lunedì 11 giugno 2012

Luci della ribalta: è di scena Roberto Cavosi

di Faye


Nato a Merano nel 1959, e’ un autore teatrale. Tra i suoi principali lavori, "Lauben" (Teatro stabile di Bolzano, di Roma e di Palermo), "L’uomo irrisolto" (festival di Todi), "Viale Europa" (Teatro stabile di Bolzano, Biglietto d'oro Agis), "Rosanero" (premio Idi e Biglietto d'oro Agis), "Terra e cielo" (Compagnia Teatro Moderno), "Bellissima Maria" (vincitrice del premio Riccione per il teatro 2001), "Antonio e Cleopatra alle corse", premio della giuria al premio Riccione, prodotto da Teatro Franco Parenti di Milano e rappresentato dal 2008  al 2011. Il suo testo "Il maresciallo Butterfly", premio G.Fava, è stato rappresentato oltre che in Italia, anche in Francia e Belgio; altri suoi testi sono stati letti o messi in scena a Parigi e Londra. La Columbia Universty di New York gli ha dedicato una serie di studi e d'incontri. E’ anche autore di originali radiofonici ("Oltre la barricata", "Il mago Merlino", "Aglaja"), di riduzioni televisive da testi teatrali e di alcune sceneggiature televisive. È ideatore e sceneggiatore del programma radiofonico "Teatrogiornale". Ha vinto nel 2001 il Premio Histryo per la drammaturgia. Ha vinto il Premio Candoni Arta Terme per opere commissionate.
Come  attore ha lavorato con figure illustri della regia italiana, come Ronconi, Sequi, Squarzina, Trionfo. E' considerato una delle figure più interessanti della drammaturgia di questi ultimi anni. Da regista, ha messo in scena, oltre a numerosi suoi testi,  Coriolano di Shakespare con Alessandro Gassman e Magda Mercatali.

Benvenuto a Pinkafé, Roberto!
Siamo davvero lieti di avere quale nostro ospite un autore italiano che  con le sue opere contribuisce a mantenere interessante e vitale il patrimonio teatrale nazionale.

Per tutti coloro che non ti conoscono, vuoi parlarci un po’ di te, al di fuori delle note biografiche?
All'età di sette anni ho messo su la mia prima compagnia teatrale, anche se fatta con dei burattini. Ad ogni buon voto a scuola i miei genitori me ne compravano uno nuovo. Io giravo per scuole e centri anziani, guadagnando anche molto bene: un biglietto lo facevo pagare ben 20 lire!!! Se considerate che allora una pizza e una coca venivano dalle 150 alle 200 lire ero un vero squalo del business... La cosa bella era però quel mondo fantastico, il teatro, che giorno per giorno mi mostrava i suoi segreti. Ed io non ero mai stanco di scoprirne di nuovi... Una vera passione innata, che poi si è andata rafforzando al liceo quando cominciai a recitare nel Piccolo Teatro di Merano. È stato verso i 16 anni che mi misi in testa di fare l'attore: o mi prendono all'accademia d'arte drammatica - mi dissi come autominaccia - o parto missionario. Mi presero alla Silvio D'Amico!

Cavosi autore teatrale, radiofonico, attore: in quali di queste vesti ti senti più a tuo agio?
Sicuramente come autore teatrale. Dopo l'accademia ho lavorato come attore per otto anni in bellissime compagnie, dal teatro di Roma allo stabile del Veneto, ma mi mancava qualcosa. In realtà mi sentivo un po' stretto nei panni di un solo personaggio a dire, per di più, parole non mie e anche se eccezionali come quelle di Shakespeare o Goldoni, non sufficienti, a mio avviso, per farmi sentire del tutto appagato. Io venivo da anni fatti al liceo molto caldi ( dal 1973 al ' 78), dove l'impegno politico e sociale erano tutto. In più avevo studiato con molto entusiasmo la tragedia greca, per me modello insostituibile di teatro. Ciò che apprezzavo di più di quel genere unico era la sua carica di antiviolenza. Il suo modo così atropoloogicamente profondo d'affrontare il  mondo. In me si era così radicata la convinzione che la funzione prima del teatro sia quella appunto di combattere la violenza. Mi posi allora il problema di cosa fare. Parallelamente al lavoro di attore cominciai a scrivere. Ma mi serviva ancora qualche cosa, una motivazione definitiva. La ebbi casualmente. Alla fine di una straordinaria tournée in Cina, decisi di restare a girovagare da "quelle parti" . Finii nelle Filippine, guarda un po', accolto dai missionari del Pime. Quello che cercavo lo trovai lì in una loro frase: che ben vengano gli aiuti economici dall'occidente, ma finché non cambierà  mentalità non cambierà mai nulla. Se esiste un Terzo Mondo significa che l'uomo ha sbagliato. È la mentalità che occorre cambiare.
Insomma tornato in Italia, decisi di scrivere, di fare l' autore, di mettere cioè in scena in miei sentimenti, le mie idee. Certamente non con la presunzione di cambiare il mondo ma almeno per cominciare a cambiare me stesso.
Da allora  ho scritto almeno una trentina di testi teatrali e non so quante puntate di sceneggiati per la radio. Ecco la radio, un' esperienza bellissima, ma pur sempre a mio avviso un'esperienza teatrale. Mi riferisco in particolare a "Teatrogiornale", un mix di cronaca e teatro. Mi chiedevo come poter creare un'informazione dove non tutto fosse spettacolo compresa la morte stessa delle persone, ma che invece fosse riflessione. Tornai alla tragedia greca, dove era proibito mostrare azioni violente, azioni che viceversa potevano solo essere raccontate, magari da un messaggero. Ecco "Teatrogiornale" era questo, un messaggero quotidiano che ci raccontava, a volte anche con ironia, il nostro vivere, facendoci però capire l'orrore della violenza. Forse è superfluo ricordarlo, ma messaggero in greco antico si dice anghelos...

Fra tante tue opere, a quale sei particolarmente affezionato?

Naturalmente a tante, a tutte, anche le più "piccole", quelle magari che mi sono prodotto da solo con la mia Associazione Oltreconfine, come "L'orizzonte di K.", un testo sui diritti umani, o "Notte d'Epifania" sui ragazzi che hanno sfidato la n'dragheta, o "Addiopizzo" un titolo che è già una dichiarazione d'intenti. Comunque dovendo scegliere, per forza di cose, e per non fare torto alle altre, devo dire la prossima opera che andrà in scena. Si tratta di "Anima errante" un testo che ha vinto il premio Candoni del 2001, e che da allora aveva visto solo due letture, una a conclusione del Premio stesso e la seconda a Londra.
"Anima errante" è la storia di un miracolo. La vicenda si svolge a Seveso nel terribile anno ('76) della diossina. Ma è un lavoro, dal punto di vista della scrittura, che per me ha rappresentato una svolta stilistica. Cercavo pertanto una situazione particolare, importante, per rappresentarlo. Ed eccola finalmente: lo spettacolo, con la regia di Carmelo Rifici e Maddalena Crippa come protagonista, debutterà il prossimo 19 luglio al  Festival di San Miniato a cui seguirà il Festival del Sacro di Varese e sarà a gennaio a Milano al Teatro Tieffe, per poi proseguire anche in altre piazze italiane il suo cammino.


Cosa prova un autore teatrale vedendo andare in scena la propria opera?
Dipende. Soprattutto dalle reazioni del pubblico, ma anche se trova nell'allestimento un'aderenza poetica al suo lavoro. In realtà io sono un autore molto "democratico", ho fatto l'attore, il regista, mi sono prodotto spettacoli da solo caricando e scaricando scene, e pertanto so l'impegno che ci vuole per "fare teatro" e il rispetto che si deve ad ogni singola persona. Detto questo non sempre si riescono ad accettare pienamente le scelte fatta da un regista piuttosto che un altro, da uno scenografo, dal modello recitativo di un attore. Nella mia carriera devo ritenermi fortunato in questo anche se qualche imprevisto mi è capitato, come una volta quando un regista a mia insaputa ha fatto suicidare un personaggio che per quanto mi riguarda avrebbe dovuto vivere tranquillo e beato per il resto della sua vita. Ma fa parte del gioco...

Puoi parlarci della realtà teatrale contemporanea? Cosa significa essere autore teatrale oggi, in Italia?
La realtà teatrale italiana è molto vecchia e stantia, arroccata su meccanismi produttivi di scambio prevedibili e che nulla hanno più a che fare con creatività ed impegno. Viviamo in una sorta di sottocutura. Questo in generale perché il contemporaneo è stato lasciato ad altri mezzi di comunicazione dimenticando il vero senso del teatro. La formula è la reiterazione infinita dei classici al punto che ormai si fa solo teatro di tappezzeria. Anche il teatro commerciale sta seguendo filoni pericolosi, scimmiotta modelli americani, infilando nomi noti come parafulmine per mascherare la mancanza "dell'oggi e del noi". Siamo in un Paese che da troppi decenni, anche nel teatro, viene premiato il Chi e non il Cosa. È evidente, e rispondo alla seconda domanda, che in una situazione simile l'autore contemporaneo fa molta fatica ad emergere, a trovare continuità, per cui molti, dopo magari un promettente inizio, abdicano per la televisione o altro. Se fare l'autore fosse un mestiere esportabile oltre che ad una fuga di cervelli potremmo assistere anche ad una fuga di penne...
La voglia di spettacolo del pubblico italiano non conosce crisi: tuttavia, le condizioni economiche impongono sicuramente dei sacrifici. A tuo parere, come si possono conciliare questi due aspetti?
La crisi in realtà è già in atto, e le difficoltà produttive delle compagnie sono sempre più manifeste. Ma se il pubblico domanda, allora forse si dovrebbe cogliere l'occasione per proporre del "nuovo", cavalcare nuove forme e rinnovati contenuti. Dare spazio ai giovani, agli autori, riportare  l'attenzione del pubblico su cosa stia andando a vedere e non con chi. Il teatro si è lentamente inferto gravi danni da solo nella ricerca spasmodica del nome eclatante da proporre, per fare più cassa è vero, senza però accorgersi  che tentava, senza alcuna lungimiranza, di nascondere il fatto che sul palcoscenico non c 'era nulla di riconoscibile per lo spettatore se non quel nome.

Come è considerato all’estero il teatro italiano? Personalmente hai mai lavorato fuori Italia?
C' è una certa attenzione al nostro teatro, anche verso gli autori, anzi forse soprattutto verso gli autori, ma c'è da dire che prima di noi in Francia, in Inghilterra o in Germania, o altrove, hanno i loro di autori. E all'estero sono molto attenti a consolidarli e promuoverli, a dargli quello spazio necessario per provarsi e crescere. Le strutture pubbliche all'estero investono enormemente nel teatro contemporaneo. Personalmente vorrei citare una mia esperienza, fra varie, che mi ha dato l'esatto polso della situazione. Un mio lavoro, " Il maresciallo Butterfly " è andato in scena a Parigi in un teatro di 250 posti, con il titolo in francese de' " Mariage ( en) blanc". La sera della prima un editore, che naturalmente aveva visto lo spettacolo, mi ha chiesto di pubblicare il testo che una settimana dopo stava già alla Fnac. Il giorno dopo Artè mi ha chiesto di trasmettere lo spettacolo che è andato in onda sia in Francia che in Germania. Dopo due mesi di repliche per l'affluenza di pubblico il lavoro è stato spostato in un teatro di 500 posti e vi è rimasto per altri quattro mesi. L'anno seguente è stato richiesto dai più importanti teatri della Francia. Una cosa simile sarebbe impossibile da noi, sia per le carenze editoriali nel settore, sia per la miopia televisiva, sia per il modello distributivo italiano di cui ho già accennato.

Cosa c’è nella penna di Roberto Cavosi, in questo momento?
Qualche rischio di troppo, come sempre. La mia non è mai stata una scrittura accomodante, anche quando ho affrontato la commedia, o meglio la tragicommedia... E sperimentare nella scrittura è per me ormai un obbligo continuo, una ricerca che mi incita ad andare avanti.

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Chi lo sa. Ogni testo è una nuova avventura. Mi ricordo uno slogan degli anni ' 70 , quando facevo il liceo: una società che tende ad abbattere il senso d'avventura fa sì che l'unica avventura possibile sia la soppressione della società stessa.
Una frase che mi ha sempre molto colpito. Certo è uno slogan molto roboante, ed oggi mi sembra anche un po' retorico, ma non so perché mi ha sempre dato un senso di apertura, di voglia di superare le colonne d'Ercole della convenzione. Ecco io spero che nel mio futuro ci sia l'abbandono di qualsiasi banalità. Perché, come diceva Hannah Arendt, il male sta proprio nella banalità e il teatro, quello vero, non può essere che bene.

Un grandissimo in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti, Roberto !
Ti ringraziamo davvero moltissimo per il tempo, la pazienza e la tua disponibilità nel rispondere alle nostre domande. Hai sollevato per noi un angolo del sipario sulla realtà teatrale, permettendoci di “sbirciare dietro le quinte”.

Roberto Cavosi  ci ha gentilmente consentito di pubblicare la prima scena di "Addiopizzo", una vera chicca per tutti i lettori di Pinkafé che così potranno conoscere ed apprezzare questo bravissimo autore teatrale.

ADDIO PIZZO

“L’Infinito”
Palermo, due giovani stanno mangiando un panino seduti su un muretto.
Nerio:  Bianco.
Carlo:  Nero.
Nerio:  Sole.
Carlo:  Luna.
Nerio:  Caldo.
Carlo:  Freddo.
Nerio:  Acqua.
Carlo:  Fuoco.
Nerio:  Montagna.
Carlo:  Mare.
Nerio:  Pulizia.
Carlo:  Immondizia.
Nerio:  Nave.
Carlo:  Aereo.
Nerio:  Scuola.
Carlo:  Vacanze.
Nerio:  Bella questa. Ora: Sconfitta.
Carlo:  Vittoria.
Nerio:  Vita.
Carlo:  Morte.
Nerio:  Spirituale.
Carlo:  Materiale, materiale. Non sei capace di farmene di più difficili?
Nerio:  Ma dai Carlo che gioco è far il contrario delle cose?
Carlo:  E’ un gioco. Ti va o non ti va di farmelo? Hai qualche impegno urgente?
Nerio:  Ma a cosa serve?
Carlo:   Non è che tutto debba servire per forza a qualcosa. Il  Monopoli a cosa serve? Risiko a cosa serve?  E’ che tu Nerio non hai fantasia.
Nerio:  Dura realtà. Prova questo allora: dura realtà, dimmi il contrario.
Carlo:  Tenera poesia. 
Nerio:  Ah. Mica male. Ora però ti frego. Milan.
Carlo:  Inter. T'ho fregato, io.
Nerio:  Palermo.
Carlo:  Troppo facile: Catania.
Nerio:  Mii, è vero. Politico.
Carlo:  Persona senza privilegi.
Nerio:  Bravo. Divertente. Attento: uomo d’onore.
Carlo:  Uomo.
Nerio:  Uomo e basta?
Carlo:  Si, uomo e basta.
Nerio:  Però… Hai ragione. Quelli non sono uomini, quelli sono la peste. Sono dei macellai. Rovinano il nostro paese.
Carlo:  "Non mi è mai piaciuta questa pianura, e questo fosso che allarga la vista a dismisura su una città costruita contro natura." Che cos'è?
Nerio:   Ora cosa fai tu le domande?
Carlo:   Forza, indovina: "Non mi è mai piaciuta questa pianura, e questo fosso che allarga la vista a dismisura su una città costruita contro natura."
Nerio:  Ma che vai dicendo? “Questo fosso che allarga la vista dismisura...”
Carlo:  E’ "Il definito"
Nerio:  "Il definito"? Ma ti sei rimbecillito?
Carlo:   Ascolta "Sempre caro  mi fu quest'ermo colle, e questa siepe... e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude." E’ L’infinito, di Leopardi.
Nerio:  Lo so che quello è l’Infinito di Leopardi.
Carlo:   E il mio è “Il definito”. Viviamo in un mondo definito, in cui le poesie sono rovesciate. "Non mi è mai piaciuta questa pianura, e questo fosso che allarga la vista a dismisura su una città costruita contro natura."
Nerio:  E’ vero che non ti è mai piaciuta questa città?
Carlo:   Rovesciare le poesie mi fa bene, capisco meglio la realtà e cosa questa realtà potrebbe diventare. Mi dà coraggio, mi fa amare ancora di più tutto quello che c’è da amare, e che capisco che si deve amare.
Nerio:  E che altre poesie hai rigirato?
Carlo:  Adesso ti piace questo gioco?
Nerio:  Si mi piace. “L’infinito”: il “definito” Molto mi piace. Mettimi alla prova.
Carlo:  "Urla mattutine di un ragioniere col posto fisso in Europa" Che cos'è?
Nerio:  E che cos’è? Fantozzi. Che cos’è?
Carlo:  E’ sempre Leopardi, è il contrario di "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia." "Urla mattutine di un ragioniere col posto fisso in Europa"
Nerio:  Tu sei matto, ma mi piace. Mi sento più libero, davvero. Un’altra.
Carlo:  "Il ragazzino torna dalla città alla prime luci dell'alba..."
Nerio:  Io so proprio ignorante, ignorante. Che è?
Carlo:  "La donzelletta vien dalla campagna, in sul calar del sole." E' , cioè era "Il sabato del villaggio" e quindi:"Lunedì metropolitano". Ed è sempre Leopardi.
Nerio:  Ma c’hai una fissa con questo Leopardi.
Carlo:  Affinità elettive, cosa vuoi che ti dica.
Nerio:   Ma per piacere. Girami mafia, che sei tanto bravo, qual’è il contrario di mafia?
Carlo:  Io e te Nerio, io e te lo siamo.
Nerio:  Bravo. Girami:  "La divina commedia".
Carlo:  "L'umana tragedia"
Nerio:  “I Promessi sposi”
Carlo:  “Pazienza, divorziamo”
Nerio:  “Le odi barbare”.
Carlo:  “Prosaico borghese”. Ma conosci le odi barbare?
Nerio:  Non è una trasmissione televisiva?
Carlo:  Ma va, va là...  Più difficili dai, ancora più difficili.
Nerio:  Non sono capace di farne di più difficili.
Carlo:   Tieni il mio libro, prendi, aprilo a caso e punta il dito. Quello che viene viene.
Nerio:  Vuoi fare lo sbruffone? Ehh?
Carlo:  Coraggio.
Nerio:  Allora, allora. (Sfoglia il libro e punta il dito) Ecco, metto il dito a caso e leggo. Sei pronto?
Carlo:  Prontissimo.
Nerio:  "...E tu, Cielo, dall'alto dei mondi\ sereni; infinito, immortale,\ oh! d'un pianto di stelle lo inondi\ quest'atomo opaco del Male." Miii, ma che roba è… "...E tu, Cielo, dall'alto dei mondi \ sereni; infinito, immortale,\ oh! d'un pianto di stelle lo inondi \  quest'atomo opaco del Male."
Carlo:  E' Pascoli. Vero?
Nerio:  Si. Boh. Se lo dici tu.  Ti voglio vedere adesso?
Carlo:  Ci sono. Aspetta, aspetta. Ci sono. Ascolta: "E noi, imperfette creature, dalla basso d'una terra sconfitta, - al posto di dall’alto dei mondi sereni-  leviamo dal buio preghiere verso la Luce ed il Bene".
Nerio:  Uhhh: potente. Carlo ma lo sai che sei potente. “…d'un pianto di stelle lo inondi \  quest'atomo opaco del Male." Poi come hai detto tu?
Carlo:  “…leviamo dal buio preghiere verso la Luce ed il Bene". "E noi, imperfette creature, dal basso d'una terra sconfitta, leviamo dal buio preghiere verso la Luce ed il Bene".
Nerio:  Il contrarista. Se esistesse come lavoro dovresti fare il poeta contrarista. Sei imbattibile e non dici nemmeno minchiate. Mi piace quasi più la tua poesia di quella di Pascoli. E anche di quelle di Leopardi. Voglio anch’io levare nel buio preghiere verso la luce ed il bene. Tutte le sere prima di dormire.
Carlo:  Che fai, mi prendi in giro adesso?
Nerio:  Ma quale prendere in giro. Ora te ne faccio di più quotidiane però, sulla: poesia, poesia , sei troppo forte. Te ne faccio apparentemente terra a terra.
Carlo:  Apparentemente.
Nerio:  Apparentemente. Sei pronto?
Carlo:  Spara.
Nerio:  Calimero. Il pulcino nero. Avanti Calimero.
Carlo:  Calimero, Calimero? Bill Gates.
Nerio:  Mhhh. Astronauta.
Carlo:  Pedone.
Nerio:  Punto nero.
Carlo:  Punto nero?
Nerio:   Si quelli che vengono qui sulla pelle e che se hai una ragazza te li vuole sempre schiacciare.
Carlo:  Ma che schifo.
Nerio:  Punto nero. Avanti, girami punto nero.
Carlo:  Ma per favore! Deficiente. Un’altra dai, avanti,  una vera però.
Nerio:  Mhhh…Musica.
Carlo:  Silenzio.
Nerio:  Cellulare.
Carlo:  Telefono fisso.
Nerio:  Eccola quella vera, eccola. Sei pronto?
Carlo:  Prontissimo.
Nerio:  Pizzo.
Carlo:  Pizzo? Pizzo, pizzo?
Neri:  Ho detto qualcos’altro? Non dirmi che non sai cos’è il pizzo.
Carlo:  Certo che lo so.
Nerio:  Allora? Il contrario di pizzo.
Carlo:  Dignità.
Nerio:  Suona bene: dignità.
Carlo:  Ti è piaciuto questo contrario di pizzo?
Neri:  Assai: dignità.  Dignità.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

un'intervista molto interessante! mi è piaciuto molto anche l'estratto. è bello che qualcuno parli anche un po di teatro. grazie
mentina

Pinkafé ha detto...

Confesso che non sono mai andata a teatro, è qualcosa che mi manca.
Quando a gli attori viene chiesto se preferiscono il cinema o il teatro, rispondono sempre teatro. La passione per il tetro da cosa si differenzia da quella per il cinema? Sarà perchè tutto avviene a diretto contatto con il pubblico?
Grazie
Andreina

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