caffè del mattino


di Andreina

Il primo caffè del mattino è un romanzo che solo dal titolo mi procura il buonumore; non c’è altro che mi svegli la mattina se non una bella tazza di caffè, semplice, nero e  con una puntina di zucchero… di canna naturalmente! 
Considerando che avevo già letto qualcosa dell’ autore, non mi sono lasciata sfuggire questo libro, e armata di …ma guarda un po’, di una bella tazza di caffè, mi sono accomodata per bene nel mio divano e ho iniziato la lettura.

Il protagonista della storia è Massimo, proprietario di un bar a  Roma. Il nostro bel barista è un ragazzo dolce e  sentimentale, che vive da solo nella casa della sua infanzia. Ha una sorella che però vive lontano. Non ha una vita amorosa, e anche la sua vita sociale non è granché, ma la condivide con  i clienti affezionati del bar e con una vecchia fiorista che lo considera come un figlio; passa  le sue giornate lavorando nel bar ereditato dal padre, servendo caffè e cornetti a iosa e chiacchierando con i suoi clienti; è  molto paziente con loro, tanto da instaurare con i più abitudinari una sorta di familiarità reciproca. Tutti questi clienti affezionati, fanno parte della quotidianità di Massimo al punto che si sentono in dovere di interferire nella sua vita  ogni qual volta capiti l’occasione, ossia sempre!

Infatti  in  questo romanzo, insieme a Massimo, troviamo appunto una girandola di personaggi che lo scrittore non ha inserito a caso, ma sono parte integrante della storia; incontriamo così ogni sorta di tipi: da quello più strampalato a quello, diciamo, quasi normale. Sono tutti diversi tra loro, ma accumunati dalla stessa maniaca cerimonia del mattino, la mitica tazza del caffè…  
Ovviamente, impicciarsi della vita del barista è compreso nel servizio! 
Ogni giorno Massimo  accontenta i suoi  clienti con le solite richieste : c’è chi vuole il caffè lungo, corto, rigorosamente “al vetro”, o “corretto” con la sambuca! Conosce così tanto i loro gusti personali che a ognuno di loro è in grado di  servire “il solito” senza bisogno che lo chiedano, e quando il solito  gruppetto familiare  di clienti  è presente nello stesso momento, assistiamo a battute davvero divertenti!

Però, Massimo  ancora non ha incontrato l’amore, quello con la A  maiuscola…
Improvvisamente questa sua solita vita che trascorre ogni giorno allo stesso modo,  viene sconvolta dall’apparizione di Genevieve , una bellissima quanto scontrosa ragazza francese ( e te pareva… una straniera! ) che  cattura il cuore del bel barista ( ma dico io…una bella italiana no? Magari una bella sardina? Intesa per sarda ovviamente! )
Alla sua entrata in scena e dopo averla giudicata  A: Permalosa,  B: Freddina e C: ( si c’è pure una C ) poco socievole, mi sono dovuta ricredere, anche perché non era giusto venir meno al mio mantra, ossia non giudicare all’apparenza!
Ho peccato di incoerenza, quindi ho continuato a leggere chiedendo perdono alla bella francesina, anche perché, povera Genevieve, era del tutto spaesata! Detto in parole povere, scopre improvvisamente di essere parente di una tizia mai vista, che le ha lasciato in eredità una casa in una città italiana sconosciuta dove non capisce nemmeno una parola di quello che dicono. Le ho concesso tutta la mia simpatia e comprensione ^_^
Per il nostro bel barista non c’è scampo e dopo un’incontro-scontro, inizia … scopritelo voi!
Come ben sapete, non mi piace fare spoiler nelle recensioni, perché la ritengo una grave maleducazione nei confronti di chi il libro non lo ha letto; a parer mio una buona recensione deve stuzzicare la curiosità del lettore, in meglio o in peggio, a secondo del proprio gusto personale.

Avevo letto in precedenza altri romanzi dello scrittore Diego Galdino, conosco bene il suo stile, e mi piace tanto  la sua sensibilità, sentimento che trasmette nelle sue storie.

Di questo romanzo in particolare ho apprezzato tanto la lettura scorrevole, semplice, senza tanti paroloni che rendono spesso le storie così pesanti da impedire qualsiasi trasporto emotivo. Mi è piaciuto  il rapporto di Massimo con i clienti del bar e ho trovato geniali le sue elucubrazioni mentali messe tra parentesi.  In più il dizionario riguardante i vari tipi di caffè e la loro preparazione mi è sembrata veramente una cosa interessante e di cultura…ovviamente !  Caspita, quanti tipi di caffè esistono!
Infine concedetemi una mia personalissima opinione.
Finalmente una casa editrice che reputo intelligente per la scelta che ha fatto. Ha riconosciuto il talento di uno scrittore che non usa solo la penna per raccontare le sue storie, ma l’anima e il cuore, perché quando finisci il romanzo, ti rendi conto che alla fine traspare tutto il sentimento che Diego Galdino  mette nel creare delle storie che, oltre ad avere emozionato lui nello scriverle, devono emozionare anche chi le legge. 
Per finire, ogni volta che d’ora in avanti terrò in mano una tazza di caffè, non potrò fare a meno di pensare che, chi lo sa….magari un giorno potrebbe preparamelo anche il bel Massimo, no?
L’imprevedibilità del destino è uno dei misteri che mai saranno rivelati! 






lunedì 10 giugno 2013

Kathleen McGregor, in rotta verso il Mar dei Caraibi

di Marty e Faye

In occasione della ristampa di "Cuore Pirata" per Leggereditore, abbiamo il piacere di avere nuovamente come nostra ospite Kathleen McGregor, per parlare insieme di questo secondo capitolo della saga Mar dei Caraibi, della sua scrittura, e dei suoi personaggi avventurosi e passionali, capaci di farci viaggiare insieme a loro sulle onde dell'oceano. 

Chi è il “Cuore pirata” del titolo?

È difficile rispondere a questa domanda senza svelare troppo. “Cuore pirata” è la storia di una giovane donna che cerca la vera se stessa, che scava nel proprio passato per poter costruire il proprio futuro. Tutto quello che è, o che pensava di essere, e tutto quello in cui crede, viene improvvisamente sovvertito dal corso drammatico degli eventi. Concetti come giustizia, legalità, libertà cambiano, fino ad assumere significati diversi, se non addirittura opposti, e lo stesso accade al suo cuore, alla sua stessa anima. Il “Cuore pirata” del titolo può anche essere considerato ambivalente: è il passato, per chi si è lasciato alle spalle la vita di corsa, e allo stesso tempo rappresenta il futuro, per chi si riscopre.


Come s’inserisce questo libro nella saga dei Pirati del Mar dei Caraibi?

In ordine di tempo, “Cuore Pirata” inizia dove “La Sposa Spagnola” si ferma, nel 1672, tuttavia, per quanto riguarda le vicende e i personaggi, si collega a “Corinna. La Regina dei Mari”. È di fatto il secondo romanzo della trilogia, così come si è sviluppata. Quindi, per una migliore comprensione, dovrebbe essere letto in ogni caso dopo Corinna.


Avery, il mitico pirata privo di un occhio, che ritroviamo in questo romanzo nella sua veste ufficiale di duca e gentiluomo, ci rapirà ancora con arrembaggi e avventure di corsa?

Assolutamente sì. Avery può essere nato nobile, ma nell’animo rimane un avventuriero, un uomo che ha assaporato la libertà e l’affermazione della vita di corsa, e che serba un profondo rimpianto per tutto ciò che si è lasciato alle spalle, a partire dal mare. Duca e gentiluomo, ma soprattutto uomo che sa cosa significa vivere pienamente, senza tirarsi indietro di fronte alle prove che il destino gli impone e capace di affrontare qualsiasi battaglia, qualsiasi pericolo, se a guidarlo è il suo cuore.


Quali altri personaggi amati dai tuoi lettori ritroveremo in “Cuore pirata”?

In “Cuore Pirata” i lettori ritroveranno figure già conosciute, come Corinna e Dorian, i protagonisti di “Corinna. La Regina dei Mari”, ma anche nuovi, affascinanti, personaggi che daranno vita ad altre emozioni, e altre storie, prima fra tutte la dolce e appassionata Alma De Castillo.


Alla ricerca di Manoa, il mitico Eldorado: l’asse geografico dei tuoi racconti precedenti si sposta quindi verso il lato occidentale del continente sud americano?

La ricerca di Manoa è il filo conduttore che intreccia le storie parallele di personaggi diversi e che li accomuna. La trama portante, ovvero quella di Glen e Walter, accompagna il lettore in un viaggio che da Londra arriva a Giamaica, terra in cui Walter è ben conosciuto nella sua precedente veste di filibustiere, spostandosi poi, inevitabilmente, sul continente sudamericano, custode e culla del mistero dell’Eldorado.


Manoa è stata cercata ovunque, dalla giungla colombiana, al bacino dell’Orinoco, alle montagne del Perù, alla Bolivia. La ricerca di questa terra mitica è stata oggetto di spedizioni spesso finite tragicamente: la vicenda narrata s’ispira a qualcuna di esse?

A partire dal 1541, anno in cui Gonzalo Fernandez de Oviedo lo nomina per la prima volta nelle sue cronache, il mitico Eldorado, prima lago poi città, è stato cercato da moltissimi esploratori, che si sono spinti dal Perù, attraverso la Bolivia, la Colombia, e lungo il corso dei fiumi Orinoco e Rio delle Amazzoni. Il motore della storia narrata nel romanzo si ispira effettivamente alla spedizione realmente avvenuta di Gonzalo Pizarro, partita da Quito nel febbraio del 1541 con l’intento di cercare l’Eldorado nel bacino del Rio delle Amazzoni. Una marcia estenuante di mesi porta 220 uomini oltre le Ande, attraverso la giungla, sotto le piogge torrenziali, e poi lungo il fiume Napo, dove la spedizione si arresta per mancanza di viveri, e si divide.
Con il compito di procurare provviste, Francisco de Orellana e sessanta uomini, proseguono lungo il fiume Negro, ma non riescono più a risalire la corrente, e possono solo continuare a discenderla. Arrivano così al grande Rio delle Amazzoni, che percorrono tutto fino all’Atlantico, in un viaggio che dura cinque mesi, imbattendosi in diverse tribù indiane, tra cui gli Omagua (che in seguito vennero indicati come il popolo di Manoa), e le leggendarie Amazzoni. È proprio a Francisco de Orellana e all’incredibile viaggio di questi sessanta uomini, che si ispirano la figura del capitano Francisco Jimenez de Castillo e l’avventura da lui stesso narrata nel suo diario perduto.


Avery è un corsaro  provato da tante esperienze, eppure è vittima di un colpo di fulmine non appena incontra Glen. In questo libro l’elemento romantico pesa più o meno dell’elemento avventuroso?

Accade che anche gli uomini più navigati e induriti dalla vita soccombano alle leggi inspiegabili dell’innamoramento, forse proprio perché non lo cercano e non se lo aspettano. Ma viene da chiedersi se non siano soprattutto le circostanze a far scattare quella scintilla. In un altro luogo, in un altro momento, e soprattutto in assenza del pericolo, sarebbe stato lo stesso per Avery? L’elemento romantico nasce e si sviluppa congiuntamente a quello avventuroso. L’amore sceglie strane vie per insinuarsi nel cuore degli uomini, a volte queste vie sono lente e tortuose, altre dirette e immediate. “Cuore Pirata” è una storia d’avventura, di ricerca interiore, di crescita e anche d’amore, e ognuno di questi aspetti è legato, e dipende da tutti gli altri.


Corinna, la regina dei mari, e Soledad, la sposa spagnola, sono due figure femminili diversissime, dalla bellezza e personalità quasi agli antipodi. Che donna è, invece, la Glen di “Cuore pirata”?

Glen è molto diversa sia da Corinna che da Soledad, sia nell’aspetto fisico che nell’animo. E’ una giovane lady cresciuta amata e protetta, che si vede privare improvvisamente della sua vita, così come l’ha vissuta finora, e di tutto ciò in cui ha sempre creduto. E si ritrova a dover riempire questo vuoto, a ripercorrere un passato sconosciuto per ritrovare radici antiche e perdute, per imparare a conoscersi di nuovo. La sua bellezza è acerba, il suo carattere contradditorio. È come un fiore che non ha ancora trovato le condizioni per sbocciare, ma che dimostrerà la sua tempra facendolo nelle avversità.


Sono passati quasi dieci anni dalla prima edizione di “Cuore pirata”. Da allora a oggi, quanto si sente cambiata come autrice Kathleen McGregor?

Dal punto di vista creativo, non sono cambiata poi molto. Come allora, mi entusiasmano le storie avventurose, mi perdo letteralmente in mezzo a esse, nel descrivere battaglie, tempeste e arrembaggi. I miei orizzonti si stanno naturalmente ampliando, ma continua a essere l’avventura il mio più grande amore. Dal punto di vista stilistico invece mi sento indubbiamente maturata, più preparata e consapevole nell’affrontare storie complesse e drammatiche, o personaggi più oscuri e controversi. E’ sempre un percorso quello che si compie, ogni storia è una tappa, ogni libro un punto di arrivo ma anche di partenza, un bagaglio di conoscenze e di esperienza che ci arricchisce e ci prepara per altre storie, altri lidi... 


domenica 2 giugno 2013

Pinkafè al Salone del libro di Torino

di Elnora


Ebbene si, quest'anno al Salone del Libro di Torino c'ero anche io, in veste di  inviata, lettrice, curiosa, vacanziera e altro. Difficile concentrare in poche righe cinque giorni intensi trascorsi non solo dentro il Lingotto ma anche muovendosi fra le strade di una città che ha veramente tantissimo da offrire.  Ne è risultato una commistione intossicante di libri, arte, musei, abbazie e panorami spettacolari. Ma andiamo per ordine.
L'ingresso al Salone del libro nel giovedì inaugurale è stato come infilare la testa dentro l'occhio di un ciclone, mi sono dovuta reggere forte.
Libri ovunque e in tutte le declinazioni possibili e immaginabili; eventi, conferenze, tavole rotonde, incontri con gli autori. Ho capito che la visita alla Fiera richiede una certa pianificazione o ne vieni davvero travolta. Perdonatemi se non posso offrirvi un resoconto dettagliato, peraltro impossibile in questa sede. Durante il mio primo giro di perlustrazione ( durante ill quale poi non ho nemmeno visto tutto), mi chiedevo come fosse possibile scodellare tanti libri tutti insieme, tanto che la mia mente stordita vaneggiava pensieri tipo: sono più i libri dei lettori disposti a leggerli.
Tante, tantissime le case editrici che si sono ritagliate il loro pezzettino di gloria agli occhi dei viandanti che si sono avventurati nel rutilante mondo del Salone. Certo, difficile respirare un'aria di crisi all'interno degli stand dei “colossi” ( gruppo Mauri Spagnol, Mondadori, RCS, Feltrinelli)  presi d'assalto da avventori di tutte le età.  E proprio mentre sto scrivendo, un occhio vola alle somme tirate all'indomani della chiusura della fiera che parlano di un incremento del 20% delle vendite.
Bagno di folla per Roberto Saviano e il suo  ZeroZeroZero, mentre nella sala azzurra è stato  impossibile
 sfondare il muro di persone per assistere alla Lectio Magistralis di Luciano Canfora, filologo, storico e profondo conoscitore della cultura classica.  Insomma, un trionfo della cultura e uno schiaffo alla crisi che pare non aver trovato posto nell'evento.
Parola d'ordine: spazio per tutto. Dal digitale, al benessere, dalla piccola editoria ( a cui è stato riservato il padiglione n. 1)  al debutto delle giovani realtà editoriali tutte raccolte nel settore L'incubatore, fino ad arrivare ad una delle novità di quest'anno: Casa CookBook dove l'editoria sposa il gusto, un connubio che ultimamente pare soddisfare tutte le aspettative.

Ma fra le manifestazioni, gli eventi, i panel, le tavole rotonde gli incontri fra i professionisti, cosa è serpeggiato? Tanto e di tutto. Il digitale è in ascesa e non è più possibile bistrattarlo spocchiosamente. I lettori assidui, quelli attenti, quelli che non possono fare a meno di leggere, hanno tutti un ereader. Provengono da varie fazioni, amazoniani, sonysti, kobisti nazionalisti, ma sempre avanti guardano. Si è andato addirittura oltre con le parole di Marco Drago, scrittore pubblicato da Feltrinelli e autore radiofonico, che con impeto durante una conferenza sull'editoria nell'era del 2.0 vuole dire basta al feticismo della carta, a suo dire appendice obsoleta di cui bisogna liberarsi. Fenomeno in crescita quello del digitale, ma che deve ancora trovare la sua strada. Più di una persona ha paragonato la rivoluzione digitale che sta attraversando l'editoria a quella stessa che ha squassato la musica qualche anno fa, solo che in questo caso è sui risultati che le opinioni contrastano: qualcuno afferma che la musica con l'era digitale ci abbia guadagnato, altri come ancora  Marco Drago, affermano che è auspicabile non finire come la musica di oggi. Chi avrà ragione in un mondo come quello dell'editoria, che a Torino è stato definito tutto una scommessa, soprattutto per quanto riguarda la narrativa? ( qualcuno ha parlato di un 90% di pubblicazioni di narrativa che vengono buttate quale frutto di scommesse andate male).
Bookrepublic, libreria specializzata in ebook, è fautore e sostenitore di un'editoria che parte dal basso, ossia estrapolare potenziali autori e scrittori dai forum e blog tecnici. Mettere su carta competenza tecniche, innalzare la soglia del pubblicabile creando dei testi virtuali dove attingere per ottenere informazioni, meglio se riguardanti digitale e tecnologia, i settori che almeno per Bookrepublic sono quelli che hanno fornito un riscontro soddisfacente. Si è parlato di selfpublishing e di assister publishing per dare un filtro nel mare di autopubblicazioni,  anche se su una cosa sono per fortuna tutti d'accordo: il lavoro dell'editore è comunque indispensabile.
Sono volati numeri: il 60% degli ebook in circolazione sono autori esordienti, nel 2013 le vendite digitali hanno prodotto un +17% e qualche audace arriva a pensare che l'anno prossimo la carta verrà superata. 0,15% era la percentuale delle vendite rappresentate dal genere erotico " pre Fifty". Dopo la pubblicazione della trilogia di E. L. James la percentuale di vendita è passata ad ottobre del 2012 al 4,27%.
Joy Terekiev, editor della Mondadori, colei che ha acquisito le Cinquanta Sfumature
non ha mai pensato alla storia di Mr. Grey come ad un erotico ma come ad una bella fiaba, una sorta di Pretty Woman fra le pagine di un libro. Solo che  ha fatto molto di più, perchè ha sdoganato un genere che mette il sale sulla coda ai  tempi di pubblicazione. Si cavalca l'onda del successo e si chiede uno sforzo immane ai traduttori che si ritrovano a svolgere un compito arduo, perchè la lingua italiana non è fatta per parlare di erotico senza risultare volgare o ridicola, per cui a loro il compito di unire in matrimonio due recalcitranti sposi: eros ed italiano.
Gli editori riconoscono di pretendere tanto perchè le pubblicazioni originali arrivano prive di editing  e quindi i traduttori si devono anche cimentare in una sorta di editing preventivo. Caldamente consigliata dagli editor l'unione delle forze da parte dei professionisti, perchè la condivisione arricchisce e fa crescere. A questo proposito è stato rivelato come proprio il capitolo finale di Twilight sia stato tradotto da una task force proprio per ottenere un lavoro degno delle aspettative.
Ma come ho già detto all'inizio, il mio soggiorno a Torino non si è tradotto solo fra i libri del Salone. Ho avuto l'occasione ( e la fortuna) di poter sbirciare una città che non si è tirata indietro nel mostrarmi tutta la sua storia e la sua eleganza. Se decidete di andare al Salone del Libro l'anno prossimo, ricordatevi di fare un salto alla Pinacoteca Agnelli, un piccolo scrigno di preziosi quadri annidato sempre all'interno del Lingotto (all'ingresso vi accoglieranno due statue del Canova e un Canaletto che apre il cuore). Il mio di cuore però, è
rimasto all'interno della Sacra di San Michele, la millenaria abbazia all'imbocco della val di Susa che mi ha conquistato irrimediabilmente nel momento in cui mi si è rivelata maestosa in un cielo plumbeo denso di nubi basse e frastagliate. All'interno delle sue mura si respira un'atmosfera indimenticabile e piena di suggestione.
Ho cercato di farmi mancare il meno possibile e quindi ne ho approfittato per salire sulla Mole antonelliana e gustarmi un panorama mozzafiato. Il giorno seguente invece con l'emozione di una bimba sono salita sulla cremagliera che mi ha condotto sul colle di Superga, alla volta della Basilica omonima voluta da Vittorio Amedeo II come ringraziamento alla Vergine a seguito della vittoria sui francesi nel 1706.
La Basilica fu un progetto di quel Filippo Juvara che ha firmato pezzi da novanta dell'architettura barocca di Torino ( la palazzina di caccia di Stupinigi e la reggia di Venaria Reale, solo per citarne alcuni ) e raccoglie pezzi importanti, fra cui nella cripta reale le spoglie di alcuni membri di casa Savoia. Lassù un pezzettino dell'anima di tutti i tifosi del granata è custodito nella lapide sul retro dell'edificio, a ricordo della tragica scomparsa del Grande Torino il 4 maggio del 1949. Tutto ciò conferisce a questo luogo un sapore agrodolce che è davvero difficile dimenticare e che contribuisce a snudare sfumature di una città che merita davvero attenzione e passione, non solo in occasione del Salone Internazionale del libro, ma in ogni mese dell'anno.

giovedì 16 maggio 2013

La "Trilogia dei Sensi" di Anne Rice

di Master8888




Cominciamo da una nota "tecnica", "Risveglio" era già stato pubblicato in Italia nel 1995 con il titolo "LA BELLA ADDORMENTATA", "Abbandono" nel 1997 con il titolo "IL RISVEGLIO DELLA BELLA ADDORMENTATA", mentre "Estasi" non mi risulta sia stato prima pubblicato in Italia.

Fare un breve riassunto (per orientare chi leggerà il mio  commento senza aver letto i libri) della trama dei volumi appena citati non è cosa difficile.
Infatti, anche se la quantità di particolari e di dettagli nei quali Anne Rice si diffonde è notevole (e non potrebbe essere diversamente, trattandosi di tre volumi... ), la trama può essere sintetizzata in poche battute.

La Bella Addormentata (con tutti gli abitanti del suo castello) viene svegliata da un principe, che in cambio la porta con sé in una strana corte, dove molti principi e principesse dati in ostaggio vengono sottoposti a durissimi trattamenti, fatti di ogni genere di umiliazioni e punizioni sessuali e non, con una impronta chiaramente sadiana.
La gran parte del racconto è composta dalla descrizione di queste umiliazioni e punizioni, anche attraverso la nascita di rapporti fra i sottomessi che nel meccanismo narrativo della Rice divengono modo per far raccontare da uno all'altra cose subite, allargando così la lussureggiante proliferazione di dettagli sadici (ma non con la noiosità che ho sempre rimproverato a Sade).
Non esiste alcuna consensualità, tuttavia la Rice cerca di  delineare reazioni psicologiche complesse attraverso cui si creano "complicità" vittime-carnefici, ma sinceramente questo aspetto mi sembra il meno felice della narrazione, dato che le forzature risultano evidenti.

Detto in breve della trama, possiamo venire al mio commento.
Il mio ragionamento non può non partire dal fatto che ANNE RICE è un'autrice notissima per i suoi romanzi horror che ha voluto scrivere anche dei romanzi erotici, non il solito piccolo scrittore/scrittrice "di nicchia", come sono spesso gli autori e autrici di romanzi erotici.
Già secondo me da queste considerazioni si ricava la chiave di lettura dei volumi di cui sto parlando, diversamente si incorrerebbe in errori fondamentali di giudizio.
Il racconto horror si basa su una "convenzione", magari non percepita esplicitamente, ma molto presente e solida. L'autore scrive una storia in cui vengono commesse cose che contravvengono alle leggi necessarie alla convivenza civile o anche a leggi fisiche e logiche (elementi o interi mondi fantastici). Questo è accettato senza problemi perché la finalità del racconto horror è puramente ludica e il divertimento sta nell'ambigua identificazione (consapevole o inconsapevole) del lettore ora nella vittima, ora nel carnefice.
Si tratta di un piacere accettato perché è ovvio e sottinteso che rimane puramente mentale (dei soggetti eccezioni patologiche qui non si tratta) e termina quando si chiude il libro.
E' un piacere di natura certamente sadomasochistica, in quanto derivante dalle sensazioni di paura e disagio per ciò che si legge capita alle vittime, che vira al sadismo in momenti in cui ci si "sintonizza" sul carnefice (magari qualcuno ha indugiato a volte sull'idea di mangiarsi il fegato del capufficio o del collega "strarompi" con le fave e una bottiglia di Chianti, per fare un riferimento ad un horror non di Anne Rice, ma notissimo...).
A questo punto dovrebbe essere già chiaro che il meccanismo posto alla base dei romanzi erotici di cui sto trattando NON è di tipo BDSM, ma di tipo prettamente horror.

Il BDSM è un modo di dare ordine, regole e quindi fattibilità nel mondo vivibile concretamente alle pulsioni di natura sadomasochistica (in senso ampio), deve avere quindi un solido ancoraggio innanzi tutto alla CONSENSUALITA' piena fra le parti e poi ai limiti fisici e psicologici degli esseri umani (anche se, come in altre attività umane tipo lo sport, si cerca di abbassare sempre piu' i limiti grazie alla predisposizione dei soggetti e con l'"allenamento").
L'approccio di Anne Rice non è minimamente BDSM (nel senso appena detto), ma puramente horror, una soddisfazione che è basata su realtà ovviamente irrealizzabili, sia perché puramente fantastiche (si potrebbe definirle horror-fantasy-erotiche), sia perché avulse totalmente dalla consensualità (che per gli autori horror è chiaramente inesistente), sia perché contravviene ai limiti fisici e psicologici dell'essere umano.
Per chiarezza, non posso non fare un paragone con "L'HISTOIRE D'O", in cui si è limitato l'elemento fantastico al contesto, ma nel contempo si è voluto far vedere un rapporto BDSM (e quindi innanzi tutto consensuale) spinto fino agli estremi limiti, chiaramente irraggiungibili per il 99% di quelli che praticano realmente BDSM, ma comunque ancora collocabile in un ambito BDSM.
Anne Rice in base a quello che ha scritto in teoria potrebbe non sapere neanche cosa sia il BDSM, usa i "moduli", per lei soliti, dell'horror, semplicemente "specializzandoli" su elementi erotico-sadomasochistici.
Piuttosto, da questi lavori di Anne Rice emerge scopertamente la parentela fra le favole tradizionali e la letteratura horror.

E' idea non certo originale, ma scritta e ripetuta da molti, che le favole "per bambini" abbiano spesso un contenuto di crudeltà molto alto, fra orchi, lupi, streghe, bambini e nonne che rischiano di essere mangiati, sortilegi crudeli di ogni genere e così via.
Il riferimento, anzi il prendere le mosse dalla "Bella addormentata nel bosco" mi pare un evidente "omaggio" a questa opinione.
A me il mondo crudele ed umiliante prodotto dalla mente di Anne Rice ha fatto pensare letterariamente a quel gigante della letteratura (e chi non lo percepisce come tale ha molto da studiare in materia...) che è il "Pinocchio" del nostro buon Collodi.
Se si riesce a vedere oltre gli orpelli pruriginosi delle esagerazioni sadomasochistiche di Anne Rice e si riesce a "distillare" l'essenziale, si dovrà ammettere che i bambini discoli irretiti con la promessa di poter viver nel "paese dei balocchi" e poi trasformati in asini da far lavorare a bastonate non sono così diversi dai "principi e principesse" condannati ai lavori piu' umili e degradanti per gli abitanti del villaggio.
E il percorso di riscatto fra mille errori e sofferenze attraverso cui il burattino di legno Pinocchio arriva a poter essere un bambino vero in carne ed ossa, non è così diverso dal percorso di Bella che si sviluppa nell'intera trilogia.
Come diceva la modista della regina Maria Antonietta, nella moda non c'è nulla di nuovo, solo cose reinventate.
Una cosa degli scritti erotici  di Anne Rice su cui invece vorrei soffermarmi perché avrebbe potuto fare scelte diverse (e quindi è utile capire il perché ha scelto in un certo modo) è la proliferazione dell'omosessualità in tutte le sue forme, ma soprattutto in quella della "violazione" del maschio, umiliato e penetrato sempre in modi estremi.

Non posso sapere se Anne Rice si sia resa conto esattamente delle implicazioni di questa sua scelta e quindi l'abbia fatta consapevolmente o no, ma in effetti io sono convinto dell'esistenza di precisi rapporti fra tendenze sadomasochistiche e inclinazioni omosessuali, premettendo immediatamente che tutti gli esseri umani, prescindendo dal loro sesso biologico sono psicologicamente un mix di maschile e femminile, ovviamente in percentuali assai variabili da soggetto a soggetto.
Detto questo, non bisogna dimenticare che se si guarda ai tempi dell'evoluzione, noi umani eravamo animali "fino a ieri"  e quindi alcuni insegnamenti possono certamente essere tratti dall'etologia, cioè dalla scienza che studia il comportamento animale, guardando in particolare al comportamento degli animali che vivono in gruppo e quindi hanno delle regole e atteggiamenti con cui sviluppano i loro rapporti.
Riducendo tutto alle grandi linee (tenendo quindi presenti i difetti delle semplificazioni), possiamo dire che di solito ci sarà nel gruppo un maschio dominante ("maschio Alpha"), delle femmine che si sottomettono al maschio dominante, ma che possono anche essere molto forti e aggressive (per procacciare cibo e difendere la prole), fino, in circostanze che lo rendono necessario, divenire esse stesse dominanti, dei maschi che vorrebbero divenire Alpha o sono stati Alpha ma non essendolo sono fuori dal gruppo e fanno vita solitaria (diversamente si viene allo scontro e il maschio Alpha "in carica" può vincere o essere sostituito) ed infine dei maschi che per non essere espulsi dal gruppo si sottomettono, ottenendo così i vantaggi derivanti dal vivere in gruppo.
So bene che molti a questo punto avranno pensato che tutto questo non ha nulla a che fare con ciò di cui sto scrivendo, ma se avete un poco di pazienza capirete i nessi.

Infatti, fra gli animali che vivono in gruppo la sottomissione maschile si esprime spesso con l'assunzione di atteggiamenti femminili da parte del maschio che si sottomette, ad esempio si arriva a mimare l'atto sessuale o in alcuni casi perfino si ha un vero e proprio tentativo di atto del maschio dominante su quello sottomesso.
E' quindi evidente che esiste una base naturale che sorregge la relazione fra sottomissione maschile e omosessualità.
Tuttavia, essendo l'essere umano psicologicamente molto complesso e soprattutto esistendo la sovrapposizione di cospicui elementi culturali (intesi come cultura tradizionale di un popolo, derivante dai contesti e dalla storia) si possono creare "mascheramenti" che rendono non ben distinguibili le cose.
Ma, ad esempio, non possiamo dimenticare che il primo sadomasochismo consapevole e consensuale è nato in ambito gay, con le culture leather (o "dei motociclisti" per usare un termine italiano), assai prima delle definizioni di S/M e poi di BDSM e con l'allargamento a rapporti eterosessuali di Dominazione/sottomissione.
E non si può non tener presente che statisticamente i maschi che in maggior numero (maggiore in altissima percentuale) si avvicinano al BDSM prediligono ruoli sottomessi, anche se (a mio avviso per effetto culturale, nel senso già visto) cercano spasmodicamente come essere umano Dominante una "super donna", nell'immaginario bellissima, con gambe lunghissime, vestita di pelle (Catwoman, ad esempio, è un "prodotto di massa" esterno al BDSM, il quale dimostra la fortuna di certe fantasie...).
E' ovvio che l'esasperazione dei caratteri femminili serve da grande rassicurazione di non perdere la virilità, in un contesto culturale che ancora fatica a combattere l'omofobia di cui è intriso e non ha certo saputo affrancarsi realmente dai ruoli predeterminati.
Ma se si potesse entrare nel dettaglio di certi "giochi" fra Dominatrici e sottomessi si svelerebbe immediatamente l'assunzione del ruolo "femminile" da parte del sottomesso e, invece, "maschile" della Dominatrice.
Dominatrici che anche se (per fortuna) sono sempre piu' frequentemente donne che assumono questo ruolo per scelta disinteressata e spontanea, sono comunque spesso mercenarie ben pagate, a dimostrare quanto sia alta la "domanda" da parte degli uomini con vocazione alla sottomissione.
Al confronto, i veri Dominanti uomini, i veri "maschi Alpha" (e si è tali se, ritornando all'etologia, o si domina o si preferisce restare soli "fuori da qualsiasi branco", quindi in una condizione di sofferenza) sono rarissimi, come è ovvio se si guarda ai motivi ancestrali che li fanno così come sono.
E non tragga in inganno il numero di master presenti sui siti BDSM, premesso che in internet ognuno si definisce come vuole, tanti racconti attendibili dicono come moltissimi siano felicissimi di soccombere davanti ad una avvenente "Catwoman" o accontentarsi di normalissime avventure, dato che evidentemente i loro moventi sono piu' semplicemente di sessualità "stravagante" che basati su una reale e profonda vocazione all'essere master.
Non ci sono "lauree" o "titoli", ma solo la forza dei comportamenti e della coerenza (o incoerenza).
 Mi accorgo di aver divagato, ma ciò che volevo non era tanto parlarvi dei racconti erotici di Anne Rice, quanto fornirvi "le chiavi di lettura" per comprenderli in modo corretto (come romanzi fantasy-horror-erotici, non certo "erotici puri" o tantomeno BDSM) ed inoltre farvi riflettere sulla complessità della natura umana (sotto il mascheramento delle sovrastrutture culturali) e i suoi molteplici nessi con la sfera dell'erotismo e della sessualità.

venerdì 19 aprile 2013

Tiziano alle Scuderie del Quirinale

di Romy




“Venere che benda Amore” (olio su tela, 1559-1561 o secondo altre fonti nel 1565), è uno dei dipinti esposti alle Scuderie del Quirinale fino al 16 giugno 2013.
E’ un dipinto del tardo Tiziano, composto quando il maestro aveva circa 80 anni.
Il colore è denso, pastoso, quasi palpabile.
L’attenzione dell’osservatore è focalizzata su Venere, splendida dea  incoronata, nell’atto di passare  una benda sugli occhi di Cupido, per rendere l’Amore  “cieco”. Altre tre figure compongono il quadro e ne giustificano concettualmente la composizione.
In piedi, appoggiato alla spalla destra della dea, un altro putto alato osserva l’azione.
E’ Anteros, il fratello maggiore di Eros, l’amore con gli occhi aperti, simbolo della capacità di scrutare le emozioni estetiche che suscitano la voluttà, che con il suo atteggiamento sembra chiedere alla madre se sia ben sicura di quello che sta facendo;  Afrodite  si ferma e volge lo sguardo, perplessa.
Sulla destra della composizione, due ancelle:  quella con l’arco  prefigura la castità e la purezza  nell’Amore,  in ricordo dell’Artemide greca, oppure la percezione cognitiva; l’altra, che a seno nudo accarezza gli strali appuntiti nella faretra, è simbolo dell’ebbrezza  della voluttà, o esprime la metafora dell'intuizione che va oltre i dati percepiti dall'occhio.  Entrambe hanno lo sguardo rivolto alla dea, attendono i suoi ordini,  per consegnare arma e munizioni ad uno soltanto dei suoi figli.
Se Venere deciderà  di cedere le armi a Cupido bendato, la passione amorosa si rivelerà  ardente ed improvvisa, consumando tutto il suo calore  in un fuoco di paglia; ma se le lascerà  ad Anteros,  prevarrà l’amore paziente e saggio.
Al di là delle molteplici interpretazioni date su questo quadro, che la critica moderna tende a spiegare in chiave psico-pedagogica, rimane l’impressione fortissima data dall’esplosione di colori caldi, giocati sui toni di un autunno accesso di oro e rosso bruno.
Il colore non è mai accessorio in Tiziano ma rappresenta, insieme alla luce, la forza dell’espressione. Si fa materia, diventa arte.
Arte sublime.

sabato 13 aprile 2013

Tre colori per dipingere

di Erin Kross


 

Eccomi di nuovo con voi per parlare dell'arte di dipingere, e inizieremo proprio dai colori.
A differenza di quello che forse molti di voi pensano, per dipingere non occorrono molti colori, al contrario, ne bastano solo tre: i cosidetti "primari", e l'articolo di oggi sarà dedicato a mostrarvi come utilizzarli per creare il vostro primo dipinto su carta.

Per prima cosa procuratevi le tempere di buona marca, che useremo come acquerelli, di questi colori:
 
 
rosso magenta (primario) - giallo (primario) - blu cian (primario)
 
 
Vengono detti primari poiché sono i più importanti, e perché da essi si ricavano tutte le varianti di colori e tonalità. Mescolando tra loro in parti uguali il Giallo, il Magenta e il Cian, potremo ricavare i colori secondari: l'Arancio, il Viola, il Verde.


Magenta + Giallo (in parti uguali) = Arancio
Giallo + Cian (in parti uguali) = Verde
Magenta + Cian (in parti uguali) = Viola
 
 
Dai questi colori si ricavano tutte le successive gradazioni, chiare, scure, tendenti più ad un primario che ad un altro. Ricordate che il Nero, non è un colore, ma la mescolanza di tutti e tre i colori primari in parti uguali.

Ora metteremo in pratica queste semplici nozioni, e seguendo alcune facili istruzioni, realizzeremo il disegno di un mazzo di fiori.

1) Su un foglio da disegno F4  (cm 24x34) disegnamo a matita un mazzo di fiori, come più ci piace. Per facilitarvi potete copiare un disegno già fatto che vi piace


2) Prepariamo i colori primari su un piattino – un pennello – un vasetto d’acqua.


3) Cominciamo a dipingere i fiori usando i colori diluiti con acqua, come se fossero acquerelli:

rosso per i fiori rosa
blu cian per i fiorellini celesti
giallo per i fiori a tanti petali


4) Proseguiamo mettendo in pratica le nozioni precedenti: mescoliamo i primari ricavare i colori secondari con i colori composti o secondari:
Viola = rosso+blu cian - per dipingere la violetta
Verde = giallo+blu cian - per le foglie e i gambi
Arancio = giallo e una punta di rosso


Usiamo sempre i colori diluiti con acqua, creando almeno 2 gradazioni di viola e 3 di verde, unendoli in parti leggermente diseguali: basta usare un po’ più di giallo oppure un po' più di blu, per avere verdi più chiari o più scuri. Lo stesso procedimento si userà per ottenere diverse gradazioni di viola: un po’ più di blu, oppure un po' più di rosso.

 
Per i gambi, potete creare una sfumatura più scura aggiungendo al verde che avete usato per le foglie una piccola punta di rosso. Anche il fiore blu può essere reso più scuro, aggiungendo una puntina di rosso per le ombre.

A questo punto rinforziamo i contorni con una matita, per migliorare le profondità del mazzolino di fiori, e il disegno è completo!
Una volta che avete preso dimestichezza nel creare i vari toni e gradazioni di colore, potrete sbizzarrirvi a dipingere vasi di fiori primaverili, e cimentarvi in lavori via via più complessi. Il segreto è tutto nei colore... anzi, in tre colori!

                   
 

lunedì 8 aprile 2013

Il primo caffè del mattino di Diego Galdino



by Andreina


Diego Galdino nasce a Roma il 24 Luglio 1971 a sedici anni inizia a lavorare nel bar dei suoi genitori. Questo non gli impedisce però di continuare a coltivare le sue grandi passioni: l'arte, il cinema e soprattutto la letteratura. Divora romanzi di ogni genere ed inizia a collezionare prime edizioni originali, alcune delle quali farebbero invidia a molte rinomate biblioteche: 'Il vecchio e il mare, Persuasione, Jane Eyre, Il conte di Montecristo, Cime tempestose, Via col Vento, Piccole Donne, Il piccolo Lord, Daisy Miller, La fiera delle vanità, La valle dell'Eden, Nicholas Nickleby e tanti altri capolavori affollano gli scaffali della sua libreria. La lettura a poco a poco instilla in lui il fuoco della scrittura che inizia ad ardere sempre di più fino a trasformarsi in un incendio di creatività perennemente acceso. Questa creatività ha portato ora alla pubblicazione del romanzo Il primo caffè del mattino da parte di una prestigiosa casa editrice come la Sperling & Kupfer, donando a Diego Galdino il giusto proscenio e soprattutto realizzando il suo sogno di scrittore. Sito ufficiale  qui


Caro Diego, benvenuto al Pinkafè,.
A breve uscirà in libreria il tuo nuovo romanzo, Il primo caffè del mattino, una commedia romantica adatta principalmente a un pubblico femminile, che segna anche un grande traguardo per te: pubblicare con una grande casa editrice come la Sperling & Kupfer. Cosa hai provato quando hai saputo che avrebbe pubblicato il tuo romanzo?


Prima di tutto grazie per l’ospitalità e un grande saluto a tutte le lettrici dei Pinkafè.Quando il mio agente letterario mi ha chiamato per dirmi che la Sperling mi aveva messo sotto contratto, mi sono sentito come la Vivian di Pretty woman quando vede arrivare Richard Gere con in mano un ombrello a mo di spada e un mazzo di fiori dall’altra …in quel momento ho pensato …avrò la mia favola…

Come è nato questo romanzo? Massimo, il protagonista, ha forse qualcosa di te, dato che tu stesso sei un barista e servi il caffè ogni mattina?

Tanti visto il lavoro che svolgo abitualmente da ben ventisei anni, potrebbero pensare che questo mio romanzo sia autobiografico ed io potrei lasciarlo credere, ma in realtà Massimo è molto più bello del sottoscritto…

Come mai hai scelto per protagonista femminile una ragazza francese? Puoi raccontarci qualcosa di lei?

Ebbene si ho un debole per le attrici francesi…il mio ideale di bellezza femminile nasce dal tempo delle mele con la splendida Sophie Marceau. Scegliere una ragazza francese come protagonista è stato come voler contrapporre due diverse culture, regalare un pizzico di esterofilia alla storia e soprattutto giocare in casa per far capire ad una francese che la città dell’amore non è Parigi ma Roma. Genevieve è la donna di tutte le canzoni di Antonello Venditti, magica come Una sirena a Manhattam, inaccessibile come la principessa di Amarsi un po’.
Per farla breve una donna che rende i suoi enormi difetti i suoi più grandi pregi.

Ci sono degli autori, o delle autrici, che consideri importanti in quello che è stata la tua crescita come scrittore?

Beh! Sicuramente essendo io prima di tutto un lettore e poi uno scrittore, molti sono gli autori e molte sono le autrici che hanno influenzato il mio modo di scrivere, ma preferisco citare i miei due libri preferiti, badate bene non i più belli che abbia mai letto, ma i due a cui sono più legato. Pesuasione di Jane Austen e Le pagine della nostra vita di Nicolas Sparks. Se siamo qui oggi è senza dubbio merito di questi due romanzi


Ti senti in qualche modo affine a Nicholas Sparks, e per quale motivo?

La prima cosa che mi viene in mente da rispondere è un enorme magari !!!!

Cosa vedi nel tuo futuro dopo questo nuovo libro? hai già in mente un'altra storia? 

Di sicuro continuerò a scrivere e a lavorare nel mio bar.
Ho tante storie d’amore in testa  che aspettano solo di essere scritte …ovviamente Il primo caffè del mattino permettendo.

Grazie ancora a Diego Galdino per la tua cortesia e disponibilità.

Grazie a te per essere stata una padrona di casa gentile e paziente e un grazie al Pinkafè.



Trama di  "Il primo caffè del mattino" 

Tra equivoci, baci e lunghe passeggiate romane, una commedia romantica lieve, divertente e tutta italiana, con una protagonista d'eccezione: la città più magica del mondo.

Massimo ha poco più di trent’anni, è il proprietario di un piccolo bar nel cuore di Roma, e non si è mai innamorato davvero. Ogni mattina, all’alba, esce di casa, attraversa Piazza Santa Maria in Trastevere e raggiunge il suo bar. Lì lo aspetta il primo caffè della giornata, quello dall’aroma più intenso, e dal sapore più buono. In fin dei conti sta bene anche da solo, continua a ripetersi man mano che il locale si anima: a tenergli compagnia ci pensano i clienti affezionati, con cui ogni mattina Massimo saluta la giornata fra tintinnio di tazzine, profumo di cornetti caldi e un po’ di chiacchiere. Allora come mai, il giorno in cui improvvisamente entra nel bar una ragazza dagli occhi verdi, il viso spruzzato di lentiggini e l’aria sperduta di una turista straniera, Massimo non riesce a toglierle gli occhi di dosso?Né tanto meno a farsi capire in nessuna lingua: al punto che, tempo cinque minuti di interazione, si ritrova una zuccheriera rovesciata addosso, la porta sbattuta in faccia e qualcosa di molto simile a un cuore spezzato che gli martella nel petto. Ma la ragazza con le lentiggini, che viene da Parigi, di nome fa Geneviève e di mestiere inventa cruciverba, tornerà presto da Massimo: perché ha un segreto che non può rivelare a nessuno, e che la lega proprio a quel luogo. Massimo – che da quando l’ha incontrata la prima volta, con la frangia spettinata e il vestito rosso – non se l’è più tolta dalla testa, non potrà che corteggiarla con le armi che conosce meglio: caffè, cappuccini e il fascino di Roma. Sperando che, nonostante tutti i segreti che Geneviève nasconde, entrambi si ritrovino a volere la stessa, unica cosa: bere insieme il primo caffè del mattino. Tutte le mattine. Tra equivoci, baci e lunghe passeggiate romane, una commedia romantica lieve, divertente e tutta italiana, con una protagonista d’eccezione: la città più magica del mondo.
















giovedì 21 marzo 2013

Primavera a Roma

di Romy



Piazza di Spagna e Trinità dei Monti
Nel primo giorno di primavera, rallegrato a Roma da una temperatura mite e da un cielo azzurro che fa dimenticare il maltempo dei giorni passati, ripropongo ai lettori di Pinkafé la storia e le immagini di uno degli angoli più suggestivi della Città Eterna.
I gradini della scalinata di Trinità dei Monti saranno rivestiti fra poco dei colori brillanti di centinaia di azalee ad opera dei vivaisti romani, uno spettacolo che ogni anno lascia senza fiato cittadini e turisti da ogni parte del mondo.


Forse non tutti sanno che…

Intorno al 1500, questa zona era considerata suburbana e coltivata a vigne. Divenuta di passaggio per i forestieri che entravano in città attraverso Piazza del Popolo, fu subito chiaro che necessitava di una sistemazione architettonica.
Il nome della piazza deriva dalla sede dell'Ambasciata di Spagna presso lo Stato Pontificio (oggi santa Sede), un palazzo situato sul lato meridionale e risalente al 1647, ma fu a lungo contestato dai francesi che possedevano il terreno di Trinità dei Monti e la parte settentrionale della piazza, conosciuta a quel tempo come “Piazza di Francia”.
Per collegare la chiesa di Trinità dei Monti alla piazza sottostante si pensò alla costruzione di una grande scalinata, un progetto che già il cardinale Mazzarino aveva approvato nel 1660.
La scenografica scalinata venne terminata nel 1725 su progetto dell’architetto Francesco De Sanctis, dopo aver ottenuto l’approvazione francese e quella papale.
È articolata in rampe da dodici gradini ciascuna, per un totale di 136 gradini, in un’alternanza di terrazze, tratti curvi e dritti, in ossequio al gusto barocco.
Ai piedi della scalinata la "Barcaccia" di Pietro Bernini (1629), padre di Gian Lorenzo, la prima fontana alimentata dall’acquedotto dell’Acqua Vergine, di cui riparleremo in seguito a proposito di Fontana di Trevi.
L’idea di rappresentare una vecchia barca in pericolo di affondare fu una trovata geniale del Bernini, il quale ovviò così al problema causato dalla bassa pressione dell’acqua. La tradizione però ascrive l’idea a Papa Urbano VIII, impressionato da una barca che si era arenata sulla piazza a seguito di una piena del Tevere.

sabato 9 marzo 2013

Nel Micromondo di Michael Crichton

di Hasmina



 

 
Honolulu, Hawaii.
In un buio stabile di periferia, ufficio di un piccolo avvocato del luogo, regna il silenzio. Tutto sembra in ordine. Se non fosse per tre cadaveri stesi sul pavimento. Sul loro corpo non ci sono segni di lotta, solo dei tagli piccolissimi ma profondi e letali. L'unico indizio trovato sul luogo del delitto è un minuscolo robot, quasi invisibile all'occhio umano, dotato di lame affilatissime. La polizia brancola nel buio. Quello che tutti ignorano è che la Nanigen Micro-Technologies, una società che si occupa di microtecnologie mediche, nella foresta hawaiana nasconde una base segreta, dove mette alla prova apparecchiature finora ignote alla comunità scientifica. Qui è in corso un'operazione rivoluzionaria dai finanziamenti occulti, tesa a studiare le infinite forme di vita di cui brulica il sottobosco per sfruttarne le risorse a scopo medicinale. I dirigenti della Nanigen sono pronti a uccidere chiunque metta i bastoni tra le ruote a questo investimento miliardario. Ma per i loro laboratori hanno bisogno di reclutare nuovi, ignari scienziati: un gruppo di dottorandi dell'università di Harvard capitanati da Peter Jansen, esperto di veleni, e Karen King, aracnologa. I sette giovani, una volta approdati alle Hawaii, si trovano catapultati di persona in un pericolosissimo esperimento scientifico, e costretti a fronteggiare una natura sorprendentemente ostile e sconosciuta.


"La prima volta che lessi il manoscritto inconcluso di Michael Crichton, potevo praticamente sentire la sua eccitazione riempire le pagine. Stava scrivendo al massimo della sua abilità, con un grande senso dell'avventura, nell'esplorare un mondo misterioso e quasi inimmaginabile, il micromondo. Il mondo naturale delle creature piccolissime. Micro mostri, micro bellezza, e suspense al cardiopalma."  -- Richard Preston


Ci ha affascinati col miracolo della genetica di Jurassic Park, guidati alla scoperta delle miniere di Salomone in Congo, portati indietro nel tempo con Timeline, immersi nell'avventura dei caraibi del XVII secolo, ed ora, rimanendo fedele alla sua vena avventuroso/fantascientifica,  Michael Crichton, che personalmente cosidero uno degli autori più eclettici e visionari, quasi premonitori del futuro, come Jules Verne molto tempo primia, ci apre le porte di un mondo invisibile, ignorato e pressoché sconosciuto, ma proprio per questo pericoloso e letale, in Micro.
Lasciato incompiuto alla sua morte, avvenuta nel 2008, Micro è stato completato dallo scrittore Richard Preston. Un'eredità eccitante ma allo stesso tempo immagino onerosa, perché avrebbe dovuto far rivivere una genialità unica nel suo genere, e dare un senso di continuità al lavoro già fatto. Chi è rimasto incantato da Jurassic Park o da Timeline, non può non ritrovare in questo ultimo romanzo la ricchezza creativa di Cricthon, ma allo stesso tempo si sente che manca qualcosa, e si sente la presenza di una mano diversa.


Quante volte ci capita di rivolgere un pensiero a quello che sta sotto i nostri piedi? a quell'universo laborioso e invisibile che pullula di vita, di organismi, animali piccolissimi? In realtà, è come se non esistesse, talmente al di fuori della nostra portata, della nostra attenzione... E in quelle poche occasioni in cui ci ritroviamo ad osservare distrattamente la corazza color petrolio di uno scarabeo, o l'effimera eleganza di una tela di ragno, oppure una fila di comuni formiche, non li vediamo per i predatori letali che realmente sono nel loro mondo, il micromondo, appunto.
Immaginatevi per un attimo di venire miniaturizzati ad un'altezza di pochi millimetri, e di essere abbandonati nella foresta pluviale delle Hawaii, in una dimensione dove le formiche operaie sono grandi e feroci come grossi pitbull, e possono tranciare il corpo di un umano con un solo colpo delle mandibole, dove coleotteri, vespe, ragni, mosche, larve sono in agguato dietro ogni gigantesca foglia, ciascuno di essi dotato di forza e di "armi" biologiche contro cui non avete protezione... dove le distanze sono insormontabili, i rivoli di pioggia enormi fiumi in piena che spazzano ogni cosa... Un mondo sconosciuto e letale come potrebbe essere una foresta del Giurassico, e dove l'unica cosa che può tenervi in vita è la vostra abilità, la vostra resistenza, e le vostre conoscenze.
Ma oltre ad esplorare il micromondo naturale - in tutti i libri di Crichton la natura è bellissima, ma anche e inevitabilmente letale e ingovernabile - Micro ci mostra l'utilizzo di una tecnologia sofisticatissima, che se da un lato permetterebbe di esplorare, studiare e conoscere cose a noi ancora sconosciute, dall'altro rappresenta il peggiore degli incubi, perché dove si ferma la natura, iniziano la tecnologia ed i robot ispirati ad essa, il cui unico scopo è il denaro e il potere. E chi potrebbe mai fermare qualcuno con un esercito di microrobot in grado di uccidere rapidamente, silenziosamente, e in modo totalmente invisibile?


venerdì 1 marzo 2013

Alice in zombieland di Gena Showalter

by Andreina


A sedici anni vediamo la vita in modo differente da un adulto, non sentiamo le responsabilità che l'età matura comporta. Si provano sensazioni uniche: la prima cotta, le feste, i primi baci, le uscite con i ragazzi, l'appuntamento importante che ti fa battere il cuore! Ah l'adolescenza che meraviglia, un caleidoscopio di colori ti circondano, avrai tanti  ricordi che serberai per sempre.

Anche Alice ha sedici anni. Lei non ha vissuto la sua adolescenza. Intrappolata in una situazione famigliare che non lascia scampo, la sua vita scorre nel grigiore più assoluto. Una famiglia strana la sua: un padre paranoico che col buio vede  mostri ovunque, così impaurito che non permette alla figlia di uscire di casa se non alla luce del sole, perché è convinto che il buio porta  la morte. Vede ovunque  mostri orribili che non aspettano altro che nutrirsi di esseri umani. La madre nonostante sia una donna dolce che ama molto i suoi figli, asseconda il marito nella sua follia; infine Emma la sorellina adorata, che insieme a lei subisce questa situazione.
Nonostante Alice cerchi di far ragionare il padre, lui continua a negarle il permesso di uscire dopo il tramonto, quindi niente feste, niente appuntamenti, niente di niente, sino a quando un giorno accade un miracolo. Alice riesce finalmente a persuaderlo ad assistere con tutta la famiglia al saggio di danza di Emma,  restando fuori fino al tramonto.
Questo avrà conseguenze terribili, che cambieranno il corso della sua vita.

Alice però non si lascia spezzare dal dolore, è una ragazza forte, e grazie agli insegnamenti del padre affronterà il suo futuro con coraggio e determinazione.
Quando scopre che  lui aveva ragione riguardo ai pericoli che si celano nell’oscurità, si allea con un gruppo di ragazzi. Insieme combatteranno  i mostri.
Essi esistono realmente e adesso vogliono proprio lei!

Il destino di Alice in seguito si intreccerà con quello di Cole, ragazzo misterioso con cui sembra avere un legame che va oltre la comprensione di entrambi.
I personaggi secondari che ruotano intorno alla protagonista nonostante condividono lo stesso obiettivo, sono molto diversi tra di loro, e questo crea alcuni conflitti. La sfiducia, il rancore e le gelosie della piccola comunità non permettono ad Alice di integrarsi. In seguito grazie al suo carattere forte e impavido, riuscirà a farsi accettare.
Kat l'amica di Alice, mi è rimasta impressa  perché oltre a essere un punto di riferimento per la ragazza, l’ha strappata all’apatia nella quale era scivolata.

Conosco Gena Showalter per la sua famosa serie "Lords of the Underworld", genere  paranormale completamente differente da questo romanzo.
Leggendolo  sono rimasta  piacevolmente stupita. Mi aspettavo un young adult tipicamente adolescenziale, invece l'ho trovato adatto anche a un pubblico più grandicello. L'autrice è stata davvero molto brava. Infatti dopo averci conquistato con un’avvincente saga paranormal, adesso ci propone una storia giovane fresca e appassionante. Anche la cover è bellissima!
Alice in Zombieland è scritto  molto bene, con uno stile semplice e accattivante. Durante la lettura mi sono ritrovata immersa in una storia da cui è stato difficile staccarmi. Alcune scene descritte mi hanno fatto venire letteralmente la pelle d'oca, specialmente il primo incontro tra Alice e Cole, scene profondamente sensuali e inaspettate, che mi hanno talmente emozionata da costringermi a leggerle e rileggere più volte. Lo so che lo volete sapere… ma  non le svelo nemmeno sotto tortura. Leggetelo!

Quando faccio una recensione non mi piace svelare troppi particolari del romanzo, questo perché ho troppo rispetto per il lettore che ancora non lo ha letto. Per quanto mi riguarda detesto leggere recensioni che svelano  troppi particolari importanti. Ci sono delle scene che ti colpiscono il cuore, ma se le conosci già, parte della magia sparisce.
Alice in zombieland prevede  dei sequel, e spero tanto  che la scrittrice non ci faccia aspettare troppo.  Nell'attesa scruterò spesso il cielo. Sono certa che come la Alice della favola che segue sempre il bianconiglio,  le lettrici che hanno adorato questo libro si troveranno spesso a scrutare il cielo.
Sicuramente penserete che stia dicendo cose senza senso, e forse avete ragione ma solo chi ha letto il libro saprà effettivamente di cosa parlo!
Ma non siete curiose? ^_^

lunedì 11 febbraio 2013

Classica: Grandi Speranze di Charles Dickens

a cura di Faye




Grandi speranze (Great Expectations) fu pubblicato a puntate tra il 1860 e il 1861, sul periodico settimanale All the Year Round, fondato dallo stesso Dickens. È considerato uno dei suoi romanzi brevi più intensi ed eleganti, nonché uno dei più popolari. È la storia dell’orfano Philip Pirrip detto Pip e della sua vita, dall’infanzia all’età adulta, secondo lo schema del “romanzo di formazione” seguito in David Copperfield. La narrazione inizia la vigilia di Natale dell’anno 1812, quando Pip ha sette anni e termina nel 1840. La giovane e bellissima Estella è il personaggio femminile che si contrappone a Pip, ma è con la creazione di Miss Havisham, l’anziana e instabile madre adottiva di Estella, che Dickens ci regala una protagonista di prima grandezza.

Con Grandi Speranze Pinkafé ha dato inizio al Progetto Classica, una biblioteca virtuale dove poter (ri)leggere le pagine più belle delle grandi opere della letteratura mondiale, e vi augura buona lettura.



martedì 5 febbraio 2013

In visita a Bath con Linda Kent, autrice de Il Profumo delle Rose Selvatiche


A cura di Pinkafé

A Dicembre ci siamo occupati di un fenomeno tutto italiano, ovvero l'editoria in edicola, e intervistato diverse voci autorevoli, editor ed alcuni autori di punta delle collane che annoverano generi come il thriller, il giallo, il fantasy, la fantascienza e il romance, storico e contemporaneo. Non potevamo quindi esimerci dal prolungare il nostro speciale in onore dell'esordio di una nuova autrice italiana, che sicuramente si distinguerà per il suo stile curato ed elegante e per le storie piene di sentimento. Stiamo parlando di Linda Kent, e del suo libro d'esordio "Il Profumo delle Rose Selvatiche" (uscito questo mese per la collana Classic dei Romanzi Mondadori), dal quale traspare un amore speciale per l'Inghilterra, e in particolar modo per Bath, dove ha ambientato la storia. Le abbiamo quindi chiesto di accompagnarci, ripercorrendo le righe del romanzo, alla scoperta della  Bath dei protagonisti Anne e David, e con nostro grande piacere, lei ha accettato con entusiasmo.

Prima di lasciarvi alle parole di Linda Kent, desideriamo segnalarvi la VIDEOINTERVISTA pubblicata sul blog Mondadori nella quale l'autrice presenta il romanzo, e il link al PROLOGO, che Mondadori ha reso disponibile gratuitamente per i lettori.


Il Profumo delle Rose Selvatiche


“Un romanzo che sembra scritto sulla seta.”
Angela White


Anne March conduce una vita ritirata, e non esce mai in pubblico se non celando il viso con un cappello o un velo.
Solo un bambino con il quale stringe una profonda amicizia ha il privilegio di guardarla negli occhi. È Andy, il figlio del suo vicino David Greenwood, barone Glamorgan.
David è un uomo oppresso da un passato drammatico, che cerca di dimenticare allontanando il figlio.
Il rapporto che Andy stabilisce con Anne, e soprattutto il fascino misterioso della donna, attirano David inesorabilmente, facendogli desiderare di rimettersi in gioco e di innamorarsi ancora.
Ma una nebbia di segreti e di equivoci si alzerà presto a offuscare il loro amore…



di Linda Kent


È per me un piacere e un onore accogliere il gentile invito di Pinkafé e accompagnare i suoi lettori in una visita di Bath, la città nella quale è ambientata la maggior parte del mio romanzo d’esordio,  Il profumo delle rose selvatiche.
“La perla del Somerset” è una città incantevole ed è famosa nel mondo non solo per la sua storia e l’architettura ma anche per aver ospitato dal 1801 al 1806 Jane Austen, l’autrice forse più amata dagli appassionati della letteratura preromantica.
Ancora oggi, ogni volta che attraverso i suoi  ampi viali e osservo le costruzioni neoclassiche realizzate nella locale pietra color ambra, dimentico di vivere nel XXI secolo e mi sembra di ritornare indietro nel tempo, all’epoca di Persuasione e Northanger Abbey.
Permettetemi quindi di considerarmi il vostro “cicerone virtuale” e di condurvi in alcuni dei luoghi che hanno visto nascere e fiorire l’amore fra Anne March e David Greenwood, barone Glamorgan.


Il primo incontro


Tutti i lettori di Jane Austen e dei romance ambientati a Bath conoscono, almeno di nome, le Assembly Rooms, il luogo deputato per eccellenza a tutti gli avvenimenti pubblici di una certa importanza.



Si tratta di quattro ambienti, molto spaziosi ed eleganti, racchiusi in una costruzione edificata secondo i canoni neoclassici che ispirarono i grandi architetti di questa città (John Wood il vecchio e John Wood il giovane).
Ancora oggi, la Sala da tè, la Sala per il gioco delle carte, la grandissima Sala da ballo e la Sala Ottagonale ospitano lussuosi banchetti, mostre o rassegne.
Le Upper Assembly Rooms furono inaugurate nel 1771 e sostituirono le preesistenti Lower Rooms costruite nella parte bassa della città.



È proprio nella Sala Ottagonale, durante un concerto, che per la prima volta David vede Anne. Anche se “vedere” non è proprio il termine corretto…


La magia di un giardino

Può uno scenario influenzare una storia d’amore?
Certamente, soprattutto se stiamo parlando dei Sydney Gardens, il più antico parco di Bath. Disegnato dall’architetto Harcourt Masters nel 1795, divenne ben presto il luogo più alla moda per vedere e farsi vedere dalla migliore società. Esattamente come Hyde Park a Londra.



E inoltre, come a Vauxhall, questi giardini erano un vero e proprio “luogo di delizie”, con cascate artificiali, ricostruzioni di edifici fiabeschi e un labirinto nel quale era facile perdersi… soprattutto se si era giovani e innamorati. Durante la bella stagione, le notti erano illuminate da lampioncini colorati e in occasioni particolari, come il genetliaco del sovrano, si poteva assistere a spettacoli pirotecnici.
Anche Anne e  David sperimenteranno la magia di una notte d’estate ai Sydney Gardens.




La “buona società”

Il luogo pubblico nel quale è d’obbligo mostrarsi per chiunque faccia un minimo di vita sociale, è la cosiddetta “Pump Room”, ovvero  l’edificio che racchiude la preziosa fonte di acqua minerale considerata un toccasana per tutte le malattie, dalla digestione difficile alla gotta. Peccato che abbia un sapore orribile!




Vincere la diffidenza e la ritrosia di Anne non è cosa da poco. La donna che affascina lord Glamorgan con il suo mistero è riservata e poco propensa a mostrarsi in pubblico. Tuttavia, David può essere molto persuasivo e riuscirà a convincerla a passeggiare con lui all’interno dell’ampio salone.
Trascorrere una mattina alla Pump Room è il modo migliore per incontrare la gente che conta, come sanno tutti. E naturalmente lo sa anche Mrs. Althea Claridge, alla disperata ricerca di un genero ricco e piacente…




Una serata particolare

A proposito dei Claridge: dove viveva a Bath chi godeva di un certo status sociale?


Il Circus e il Royal Crescent sono fra i più famosi esempi dell’architettura neoclassica di Bath. Costruiti dai Wood (padre e figlio), probabilmente per ricordare i simboli massonici del sole e della luna, questi complessi residenziali sono davvero magnifici.


Visitando il n. 1 del Crescent  (all’interno del quale è stata ambientata una scena del film Persuasione), si può comprendere ancora oggi come i ricchi proprietari dell’epoca georgiana arredassero le loro case. Il salotto, la sala da pranzo, le camere da letto, la stessa grande cucina con tutti i suoi arredi, recano l’impronta di un’eleganza sobria e impeccabile.
Esattamente quell’eleganza che mancava a Mrs. Claridge.


Uno sguardo al ponte

Camminando sotto braccio per le vie di Bath (e vi assicuro che non ci si stanca affatto!) abbiamo attraversato il cuore della città vecchia.



Prima di salutarci, fermiamoci un momento ad ammirare il profilo del Pulteney Bridge, che a noi italiani ricorda Ponte Vecchio a Firenze.



Il fiume scorre veloce e il sole al tramonto conferisce una tonalità dorata agli edifici.
Appoggiati contro la spalletta di pietra lasciamo che lo sguardo sfiori il profilo delle colline che circondano la città e i giardini dalle aiuole eleganti.
Come me, anche Anne March amava molto questo paesaggio, ne sono sicura.
Così come amava la sua casa, il giardino, e le rose selvatiche…



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